Tutto sotto controllo, ragazzi! "I mercati" e lo
spread vanno bene. Berlusconi non è una minaccia per loro, soltanto per
gli ingenui che da 20 anni pagano dazio all'"antiberlusconismo" senza
idee.
Accade spesso che le strategie più complesse
e raffinate vengano “svelate” per eccesso di puntualizzazione di uno
qualsiasi dei loro fautori. E la partita del “cambio politico” in
Italia, da qui a due mesi, è di una portata tale da poter essere
compresa solo se la si guarda da un osservatorio europeo e niente
affatto provinciale.
Il “ritorno della mummia” Berlusconi va interpretato come un “pericolo” per l'Europa o come una risorsa per mettere ordine nelle sciamannate schiere di colonnelli che – a destra come nel centrosinistra – fremevano per assumere centralità, potere di veto o “di condizionamento” di una delle possibili coalizioni?
A noi è subito sembrata più plausibile la seconda, tanto da intiolare un editoriale “L'usato finale”, per sottolineare come “l'utilizzatore” di Ghedini si sia prestato stavolta a manovra altrui. Il giorno dopo il mini-balzo dello spread – già tornato a 340 punti, dai 360 del primo “allarme” - ci sentiamo confortati da numerosi elementi. Non ultima, appunto, la reazione dei mercati, tutt'altro che “spaventati” da una prospettiva negativa cui non assegnano nessuna percentuale di realizzazione.
L'editoriale de IlSole24Ore, soprattutto, ci sembra restituire i giusti “pesi specifici” ai diversi soggetti in campo. Facendo così sembrare Repubblica (“La tripla incognita che spaventa i mercati”) e l'Unità (“La crisi spaventa l'Europa”) delle parodie dei quotidiani che furono. E dire che persino a Norma Rangeri – al timone del manifesto portato sugli scogli – è balenato il dubbio che stavolta il Cavaliere sia diventato “La spalla del Professore”).
Adriana Cerretelli, sul Sole, parte da una battuta ripetuta spesso anche da Monti, Grilli, Passera e altri economisti di palazzo: «L'Italia non è la Grecia». Un modo rassicurante di far capire al volgo che “stiamo messi molto meglio”. In realtà la battuta circola fin dai tempi del Trattato di Maastricht, ma in tutt'altra chiave interpretativa. Roma infatti non è paragonabile ad Atene «perché, se si muove in modo avventato, a differenza della Grecia, è in grado da sola di rovesciare la barca della moneta unica».
Questioni di dimensioni e peso specifico. La terza economia dell'eurozona non si può permettere passi falsi. Ma siamo in un contesto comunitario, quindi non le verranno permessi passi falsi. L'unica incognita vera non riguarda la vittoria di una coalizione – non troppo eterogenea, però – in grado di proseguire con l'”agenda Monti”, ma la legittimazione democratica piena di un governo che, chiunque lo formi, dovrà procedere su quella strada. Il prossimo governo della Troika non potrà essere una fotocopia dell'attuale – personaggi venuti dal cielo delle accademie o dai caveau delle banche, sconosciuti ai più e rappresentativi di tutt'altro – e dovrà assicurarsi consensi in quantità accettabili.
Il che è davvero problematico, vista la disaffezione generale per i partiti politici e l'”avvertimento” dato dalle elezioni siciliane.
Grillo può prendere quanti voti vuole, non sarà mai un problema. Canalizza consensi umorali, instabili, non strutturati per scelta precisa del duo “Casaleggio & partners”. Non può organizzarli perché dovrebbe strutturarsi in “partito politico”, darsi una piattaforma programmatica, selezionare una classe dirigente, fare i conti con le inevitabili differenze politiche presenti in una platea vasta ma ondivaga.
Non c'è pericolo che vinca il Caimano. Su questo “le cancellerie europee, la Bce, Washington, Bundesbank”, le giubbe rosse e i boyscout del globo veglieranno vigili fino alla fine. Battute a parte, stiamo parlando di poteri immensi, planetari, alle prese con una crisi incontrollabile e per il momento tenuta sotto controllo con molta fatica e una massa di “iniezioni di liquidità” di proporzioni in altri momenti inconcepibili. Il peso economico dell'Italia può “rovesciare la barca dell'euro”, quindi verrà fatto di tutto per evitarlo. Berlusconi o altri che potrebbero far correre questo rischio – in questa fase – saranno messi in condizione di non nuocere. Con qualsiasi mezzo.
Ma uno come Berlusconi può ancora tornare utile, se non pretende più di fare il “conducator”. Può spaventare quanti avrebbero invece tutto l'interesse – materiale, economico, politico, morale – a non farsi intruppare dietro un personale politico che assicura di “profumare di sinistra” mentre conferma la propria indefettibile fedeltà all'”agenda” scritta dalla Troika e fin qui realizzata da Monti.
Meglio ancora. Un Berlusconi “in campo” è utile anche a rappattumare quel po' di destra che minacciava di disgregarsi in “populismi” verbosi quanto pericolosamente propensi all'uso delle mani. In definitiva, è meglio che “l'antieuropeismo” sia ufficialmente rappresentato da questi servi di antica data piuttosto che lasciato all'antagonismo di classe.
Quasi quasi, “i mercati” dovrebbero festeggiare un “ritorno” di tal fatta. Ma anche la speculazione al ribasso, per qualche giorno, offre buone opportunità di profitto...
La strada stretta (ma obbligata) di Italia e Europa
Il “ritorno della mummia” Berlusconi va interpretato come un “pericolo” per l'Europa o come una risorsa per mettere ordine nelle sciamannate schiere di colonnelli che – a destra come nel centrosinistra – fremevano per assumere centralità, potere di veto o “di condizionamento” di una delle possibili coalizioni?
A noi è subito sembrata più plausibile la seconda, tanto da intiolare un editoriale “L'usato finale”, per sottolineare come “l'utilizzatore” di Ghedini si sia prestato stavolta a manovra altrui. Il giorno dopo il mini-balzo dello spread – già tornato a 340 punti, dai 360 del primo “allarme” - ci sentiamo confortati da numerosi elementi. Non ultima, appunto, la reazione dei mercati, tutt'altro che “spaventati” da una prospettiva negativa cui non assegnano nessuna percentuale di realizzazione.
L'editoriale de IlSole24Ore, soprattutto, ci sembra restituire i giusti “pesi specifici” ai diversi soggetti in campo. Facendo così sembrare Repubblica (“La tripla incognita che spaventa i mercati”) e l'Unità (“La crisi spaventa l'Europa”) delle parodie dei quotidiani che furono. E dire che persino a Norma Rangeri – al timone del manifesto portato sugli scogli – è balenato il dubbio che stavolta il Cavaliere sia diventato “La spalla del Professore”).
Adriana Cerretelli, sul Sole, parte da una battuta ripetuta spesso anche da Monti, Grilli, Passera e altri economisti di palazzo: «L'Italia non è la Grecia». Un modo rassicurante di far capire al volgo che “stiamo messi molto meglio”. In realtà la battuta circola fin dai tempi del Trattato di Maastricht, ma in tutt'altra chiave interpretativa. Roma infatti non è paragonabile ad Atene «perché, se si muove in modo avventato, a differenza della Grecia, è in grado da sola di rovesciare la barca della moneta unica».
Questioni di dimensioni e peso specifico. La terza economia dell'eurozona non si può permettere passi falsi. Ma siamo in un contesto comunitario, quindi non le verranno permessi passi falsi. L'unica incognita vera non riguarda la vittoria di una coalizione – non troppo eterogenea, però – in grado di proseguire con l'”agenda Monti”, ma la legittimazione democratica piena di un governo che, chiunque lo formi, dovrà procedere su quella strada. Il prossimo governo della Troika non potrà essere una fotocopia dell'attuale – personaggi venuti dal cielo delle accademie o dai caveau delle banche, sconosciuti ai più e rappresentativi di tutt'altro – e dovrà assicurarsi consensi in quantità accettabili.
Il che è davvero problematico, vista la disaffezione generale per i partiti politici e l'”avvertimento” dato dalle elezioni siciliane.
Grillo può prendere quanti voti vuole, non sarà mai un problema. Canalizza consensi umorali, instabili, non strutturati per scelta precisa del duo “Casaleggio & partners”. Non può organizzarli perché dovrebbe strutturarsi in “partito politico”, darsi una piattaforma programmatica, selezionare una classe dirigente, fare i conti con le inevitabili differenze politiche presenti in una platea vasta ma ondivaga.
Non c'è pericolo che vinca il Caimano. Su questo “le cancellerie europee, la Bce, Washington, Bundesbank”, le giubbe rosse e i boyscout del globo veglieranno vigili fino alla fine. Battute a parte, stiamo parlando di poteri immensi, planetari, alle prese con una crisi incontrollabile e per il momento tenuta sotto controllo con molta fatica e una massa di “iniezioni di liquidità” di proporzioni in altri momenti inconcepibili. Il peso economico dell'Italia può “rovesciare la barca dell'euro”, quindi verrà fatto di tutto per evitarlo. Berlusconi o altri che potrebbero far correre questo rischio – in questa fase – saranno messi in condizione di non nuocere. Con qualsiasi mezzo.
Ma uno come Berlusconi può ancora tornare utile, se non pretende più di fare il “conducator”. Può spaventare quanti avrebbero invece tutto l'interesse – materiale, economico, politico, morale – a non farsi intruppare dietro un personale politico che assicura di “profumare di sinistra” mentre conferma la propria indefettibile fedeltà all'”agenda” scritta dalla Troika e fin qui realizzata da Monti.
Meglio ancora. Un Berlusconi “in campo” è utile anche a rappattumare quel po' di destra che minacciava di disgregarsi in “populismi” verbosi quanto pericolosamente propensi all'uso delle mani. In definitiva, è meglio che “l'antieuropeismo” sia ufficialmente rappresentato da questi servi di antica data piuttosto che lasciato all'antagonismo di classe.
Quasi quasi, “i mercati” dovrebbero festeggiare un “ritorno” di tal fatta. Ma anche la speculazione al ribasso, per qualche giorno, offre buone opportunità di profitto...
La strada stretta (ma obbligata) di Italia e Europa
di Adriana Cerretelli
Sui desiderata europei, trasparenti
e spesso anche conclamati, non ci sono mai stati dubbi. Ora che Mario
Monti ha deciso di gettare la spugna lo stupore si alterna ai timori su
stabilità e futuro della terza economia dell'euro.
«L'Italia non è la Grecia» amava ripetere un alto esponente della Bundesbank al tempo dei negoziati di Maastricht. «Perché, se si muove in modo avventato, a differenza della Grecia, è in grado da sola di rovesciare la barca della moneta unica». Vent'anni dopo, quel giudizio che riassume il grande incubo europeo non deve rischiare di diventare una profezia. Per questo si respira tensione a Bruxelles e dintorni.
Mario Monti è una personalità molto apprezzata in Europa. E sui mercati: i sussulti di ieri, per certi versi fisiologici, sono stati eloquenti. Naturalmente nessuno nell'Unione a 27 può seriamente pensare di sottrarre i paesi membri al libero gioco della democrazia elettorale. Gli intermezzi tecnocratici non possono che avere una durata limitata.
Però la prospettiva di un rientro da protagonista di Silvio Berlusconi sulla scena politica manda in fibrillazione molte cancellerie. Non è il cambio della guardia a Roma a preoccupare. Ci mancherebbe. Si temono le divisioni e lacerazioni che hanno segnato quella stagione.
Preoccupa e molto, invece, il rischio di vedere interrotto il cammino di consolidamento dei conti pubblici, delle riforme strutturali in larga parte ancora da fare e del recupero di credibilità del paese. In breve, si teme di veder riapparire lo spettro dell'instabilità e insieme dell'evanescenza italiana. Che soltanto un Governo forte, scaturito da un chiaro ed inequivocabile mandato delle urne, è in grado di garantire. Agli occhi di Bruxelles il Pd di Pierluigi Bersani ha le carte in regola, a patto di neutralizzare l'ipoteca di alleati allergici all'agenda del rigore e delle riforme. E questo vale per chiunque, sinistra, centro o destra, offra queste garanzie.
L'Italia ha bisogno di Europa. Ma anche l'Europa ha bisogno di Italia. Di un interlocutore solido, serio e responsabile capace di mediare, se necessario, tra le sue molte asperità e mille contraddizioni. Soprattutto nei prossimi mesi nel corso del nuovo round di delicate riforme istituzionali che, prima o poi, dovrebbero sfociare in più integrazione e in nuove cessioni di sovranità nazionali su bilancio, riforme, politiche sociali e fiscali.
Già oggi del resto, sul filo delle ultime riforme anti-crisi che hanno rafforzato la governance dell'euro, i margini di manovra dei Governi sono molto limitati. I conti pubblici in equilibrio sono un traguardo obbligato. Come la riduzione del debito. Ancora non lo è ma presto lo diventerà anche il recupero di competitività globale attraverso impegni contrattuali vincolanti per le riforme strutturali. Patti e Trattati Ue a parte, ci pensano poi i mercati a mantenere la pressione per cambiamento e modernizzazione dei sistemi-paese, sanzionando in tempo reale i renitenti a disciplina e riforme.
Illusorio immaginare di cambiare il corso delle cose (a meno di non far saltare il tavolo). L'aveva promesso il socialista François Hollande, facendo della crescita economica europea il suo cavallo di battaglia elettorale per temperare la gelida stretta dell'austerità. Una volta all'Eliseo, la sua Francia si sta mettendo in riga sul modello tedesco senza grandi guizzi. Illusorio anche credere che un'eventuale vittoria in autunno della socialdemocrazia tedesca, magari alleata con i verdi, allenterebbe la morsa dell'austerità sull'euro-sud.
Sono due le molle che potrebbero indurre la Germania a diluire un po' la linea del rigore: la prova provata che, in dosi eccessive, contraddice i suoi obiettivi (come in Grecia, dove fa salire il debito invece di farlo scendere) e l'arrivo della recessione anche dentro i suoi confini.
In entrambi i casi l'austerità non sarà rimessa in discussione, perché ritenuta strumento necessario a carburare una crescita sostenibile. Però sarà finalmente ammortizzata da stimoli europei all'espansione economica, agli investimenti nell'industria, nell'innovazione, nelle infrastrutture, nell'energia.
Per l'Italia in recessione per la quarta volta in 10 anni, con la disoccupazione giovanile e non in viaggio verso nuovi record e le risorse di bilancio che latitano, sarebbe una provvidenziale boccata di ossigeno: la spinta allo sviluppo finora mancata, in grado di evitare il salto nel buio del depauperamento e della deindustrializzazione del paese. Per il nuovo Governo il prezioso viatico di un'Europa "amica" e non più soltanto arcigna.
«L'Italia non è la Grecia» amava ripetere un alto esponente della Bundesbank al tempo dei negoziati di Maastricht. «Perché, se si muove in modo avventato, a differenza della Grecia, è in grado da sola di rovesciare la barca della moneta unica». Vent'anni dopo, quel giudizio che riassume il grande incubo europeo non deve rischiare di diventare una profezia. Per questo si respira tensione a Bruxelles e dintorni.
Mario Monti è una personalità molto apprezzata in Europa. E sui mercati: i sussulti di ieri, per certi versi fisiologici, sono stati eloquenti. Naturalmente nessuno nell'Unione a 27 può seriamente pensare di sottrarre i paesi membri al libero gioco della democrazia elettorale. Gli intermezzi tecnocratici non possono che avere una durata limitata.
Però la prospettiva di un rientro da protagonista di Silvio Berlusconi sulla scena politica manda in fibrillazione molte cancellerie. Non è il cambio della guardia a Roma a preoccupare. Ci mancherebbe. Si temono le divisioni e lacerazioni che hanno segnato quella stagione.
Preoccupa e molto, invece, il rischio di vedere interrotto il cammino di consolidamento dei conti pubblici, delle riforme strutturali in larga parte ancora da fare e del recupero di credibilità del paese. In breve, si teme di veder riapparire lo spettro dell'instabilità e insieme dell'evanescenza italiana. Che soltanto un Governo forte, scaturito da un chiaro ed inequivocabile mandato delle urne, è in grado di garantire. Agli occhi di Bruxelles il Pd di Pierluigi Bersani ha le carte in regola, a patto di neutralizzare l'ipoteca di alleati allergici all'agenda del rigore e delle riforme. E questo vale per chiunque, sinistra, centro o destra, offra queste garanzie.
L'Italia ha bisogno di Europa. Ma anche l'Europa ha bisogno di Italia. Di un interlocutore solido, serio e responsabile capace di mediare, se necessario, tra le sue molte asperità e mille contraddizioni. Soprattutto nei prossimi mesi nel corso del nuovo round di delicate riforme istituzionali che, prima o poi, dovrebbero sfociare in più integrazione e in nuove cessioni di sovranità nazionali su bilancio, riforme, politiche sociali e fiscali.
Già oggi del resto, sul filo delle ultime riforme anti-crisi che hanno rafforzato la governance dell'euro, i margini di manovra dei Governi sono molto limitati. I conti pubblici in equilibrio sono un traguardo obbligato. Come la riduzione del debito. Ancora non lo è ma presto lo diventerà anche il recupero di competitività globale attraverso impegni contrattuali vincolanti per le riforme strutturali. Patti e Trattati Ue a parte, ci pensano poi i mercati a mantenere la pressione per cambiamento e modernizzazione dei sistemi-paese, sanzionando in tempo reale i renitenti a disciplina e riforme.
Illusorio immaginare di cambiare il corso delle cose (a meno di non far saltare il tavolo). L'aveva promesso il socialista François Hollande, facendo della crescita economica europea il suo cavallo di battaglia elettorale per temperare la gelida stretta dell'austerità. Una volta all'Eliseo, la sua Francia si sta mettendo in riga sul modello tedesco senza grandi guizzi. Illusorio anche credere che un'eventuale vittoria in autunno della socialdemocrazia tedesca, magari alleata con i verdi, allenterebbe la morsa dell'austerità sull'euro-sud.
Sono due le molle che potrebbero indurre la Germania a diluire un po' la linea del rigore: la prova provata che, in dosi eccessive, contraddice i suoi obiettivi (come in Grecia, dove fa salire il debito invece di farlo scendere) e l'arrivo della recessione anche dentro i suoi confini.
In entrambi i casi l'austerità non sarà rimessa in discussione, perché ritenuta strumento necessario a carburare una crescita sostenibile. Però sarà finalmente ammortizzata da stimoli europei all'espansione economica, agli investimenti nell'industria, nell'innovazione, nelle infrastrutture, nell'energia.
Per l'Italia in recessione per la quarta volta in 10 anni, con la disoccupazione giovanile e non in viaggio verso nuovi record e le risorse di bilancio che latitano, sarebbe una provvidenziale boccata di ossigeno: la spinta allo sviluppo finora mancata, in grado di evitare il salto nel buio del depauperamento e della deindustrializzazione del paese. Per il nuovo Governo il prezioso viatico di un'Europa "amica" e non più soltanto arcigna.
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