«Non ho dubbi che faremo un governo insieme alle forze che sostengono
Monti oggi. Che questo debba avvenire con un’alleanza con liste
apparentate ora, o con un accordo dopo il voto, è da valutare. È una
scelta legata anche alle tecnicalità della legge elettorale». Sembra un
déjà-vu, e invece è l’affermazione che ieri il vicesegretario del Pd
Enrico Letta ha rilasciato alla Stampa. E che rilette in serata, mentre
il presidente Monti annuncia le sue dimissioni appena approvata la legge
di bilancio, suonano come una tegola per il Pd che sembrava aver
archiviato le sue divisioni interne grazie all’iniezione di fiducia
della consultazione di domenica. E invece no, riparte con prepotenza il
tormentone di prima delle primarie: il matrimonio fra Pd e centristi.
Solo che l’accelerazione impressa ieri sera da Monti consiglierebbe una
scelta politica compatta da poter esporre in campagna elettorale.
Già ieri, al manifesto, Gennaro Migliore aveva sbarrato la strada all’ipotesi di un matrimonio con l’Udc. «Non esiste nessun accordo con il centro. Sarebbe prendere in giro i tre milioni e mezzo di italiani che ci hanno votato alle primarie». Ieri alle agenzie ha rincarato la dose: «Un’intesa con Monti è impraticabile, così come un’alleanza con l’Udc, come è stato ribadito da tutti durante le primarie del centrosinistra. Non piace né a noi né agli elettori del centrosinistra la politica che gioca a nascondino». Migliore usa con accortezza le parole. Perché dal Nazareno c’è invece chi da due giorni spiega che «la coalizione resta quella Pd-Sel-Psi», mentre «l’alleanza di governo» si farà con i centristi. Un gioco di parole che si traduce in: Sel deve ingoiare la pillola amara. A Migliore infatti replica Francesco Boccia, lettiano, che per di più ha qualche ruggine con Vendola che lo ha sconfitto due volte alle primarie per le regionali pugliesi: «Evitiamo polemiche inutili, le primarie sono servite a definire una linea e che questa linea è quella che consente a Bersani di rappresentare tutti». Boccia chiama in causa Bersani, ieri alle prese con il de profundis di Monti. Ora tocca al candidato premier sbrogliare la matassa. E evitare che la decantata coesione del nuovo centrosinistra «responsabile» esploda persino prima di arrivare al governo.
Anche perché una cosa sarebbe una coalizione con una lista centrista dove accogliere nomi cattolici e moderati che già si dichiarano disponibili, come ha fatto nei giorni scorsi Andrea Oliviero, presidente delle Acli e firmatario del Manifesto di Montezemolo. Tutt’altra coalizzarsi con la nomenklatura Casini-Buttiglione. Fra i firmatari del Manifesto per la Terza Repubblica c’è chi di Pd per ora non vuol sentire parlare: «Non abbiamo fatto quel che abbiamo fatto finora per essere un ‘cespuglino’ di centro nella coalizione di Bersani e Vendola», chiarisce Gianluca Susta, ex Pd traghettato nell’area di Italia Futura attraverso il movimento di Massimo Cacciari. «Solo dopo che avremo provato a vincere e solo se il risultato non garantirà la governabilità, potremo sederci al tavolo con la sinistra, scoprire le carte sui contenuti e vedere se ci saranno le condizioni per un governo di ampia coalizione».
Insomma la ‘cosa’ centrista, all’annuncio delle dimissioni di Monti, è divisa e tormentata. Montezemolo propone una coalizione a più liste: quelle del «rinnovamento» di Italia Futura, una o magari due «bad company» per Udc ed ex Pdl in fuga. Casini non gradisce e riesuma l’antica vicinanza con Fini, che nel frattempo aveva scaricato. Ma se l’area montezemoliana maltollera Casini, di Fini e della sua Fli non vuole neanche sentire parlare. «Tutte le opzioni restano in campo», è il commento filtrato ieri dagli ambienti del Manifesto. Compreso il passo indietro di Italia Futura nel caso in cui Monti dovesse decidere non solo di non scendere in campo, ma anche di non autorizzare l’utilizzo del suo nome «in franchising».
Già ieri, al manifesto, Gennaro Migliore aveva sbarrato la strada all’ipotesi di un matrimonio con l’Udc. «Non esiste nessun accordo con il centro. Sarebbe prendere in giro i tre milioni e mezzo di italiani che ci hanno votato alle primarie». Ieri alle agenzie ha rincarato la dose: «Un’intesa con Monti è impraticabile, così come un’alleanza con l’Udc, come è stato ribadito da tutti durante le primarie del centrosinistra. Non piace né a noi né agli elettori del centrosinistra la politica che gioca a nascondino». Migliore usa con accortezza le parole. Perché dal Nazareno c’è invece chi da due giorni spiega che «la coalizione resta quella Pd-Sel-Psi», mentre «l’alleanza di governo» si farà con i centristi. Un gioco di parole che si traduce in: Sel deve ingoiare la pillola amara. A Migliore infatti replica Francesco Boccia, lettiano, che per di più ha qualche ruggine con Vendola che lo ha sconfitto due volte alle primarie per le regionali pugliesi: «Evitiamo polemiche inutili, le primarie sono servite a definire una linea e che questa linea è quella che consente a Bersani di rappresentare tutti». Boccia chiama in causa Bersani, ieri alle prese con il de profundis di Monti. Ora tocca al candidato premier sbrogliare la matassa. E evitare che la decantata coesione del nuovo centrosinistra «responsabile» esploda persino prima di arrivare al governo.
Anche perché una cosa sarebbe una coalizione con una lista centrista dove accogliere nomi cattolici e moderati che già si dichiarano disponibili, come ha fatto nei giorni scorsi Andrea Oliviero, presidente delle Acli e firmatario del Manifesto di Montezemolo. Tutt’altra coalizzarsi con la nomenklatura Casini-Buttiglione. Fra i firmatari del Manifesto per la Terza Repubblica c’è chi di Pd per ora non vuol sentire parlare: «Non abbiamo fatto quel che abbiamo fatto finora per essere un ‘cespuglino’ di centro nella coalizione di Bersani e Vendola», chiarisce Gianluca Susta, ex Pd traghettato nell’area di Italia Futura attraverso il movimento di Massimo Cacciari. «Solo dopo che avremo provato a vincere e solo se il risultato non garantirà la governabilità, potremo sederci al tavolo con la sinistra, scoprire le carte sui contenuti e vedere se ci saranno le condizioni per un governo di ampia coalizione».
Insomma la ‘cosa’ centrista, all’annuncio delle dimissioni di Monti, è divisa e tormentata. Montezemolo propone una coalizione a più liste: quelle del «rinnovamento» di Italia Futura, una o magari due «bad company» per Udc ed ex Pdl in fuga. Casini non gradisce e riesuma l’antica vicinanza con Fini, che nel frattempo aveva scaricato. Ma se l’area montezemoliana maltollera Casini, di Fini e della sua Fli non vuole neanche sentire parlare. «Tutte le opzioni restano in campo», è il commento filtrato ieri dagli ambienti del Manifesto. Compreso il passo indietro di Italia Futura nel caso in cui Monti dovesse decidere non solo di non scendere in campo, ma anche di non autorizzare l’utilizzo del suo nome «in franchising».
Nessun commento:
Posta un commento