Da un po’ di tempo a questa parte il pensiero economico dominante in Europa, il cosiddetto mainstream, riceve schiaffi un po’ da tutte le parti.
Prima era stato messo in dubbio il moltiplicatore usato per calcolare gli effetti sul Pil dei tagli di spesa e si era visto che lo 0,5% usato per gestire le politiche di austerità in Europa era del tutto sbagliato per sottostima. Bisognava moltiplicare come minimo per due se non per quattro. Ovvero a ogni milione di euro in meno di spessa corrispondeva da 2 a 4 milioni di contrazione di Pil e non solo 500mila euro.
Poi è saltato fuori un brillantissimo studente under trenta che ha messo in crisi due tra i più prestigiosi economisti mondiali, quali Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, dimostrando dati alla mano che la loro teoria che la recessione era inevitabile se il rapporto fra debito e Pil superava il 90% era addirittura dovuta a un banalissimo errore contabile.
I due da allora non si sono più ripresi, anche se il secondo continua a prendersela con i keynesiani ma in modo sempre meno convincente. Infine di nuovo il Fondo monetario internazionale, dopo avere sbugiardato le autorità europee sulla questione del moltiplicatore, è tornato ad affondare il coltello nella piaga dicendo che gli europei hanno sbagliato tutto nei confronti della Grecia, aggravando la situazione anziché risolverla. Il che, dati alla mano, è una verità inconfutabile e molti di noi non hanno aspettato Olivier Blanchard per dirlo.
Giustamente Guido Rossi non si è lasciato scappare l’occasione e nei suoi articoli domenicali sul Sole 24 Ore ha messo in luce l’ottusità dei governanti europei e dell’Accademia di fronte allo sfarinarsi dei mantra del neoliberismo.
Come sappiamo l’economia non è una scienza sperimentale. Impossibile chiedere a qualcuno la dimostrazione “inconfutabile” delle proprie tesi. Tuttavia la conoscenza della storia, l’attenzione ai fatti reali e soprattutto una grande onestà intellettuale, possono aiutare per comprendere quali teorie applicare e quali abbandonare.
Ma queste doti, soprattutto l’ultima, sono molto rare, anche nel nostro mondo universitario. Il quale tuttavia non poteva restare inerte di fronte a tali polemiche. Ecco dunque che a nome dei “Bocconi Boys” scende in campo il Professor Roberto Perotti con un articolo assai duro contro Guido Rossi sullo stesso giornale confindustriale.Solo che lo fa male, dimostrando ancora una volta che a tanta irritazione non corrisponde altrettanta potenza argomentativa. Ed è un peccato perché invece il suo articolo parte assai bene e per questo ha attirato immediatamente la mia attenzione: “Oltre quindici anni fa scrissi con Alberto Alesina due lavori nei quali sostenemmo che le riduzioni della spesa pubblica facevano bene all’economia – scrive Perotti – oggi credo che la metodologia statistica che usammo allora fu errata”. Il lettore è portato a complimentarsi con l’autore, anche se forse non ci volevano quindici anni di riflessione per smontare una simile stravaganza.
Invece no. L’incipit autocritico serve solo per partire lancia in resta all’attacco di Guido Rossi, di cui si sottolinea la brillantezza culturale – e mancherebbe altro – ma solo per contrapporla alla presunta incapacità di perseguire teorie economiche fondate e di fornire ricette adeguate.
Solo che Perotti non entra nel merito di una contestazione delle posizioni di Rossi, ma cerca di gettarle nel ridicolo. Senza riuscirci. La sua argomentazione si fonda su un’unica affermazione: “il fatto che l’austerità non faccia bene non significa che vi siano sempre alternative migliori e praticabili”.
In altre parole la medicina è pessima, il malato si aggrava ma bisogna continuare. Ancora una volta TINA (There Is No Alternative). Eppure una possibilità affiora anche per Perotti che subito però la scarta. Si potrebbero fare gli Eurobond, ma il contribuente tedesco non potrebbe pagare più di quanto sta facendo.
Possibile che Perotti non sappia che la Germania è l’unico paese che sta profittando della crisi? Che fa incetta di capitali, malgrado tassi praticamente negativi, che ha aumentato l’occupazione, che ha tratto da tutte queste vicende concreti vantaggi finanziari? Il vittimismo tedesco è del tutto fuori luogo, come la stessa Merkel sa bene e infatti non ne fa uso.
Quindi c’è poco da prendersela con i keynesiani, che avranno pure le loro debolezze. Se si vuole evitare che la crisi trascini l’Europa nella dissoluzione e nel baratro, bisogna rovesciare le politiche fin qui seguite. Bisogna evitare di costringere i paesi con alto debito pubblico a impossibili restituzioni a tappe forzate, come è nel fiscal compact.
Bisogna modificare i trattati e la mission della Bce che non solo deve continuare a comprare i titoli di stato dei paesi in difficoltà, qualunque cosa dica la corte di Karlsruhe, ma dovrebbe porsi il problema di favorire la crescita, anziché contenere l’inflazione. D’altro canto vi sono debiti che proprio perché molto elevati non sono restituibili, perlomeno nella loro interezza.
Lo dimostra proprio la storia della Germania, che negli anni quaranta aveva un rapporto debito/Pil pari al 675% che negli anni cinquanta le venne ridotto al 12%, con una riduzione di oltre il 90%!. È troppo ed è irrealistico chiedere oggi alla Germania di restituire in parte il “favore”?
Certo un conto è la forza della ragione e un altro la ragione della forza. Ma questo è l’argomento. Invece Perotti chiude il suo articolo lamentandosi che si critichino i Bocconi Boys. Pensa di fare dell’ironia scrivendo “immagino che questo (ovvero l’incapacità di trovare alternative n.d.r.) sia dovuto alla cecità provocata dai nostri limiti culturali, dalla nostra idolatria del profitto, dal nostro egoismo personale e dalla nostra innata insensibilità per le sofferenze altrui, per non parlare degli interessi occulti che rappresentiamo”. Forse, Professor Perotti, lei qui è troppo schematico, ma alquanto vicino alla verità.
Prima era stato messo in dubbio il moltiplicatore usato per calcolare gli effetti sul Pil dei tagli di spesa e si era visto che lo 0,5% usato per gestire le politiche di austerità in Europa era del tutto sbagliato per sottostima. Bisognava moltiplicare come minimo per due se non per quattro. Ovvero a ogni milione di euro in meno di spessa corrispondeva da 2 a 4 milioni di contrazione di Pil e non solo 500mila euro.
Poi è saltato fuori un brillantissimo studente under trenta che ha messo in crisi due tra i più prestigiosi economisti mondiali, quali Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, dimostrando dati alla mano che la loro teoria che la recessione era inevitabile se il rapporto fra debito e Pil superava il 90% era addirittura dovuta a un banalissimo errore contabile.
I due da allora non si sono più ripresi, anche se il secondo continua a prendersela con i keynesiani ma in modo sempre meno convincente. Infine di nuovo il Fondo monetario internazionale, dopo avere sbugiardato le autorità europee sulla questione del moltiplicatore, è tornato ad affondare il coltello nella piaga dicendo che gli europei hanno sbagliato tutto nei confronti della Grecia, aggravando la situazione anziché risolverla. Il che, dati alla mano, è una verità inconfutabile e molti di noi non hanno aspettato Olivier Blanchard per dirlo.
Giustamente Guido Rossi non si è lasciato scappare l’occasione e nei suoi articoli domenicali sul Sole 24 Ore ha messo in luce l’ottusità dei governanti europei e dell’Accademia di fronte allo sfarinarsi dei mantra del neoliberismo.
Come sappiamo l’economia non è una scienza sperimentale. Impossibile chiedere a qualcuno la dimostrazione “inconfutabile” delle proprie tesi. Tuttavia la conoscenza della storia, l’attenzione ai fatti reali e soprattutto una grande onestà intellettuale, possono aiutare per comprendere quali teorie applicare e quali abbandonare.
Ma queste doti, soprattutto l’ultima, sono molto rare, anche nel nostro mondo universitario. Il quale tuttavia non poteva restare inerte di fronte a tali polemiche. Ecco dunque che a nome dei “Bocconi Boys” scende in campo il Professor Roberto Perotti con un articolo assai duro contro Guido Rossi sullo stesso giornale confindustriale.Solo che lo fa male, dimostrando ancora una volta che a tanta irritazione non corrisponde altrettanta potenza argomentativa. Ed è un peccato perché invece il suo articolo parte assai bene e per questo ha attirato immediatamente la mia attenzione: “Oltre quindici anni fa scrissi con Alberto Alesina due lavori nei quali sostenemmo che le riduzioni della spesa pubblica facevano bene all’economia – scrive Perotti – oggi credo che la metodologia statistica che usammo allora fu errata”. Il lettore è portato a complimentarsi con l’autore, anche se forse non ci volevano quindici anni di riflessione per smontare una simile stravaganza.
Invece no. L’incipit autocritico serve solo per partire lancia in resta all’attacco di Guido Rossi, di cui si sottolinea la brillantezza culturale – e mancherebbe altro – ma solo per contrapporla alla presunta incapacità di perseguire teorie economiche fondate e di fornire ricette adeguate.
Solo che Perotti non entra nel merito di una contestazione delle posizioni di Rossi, ma cerca di gettarle nel ridicolo. Senza riuscirci. La sua argomentazione si fonda su un’unica affermazione: “il fatto che l’austerità non faccia bene non significa che vi siano sempre alternative migliori e praticabili”.
In altre parole la medicina è pessima, il malato si aggrava ma bisogna continuare. Ancora una volta TINA (There Is No Alternative). Eppure una possibilità affiora anche per Perotti che subito però la scarta. Si potrebbero fare gli Eurobond, ma il contribuente tedesco non potrebbe pagare più di quanto sta facendo.
Possibile che Perotti non sappia che la Germania è l’unico paese che sta profittando della crisi? Che fa incetta di capitali, malgrado tassi praticamente negativi, che ha aumentato l’occupazione, che ha tratto da tutte queste vicende concreti vantaggi finanziari? Il vittimismo tedesco è del tutto fuori luogo, come la stessa Merkel sa bene e infatti non ne fa uso.
Quindi c’è poco da prendersela con i keynesiani, che avranno pure le loro debolezze. Se si vuole evitare che la crisi trascini l’Europa nella dissoluzione e nel baratro, bisogna rovesciare le politiche fin qui seguite. Bisogna evitare di costringere i paesi con alto debito pubblico a impossibili restituzioni a tappe forzate, come è nel fiscal compact.
Bisogna modificare i trattati e la mission della Bce che non solo deve continuare a comprare i titoli di stato dei paesi in difficoltà, qualunque cosa dica la corte di Karlsruhe, ma dovrebbe porsi il problema di favorire la crescita, anziché contenere l’inflazione. D’altro canto vi sono debiti che proprio perché molto elevati non sono restituibili, perlomeno nella loro interezza.
Lo dimostra proprio la storia della Germania, che negli anni quaranta aveva un rapporto debito/Pil pari al 675% che negli anni cinquanta le venne ridotto al 12%, con una riduzione di oltre il 90%!. È troppo ed è irrealistico chiedere oggi alla Germania di restituire in parte il “favore”?
Certo un conto è la forza della ragione e un altro la ragione della forza. Ma questo è l’argomento. Invece Perotti chiude il suo articolo lamentandosi che si critichino i Bocconi Boys. Pensa di fare dell’ironia scrivendo “immagino che questo (ovvero l’incapacità di trovare alternative n.d.r.) sia dovuto alla cecità provocata dai nostri limiti culturali, dalla nostra idolatria del profitto, dal nostro egoismo personale e dalla nostra innata insensibilità per le sofferenze altrui, per non parlare degli interessi occulti che rappresentiamo”. Forse, Professor Perotti, lei qui è troppo schematico, ma alquanto vicino alla verità.
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