L'Italia ha sei mesi di tempo per evitare di dovere bussare
alla porta dell'Europa e chiedere un piano di salvataggio. L'allarme
arriva da un rapporto di Mediobanca securities, citato oggi da Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano.
Secondo la controllata londinese della banca, il Paese deve al più
presto ritrovare la via della crescita servendosi delle riforme varate
dal governo Monti, altrimenti l'aggravarsi della crisi, scrive
l'analista Antonio Guglielmi, "potrebbe costringere il Paese alla
richiesta di salvataggio".
Secondo il report la situazione è persino "peggiore" a quella del
1992 anche perchè l'Italia "non può più contare sulla leva della
svalutazione".
Il rapporto di Guglielmi sottolinea un fenomeno inquietante: di recente sul mercato in vari momenti (anche ieri) il rendimento dei Btp ha superato quello dei Bot di pari durata. Perché i mercati chiedono un interesse più basso per un Bot che dovrà essere rimborsato tra sei mesi rispetto a un btp ventennale emesso 19 anni e sei mesi fa? "Questa differenza di rendimento non ha alcuna ragione di esistere a meno che i mercati non stiano facendo differenza tra i bond a rischio ristrutturazione (Btp) e quelli non soggetti a ristrutturazione (Bot e strumenti di mercato monetario)". Traduzione: gli investitori si aspettano che nei prossimi sei mesi l'Italia possa dichiarare una parziale bancarotta sul suo debito.
I rimedi. Per invertire la rotta, e dare una
sforbiciata pesante agli oltre 2000 miliardi di debito pubblico, il
report valuta si possano reperire fino a 75 miliardi "senza danneggiare i
consumi". Da un innalzamento delle aliquote sulle rendite finanziarie,
con esclusione dei titoli di Stato, a un prelievo una tantum al 10 per
cento più ricco della popolazione - con un patrimonio superiore a 1,3
milioni di euro, da cui si potrebbe ottenere, secondo Guglielmi, fino a
43 miliardi di euro. Altri 20 miliardi potrebbero essere recuperati dai
capitali nascosti in svizzera. Due miliardi, infine, da un condono
edilizio.
Tempi stretti. Una sorta di ultimatum, quello
lanciato dal report, che arriva mentre il governo si appresta a rinviare
proprio in autunno tutte le principali inizative economiche, dal blocco
dell'innalzamento dell'iva, alla rimodulazione dell'Iva, fino a una
più incisiva riforma del mercato del lavoro, per la quale il ministro
Giovannini non è riuscito a reperire le risorse già a giugno. Il tutto,
mentre la cornice europea e mondiale rischia di infuocarsi. Dalla nuova
esplosione della crisi greca (e anche da Cipro nei giorni scorsi sono suonati diversi campanelli di allarme), alla possibile chiusura progressiva dei rubinietti della Federal Reserve, annunciata tre giorni fa da Ben Bernanke.
Segnali di incertezza e preoccupazione che potrebbero impattare
direttamente sullo spread. Ecco perchè la politica del "ne riparliamo"
messa in atto dal governo Letta, fra qualche mese, potrebbe presto
diventare carta straccia. Perché tra qualche mesi potremmo avere altro
di cui parlare.
Rapporto Mediobanca sul default Italia: se i governi sono ostaggio dei mercati arrivano gli avvoltoi
Guido Salerno, L'Huffingtonpost
“Italy on sale”: oggi è peggio del 92. Allora si svendette
solo l’industria di Stato, magari ad altri italiani indebitati, con le
banche angloamericane che lucravano sugli invisibles, gli interessi
pagati dalle imprese comprate a debito dai nuovi capitalisti e le ricche
provvigioni. Serviva a salvare l’Italia dalla bancarotta: la solita
scusa per depredarla facendosi pure ringraziare.
Dopo il papa straniero, quello laico che doveva salvare l’Italia dal
baratro, e invece ce la ritroviamo dentro, è la volta degli avvoltoi.
Chi li guarda volteggiare in aria non ha più dubbi: “L’Italia è in bancarotta. Rischia un default nei prossimi sei mesi!”
Un titolone così fa sempre un grande effetto, soprattutto se si basa su
un dossier riservato della più grande banca d’affari italiana, visto
che le preoccupazioni sono espresse in un dossier riservato di
Mediobanca Securities, la controllata londinese della capofila milanese
che proprio in questi giorni ha deciso di abbandonare una strategia
decennale, quella di essere il nume tutelare della galassia del nord,
del capitalismo familiare italiano. Una ciliegia tira l’altra: tutto si
tiene.
L’ultimo in ordine di tempo ad aver tagliato la giugulare
all’economia italiana è stato il risanamento strutturale deciso dal
Governo Monti. Sono i suoi stessi documenti previsionali che dimostrano
come la cura sia stata sbagliata: al netto degli aiuti all’estero,
secondo il Def presentato ad aprile del 2012, quest’anno il rapporto
debito/pil sarebbe stato del 117,9%. Ad aprile scorso, come ultimo atto
prima di lasciare Palazzo Chigi, la stima è stata aggiornata: siamo al
126,9%. Invece di diminuire rispetto all’anno precedente, è aumentato di
nove punti. L’Italia è in ginocchio, tra tasse, tagli e credit crunch,
visto che da maggio scorso il credito ai privati è diminuito di 51
miliardi. Siamo rosolati a dovere.
I modelli di business si adeguano ai tempi: per le grandi case
d’affari ora è il tempo di comprare dai debitori in difficoltà. Fu così
con i Paesi dell’est subito dopo la caduta del Muro, pieno di finti
turisti pronti a fare affari: contanti in tasca e pacca sulla spalla.
Arrivavano sapendo che avrebbero potuto portar via per pochi soldi
intere collezioni di porcellane antiche, case con vista sul Danubio, ma
soprattutto industrie da rimettere in sesto con l’apertura del mercato
europeo, con i contributi della UE e salari da fame. Con i nostri soldi e
licenziando i nostri operai, la povertà dell’est post-comunista è stata
per anni l’Eldorado di banche e capitani d’industria.
A essere maligni, si potrebbe pensare che basta poco, non serve
neppure soffiare sul fuoco: la Borsa di Istambul ha perso il 19% in un
mese, mentre due giorni di proteste in Brasile sono bastati per mettere i
capitali in fuga. Un Paese indebolito è costretto a svendere, dalle
aziende pubbliche alle reti di comunicazioni: il caso della Grecia è di
questi mesi.
Ora ci si accinge a fare dell’Italia un sol boccone di imprese e
patrimonio immobiliare. Le imprese hanno i bilanci in rosso, e le
famiglie sono in difficoltà con le rate dei mutui. Le banche devono
sgravarsi delle sofferenze: pazienza per le nuove perdite, che si chiede
allo Stato di dedurre in unica soluzione per pagare meno tasse. Si
vende tutto al 20% del valore di libro: comprano i ristrutturatori. Le
aziende e le case andranno all’asta, per un tozzo di pane: in fumo i
sacrifici di una vita. Quando i prezzi saliranno, il ristrutturatore si
troverà un bel guadagno: è solo questione di tempo.
Servono, quindi, soldi liquidi per comprare a sconto dalle stesse
banche i debiti incagliati, intere aziende, centri commerciali, immobili
di ogni tipo: forse è per questo che si cambia modello di business, si
dichiara al mondo che è una inutile perdita di tempo stare appresso ai
patti di sindacato, con i soci sussiegosi che magari chiedono di
ripianare le perdite con nuovo credito ed altro capitale. Bisogna
vendere le partecipazioni e mettersi in caccia. Un dossier in
contemporanea sulla situazione disastrata delle finanze pubbliche
italiane ci sta tutto, tanto il rischio di default è prezzato
quotidianamente con i Cds.
Facciamo due conti: su un mutuo al tasso del 5%, il capitale
raddoppia in quindici anni. Comprare un’immobile al 20% del prezzo
dell’ipoteca è un gioco da ragazzi: basta la crisi, una rata saltata e
un’asta deserta. Fra tre anni, quando il mercato si riprenderà e si
venderà all’80% del prezzo dell’ipoteca, il capitale sarà quadruplicato
in un quinto del tempo.
C’è quando serve mettere il denaro per far comprare e quando toglierlo per costringere a venderle, ma le lacrime di chi perde la casa rendono più del sudore di chi la paga. Se i Governi sono ostaggio dei mercati, aleggiano gli avvoltoi.
C’è quando serve mettere il denaro per far comprare e quando toglierlo per costringere a venderle, ma le lacrime di chi perde la casa rendono più del sudore di chi la paga. Se i Governi sono ostaggio dei mercati, aleggiano gli avvoltoi.