venerdì 14 giugno 2013

La Linke alla prova dell’euro


La Linke alla prova dell’euro
Scontro sulla linea di Lafontaine per l’abbandono della moneta unica e sull’alleanza con Spd
di Iacopo Rosatelli - Il Manifesto

Da oggi la Linke celebra il suo terzo congresso federale, dedicato esclusivamente ad approvare il programma per le elezioni del 22 settembre. Chi si aspetta un appuntamento rituale sbaglia: i delegati della formazione social-comunista, riuniti fino a domenica a Dresda, non devono ratificare decisioni già prese, ma sono chiamati a scegliere su questioni importanti. E controverse. Su tutte, la fine dell’euro: il tema al centro della discussione nel partito, e non solo, da quando Oskar Lafontaine ha proposto il ritorno al sistema monetario europeo in vigore fino al 1993.
A dire il vero, nessun emendamento al testo proposto dalla direzione chiede esplicitamente di fare ciò che sostiene l’ex segretario del partito. I settori «lafontainiani» si limitano a volere che nel programma non figuri ciò che si legge nella bozza stilata dal vertice, e cioè: «Anche se l’edificio dell’Unione monetaria presenta molti errori di costruzione, la Linke non è favorevole alla fine dell’euro». Al posto di questa dichiarazione pro-euro, dovrebbe stare una formulazione che apra alla possibilità di una «ridefinizione» e di un «nuovo inizio» dell’unione monetaria: linguaggio prudente per dire che non si deve escludere a priori un’eventuale fine della moneta unica così come l’abbiamo conosciuta. O, come minimo, che se uno stato deciderà che è meglio uscire dall’euro, dovrà poterlo liberamente fare.
Il punto è, ovviamente, molto delicato. Se dovessero prevalere i fautori delle tesi di Lafontaine, diminuirebbero ulteriormente le possibilità per la Linke di presentarsi come potenziale componente di una (comunque improbabile) coalizione di governo delle sinistre: sia per il Partito socialdemocratico (Spd) sia per i Verdi sarebbe ancor più «imbarazzante» prendere in considerazione l’ipotesi di allearsi con chi «vuole la fine dell’euro». Ragion per cui l’ala moderata e riformista della Linke, che cerca di tenere aperto uno spiraglio per un appoggio esterno ad un esecutivo Spd-Verdi, darà battaglia e cercherà di tenere il punto: l’euro funziona male, ma la sua esistenza non è in discussione.
Un altro fronte su cui il dibattito interno è acceso riguarda la politica estera. In particolare, le missioni militari oltreconfine condotte dalla Bundeswehr, l’esercito tedesco. Per la direzione del partito – unitaria, ma dove i pragmatici sono maggioranza – la Linke deve opporsi alle «missioni di guerra» dei soldati, ma non al loro impiego tout court. Le correnti più radicali, come la Antikapitalistische Linke guidata da Sahra Wagenknecht, vicinissima a Lafontaine, sostengono invece che vada rifiutato qualunque impegno dell’esercito. Ad esempio, anche in una missione come quella in Libano – che in Italia fu votata anche da Rifondazione durante l’ultimo governo Prodi.
Dal canto loro, i riformisti della corrente di maggioranza relativa Forum Demokratischer Sozialismus vorrebbero inserire nel programma un esplicito richiamo all’importanza della salvaguardia dei diritti umani e al «dovere di proteggere» le popolazioni anche contro i loro governanti. Dopo i processi di Norimberga, il diritto internazionale non ritiene più che la sovranità degli stati sia sempre inviolabile: «e questo – argomentano – lo riteniamo un progresso fondamentale della civiltà».
Come per l’euro, anche in questo caso la disputa riguarda, al di là del tema specifico, il rapporto con le sinistre «di governo»: se si esclude del tutto e in qualunque forma ogni invio di soldati all’estero, le possibilità di dialogo con Spd e Verdi si riducono a zero. E proprio il distanziamento più radicale possibile dalle altre forze progressiste è l’obiettivo di fondo di Lafontaine, convinto che solo in questo modo la Linke possa avere un ruolo significativo sulla scena politica. Riuscendo a raccogliere anche il consenso di quei settori sociali popolari che, in una fase di impoverimento che investe anche la Germania, potrebbero risultare sensibili alle sirene del nuovo partito conservatore, euroscettico e nazionalista, Alternative für Deutschland.
Le diverse posizioni sui rapporti a sinistra, e quindi su eventuali responsabilità di governo, pesano. L’unità si ritrova nella critica radicale alla politica interna ed europea della cancelliera Angela Merkel, «che ha trasformato la crisi dei mercati finanziari in crisi dei debiti pubblici». Ma non sono solo gli ultimi anni a rappresentare il problema: «redistribuzione dei redditi dal basso verso l’alto, deregolamentazioni e privatizzazioni» sono cominciate già negli anni di governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, afferma il programma. Gli squilibri dentro l’Ue, insomma, sono nati da quando in Germania si è imposta la moderazione salariale per dare forza all’export e si sono abbassate le tasse alle imprese.
Per una svolta, la Linke propone un salario minimo intercategoriale per legge di 10 euro all’ora (mentre il sindacato ne chiede 8,5), la reintroduzione dell’aliquota massima del 53% sui redditi più alti, in vigore quando era cancelliere il democristiano Helmut Kohl, e una patrimoniale per le ricchezze oltre il milione di euro. Il dibattito è aperto, invece, sul reddito di cittadinanza: non tutte le correnti sono d’accordo. Così come ci sarà discussione sulla proposta dei «lafontainiani» guidati da Wagenknecht di mettere nero su bianco l’obiettivo della settimana lavorativa di 30 ore a parità di salario.

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