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questo siamo arrivati. Che la qualità di governo e di visione è ormai
così scaduta, che persino Capezzone giganteggia. E a proposito delle
future svendite di quote societarie dello stato, per raggranellare 10 –
12 miliardi non per la crescita, ma per soddisfare Bruxelles
dice: “Proprio io, che sono un liberale, un privatizzatore, un fautore
della riduzione della presenza pubblica in ogni ambito, dico però che
gli annunci odierni del governo assomigliano a un’ operazione da
disperati, simile a chi vende un pezzo d’argenteria di casa per pagare
gli usurai”.
Si è proprio da disperati, da gente che non ha alcuna idea in testa
se non quella di imbarcare sulla zattera della medusa una classe
dirigente fallita e tentare di farla galleggiare in qualche modo, di
salvare rendite di posizione, patrimoni, affarismi opachi, prassi
oligarchiche e corruzione dilagante con la benedizione di una politica
ormai ridotta come la torta sbrisolona dopo una festa di compleanno di
bambini. E con l’unica concreta possibilità di ricompattarsi solo dentro
un contenitore neo democristiano, dentro un berlusconismo stilè che
posa essere benedetto dai vescovi e usato dall’Europa.
Non è un caso che il regista sia un vetusto e ambiguo travet della
politica, mai brillante e oggi così appannato da trasformare la banalità
in ossessione, deciso a vendicare sulla nostra pelle la sua perenne
insignificanza e l’esecutore un giovane allievo delle sublimi nullità da
congresso come una pastina diplomatica: sono loro che tengono le fila
di questo mondo di vlasti che non vuole lasciare la presa, come il caso
Cancellieri dimostra con sconcertante evidenza. E come dimostra, su un
altro versante, la Fiat che aveva promesso il raddoppio della produzione
in Italia per far passare il piano Pomigliano e addomesticare i
sindacati, salvo diminuire del 60% in appena due anni le auto
assemblate. E se qualcuno è in grado di farli cadere dal monumento
equestre al quale si sono incollati, sarà paradossalmente la causa
prima, la radice prima di questo degrado, cioè un Berlusconi deciso a
vendicarsi e brandire strumentalmente le piaghe del Paese, incorporando
la protesta e svuotando come un guanto il M5S: le parole di Capezzone
non sono che la prova microfono di tutto questo, l’avvertimento a quelli
che per caso non vogliano graziare Silvio dopo aver salvato Anna Maria.
Però in un caso o nell’altro non si uscirà dalla palude, nemmeno per
arrivare in un territorio sconosciuto e impervio, ma finalmente nuovo:
quello di Napolitano e Letta non è altro che una viscyssoise di
berlusconismo, depurato dalla spiacevole sensazione dei pezzettoni di
patata, cipolle e porri dei conflitti di interesse più sciagurati e
tuttavia tollerati, del malaffare ostentato, delle serate di Arcore,
simbolo del resto della dolciastra vita della classe dirigente. La
stessa cosa, solo passata al mixer e venduta come piatto del giorno ad
un Paese disorientato incapace di abbandonare le prassi e i relativi
alibi in cui è vissuto per trent’anni, le sub culture di cui si è
alimentato grazie ai media, anche di fronte all’implosione del “modello
di sviluppo”, già di per sé anomalo e alla deriva, ma colpito a morte
dalla finanziarizzazione e dalla globalizzazione intervenute su un
sistema opaco di clan. La prima ha risucchiato le risorse destinate agli
investimenti assolutamente necessari ad affrontare la seconda,
l’immobilismo ha fatto il resto.
E oggi si cerca di ingessare tutto questo, nella speranza che le
fratture si ricompongano da sole per qualche miracolo, mentre il rischio
chiarissimo è la perdita funzionale degli arti.
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