Non tutto il male viene per nuocere. E così la diffusione della telefonata nella quale Vendola salamelecca con l’uomo della comunicazione dell’Ilva, Girolamo Archinà e si compiace in modo indecoroso del modo in cui quest’ultimo era riuscito ad evitare le domande di un giornalista sui veleni della fabbrica, spiega molte cose finora imputate a errori politici. Spiega ad esempio come mai Vendola abbia perso la grande occasione di offrire un rifugio di sinistra ai moltissimi elettori delusi dal Pd e probabilmente illustra i motivi della scissione che ha dato vita a Sel: era la scomparsa della tensione morale verso una visione alternativa e la resa ai compromessi col potere (si chiama governabilità o stabilità adesso), anche i più opachi e i più ingiusti.
E’ impressionante ascoltare il compiacimento ridanciano per la furbata di Archinà nell’arginare le domande, nel contenere la possibilità di informazione; è agghiacciante sentire Vendola definire “provocatore” chi semplicemente osava fare una domanda sul degrado ambientale portato dall’Ilva. Sono parole che non sfigurerebbero nell’album degli orrori morali del Paese e suonano quasi come le famose risate dopo il terremoto dell’Aquila. Così anche Vendola può essere archiviato nel disastro di quella sinistra che con la scusa di non voler essere solo opposizione si sente per questo autorizzata ad accettare qualsiasi cedimento, come se non fosse possibile governare con un minimo di onestà e anche di efficienza, come se questa scelta contenesse in sé la sottomissione ai padroni del vapore e ai loro profitti.
Non so quanti di Sel si sentirebbero di contestare questi atteggiamenti del capo narrante e ahimè trattante a questi livelli, ma non c’è dubbio che Vendola non ha altra strada che dimettersi per salvare ciò che resta di questo disastro nel quale ha trascinato la sua formazione politica. Per la quale ormai rischia di essere peggio dei fumi che escono dalle ciminiere dell’acciaieria. Almeno questo lo può fare: dopo tutto non è una “realtà produttiva”.
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