Doveva risuccedere ed è risuccesso. Del resto si era capito fin
dall'inizio che a Beppe non reggeva la pompa, lo avevamo intuito fin da
quando invece che portare mezza Italia sotto il parlamento durante
l'elezione del Presidente della Repubblica decise insieme al resto della
sua truppa di indirizzare l'indignazione crescente in una passeggiata
civile verso il Colosseo. Dopo mesi di discussioni inutili su scontrini e
regole interne, di polemiche durate il battito d'ali di una farfalla,
siamo ancora al punto d'inizio. Polemiche e niente più.
Grillo pensa che
menando colpi a destra e manca a chiunque si permetta di criticarlo
possa uscire dalle difficoltà nelle quali è finito il suo movimento
entrando in parlamento. Penso però che si sbagli di grosso, più tempo
passa e più l'energia cala, ed il paradosso è che la sua dimensione anti
sistemica sta venendo riassorbita dallo stesso meccanismo che ha
determinato la forza del 5 stelle. La polemica politica su questioni che
non riguardano la vita di milioni di italiani infatti avvicina pochi ma
allontana molti. Oggi il bersaglio delle invettive di Grillo è stato ad
esempio Rodotà, mentre alcuni giorni fa la Gabanelli è stata duramente
criticata dal movimento. Chiunque critica il movimento viene messo fuori
dal pantheon grillino senza tante premure in nome della difesa ad
oltranza dagli attacchi esterni. Sapere perchè Grillo faccia tutto
questo non mi interessa molto, mi interessa invece riflettere sul fatto
che il m5s si sta dimostrando sempre di più incapace di organizzare la
rottura che in qualche modo il popolo italiano gli aveva "delegato" a
produrre. Ciò avviene perchè Grillo ed il suo movimento sono di fatto
incapaci a produrre autonomamente iniziativa politica e conflitto
sociale. La Casta è una vergogna, ma non basta più urlare questo slogan
di fronte ad un processo così devastante come la crisi economica che
stiamo attraversando. Grillo può aderire ad una manifestazione della
Fiom, essere parte attiva e sostenere movimenti, ma non riesce a
produrre in termini concreti la rottura sistemica necessaria, non lo fa
nemmeno contro l'Europa Monetaria che è invece il vero grande avversario
contro cui inveire. Invece che con Rodotà, Grillo dall'alto del suo
Blog, doveva scagliarsi in questi giorni contro Letta e la Commissione
Europea. Contro quell'Europa che ha richiesto di non allentare la corda
al nostro paese ed un Governo che accetta tutto con il capo chino.
Evidentmente questi temi non aumentano i click, meglio la sana e vecchia
polemica politica allora, con quella si va sul sicuro. Vediamo a chi
tocca domani.
di Riccardo Orioles, Il Fatto Quotidiano
Il fatto è che in questo momento Rodotà è il leader dell’opposizione.
O del cambiamento, della rivoluzione, o come cavolo la volete chiamare:
quella cosa insomma che sarebbe già in funzione da tre mesi se i capi
del M5S e del Pd avessero fatto il governo che volevano i loro elettori.
Rodotà, a differenza di Bersani, non ha una destra interna cui rendere conto. E, a differenza di Grillo,
è un politico vecchio e con le idee chiare. Si muove con cautela e
lentezza, senza chiasso; ma va avanti con metodo, e guadagna. Non ha
ambizioni personali – è troppo orgoglioso per averne – ed è chiaramente
un king maker, non un pretendente. Ha dei gruppi di base alle
spalle (piccoli ma non solo virtuali, a differenza di Grillo) ed è al
centro di una rete articolatissima di simpatie, di movimenti, di segnali
che attraversano tutta la società progressista.
E’ – a differenza di Grillo – solidamente e ostentatamente di sinistra.
Questo gli nega exploit improvvisi, da puro malcontento indistinto, ma
gli garantisce un radicamento e una durata che il suo rivale non ha.
Il
tempo gioca per lui: l’assetto del Pd è fragilissimo e obbliga a un
continuo doppio binario gli attuali dirigenti di quel partito, sia i
“vecchi” alla Epifani (al Psi non portò fortuna chiamare a segretario un
ex sindacalista socialista) che i “giovani” alla Renzi. E’ un governo
balneare, che non sopravviverà all’autunno. E cadrà da sinistra, in
un’occasione qualunque.
Rodotà, che ne ha viste tante, capisce che
non serve a niente un ennesimo nuovo partito. Lui scava più in
profondo: ha memoria abbastanza per sapere che nei momenti di svolta non
è un partito che serve ma un larghissimo – e militante – movimento di liberazione.
Questo si sta formando senza accorgersene, un giorno dopo l’altro,
lentamente. L’ultima volta che s’è intravisto è stato al referendum per
l’acqua pubblica di due anni fa (Rodotà, non a caso, ne era il maggior
esponente), ma la prossima volta emergerà – autunno – su temi più
drammaticamente sociali.
Grillo sa tutto questo, penso, ma non ha
la cultura politica per venirgli a patti. Una visione piccoloborghese
del mondo – noi che traffichiamo, voi che campate di pensioni e stipendi
– e anche umanamente rudimentale, divisa fra vecchi e giovani, fra
italiani e stranieri, fra noi furbi e voi che non capite un cazzo. Alla
Brunetta, alla Renzi, alla professor Miglio.
In tutto questo, rischia di disperdersi quello che è stato il contributo storico del movimento di Grillo
a questo sfortunato paese. Non il programma (simpatico) non la buffa
campagna contro i “costi della politica” (avete idea di quanto ha
portato all’estero la sola famiglia Agnelli?), ma il grido di dolore di
tutta una generazione di giovani, lasciati nella precarietà e
nell’ignoranza, che ha massicciamente votato Cinque Stelle perché non le
restava altro da fare.
Ora non grida più, non vota più.
E’ buffo il cantar vittoria della nomenklatura Pd, se nella capitale
d’Italia oltre metà del popolo non ha voluto votare. E’ amara la
risposta di Grillo: pensionati di merda, non mi capite. Amaro, buffo, e
tragico, perché può significare la fine del Paese.
Gli storici, fra qualche anno, attribuiranno facilmente le responsabilità più immediate di questo distacco fra popolo e democrazia.
Ne daranno una piccola parte alle urla di Grillo, una parte maggiore al
tradimento dei centouno boiardi che hanno preferito Berlusconi al
governo progressista, e una ancora più grande al massimo garante della
Repubblica che invece di preservare i valori comuni ha fatto i “governi
tecnici”, ossia indipendenti da ciò che, bene o male, il popolo nella
sua ignoranza aveva avuto la scortesia di suggerire.
Adesso, è una
gara contro il tempo. Qualcuno – ad esempio Rodotà – riuscirà a
rimettere insieme, senza presunzioni ducesche e con infinita pazienza,
l’elettorato democratico, maggioritario ma disperso, oppure fra dieci
anni l’Italia non esisterà più, marcita nella rassegnazione.
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