Fino a qualche mese fa l’economista Christian Marazzi, docente dell’
università di scienze applicate di Basilea, era convinto che l’euro
fosse prossimo a spaccarsi. Non era il solo. «Da Roubini a Krugman ma
anche secondo molti altri economisti, la sua fine era prossima. Non è
successo e questo si deve alle politiche monetarie di Draghi che dalla
fine del 2011 in poi ha impresso una svolta monetaria molto forte. Nel
confronto tra gli americanisti da una parte e i tedeschi dall’altra,
l’hanno spuntata i primi. Molti ora si riempiono la bocca il calo dello
spread, ma la verità è che ciò è frutto della politica monetaria della
Bce, non è il risultato di chissà quali riprese di fiducia nei confronti
di paesi come l’Italia o la Spagna. Bisogna anche dire che hanno
salvato l’euro, le banche europee ma non hanno salvato l’economia».
La fine dell’euro allora è solo rinviata?
Sono più cauto adesso, ma si, penso che l’euro alla fine si spaccherà
a causa delle sue contraddizioni interne e che quindi il problema sarà
di tipo geopolitico più che monetario. Perché la spaccatura dell’euro
porterebbe a una spaccatura dell’Europa in due aree, l’asse atlantico e
quello tedesco, finlandese, orientato a est verso la Cina e la Russia in
particolare. La situazione fuori dall’Europa rimette in gioco quello
che sembrava essersi stabilizzato.
Si riferisce alla svalutazione monetaria in America, Giappone, Cina e altri paesi? Lei l’ha definito keynesismo finanziario.
Il keynesismo finanziario è il modo nel quale si cerca di governare
un capitalismo che non sembra politicamente governabile. Da una parte
contiene delle grosse contraddizioni: si tenga conto che entro la fine
dello scorso anno praticamente tutte le grandi banche centrali del mondo
– la Fed, la Banca d’Inghilterra, la Banca del Giappone e anche la BCE –
hanno deciso di iniettare liquidità a più non posso. É impressionante
la quantità di liquidità che queste banche stanno iniettando e
continuano a iniettare per contenere o gestire queste contraddizioni,
che sono quelle di un capitalismo nel quale la creazione di liquidità di
moneta resta all’interno del circuito finanziario e non ricade
sull’economia cosiddetta reale, non genera quella domanda necessaria per
contenere la recessione che è comunque strisciante o reale come in
Europa. Perciò, se vogliamo usare l’espressione keynesismo non possiamo
non riferirlo oggi soprattutto alla creazione di liquidità da parte
delle banche centrali che genera un aumento della domanda effettiva sui
mercati finanziari, ma certamente non su quelli dell’economia reale. C’è
un welfare finanziario in corso che vede attraverso le forme
dell’indebitamento la creazione di una domanda di titoli che a sua volta
genera ulteriore domanda.
Dunque una politica che non aiuta realmente le economie dei paesi che la praticano.
Nel breve termine sì, ma secondo alcuni studiosi non nel medio e
lungo termine. Perché la svalutazione dello yen aiuti le esportazioni
giapponesi bisognerebbe che le queste aumentassero moltissimo. Si parla
di un aumento del saldo della bilancia commerciale di più del 10 per
cento. E questo è molto improbabile che accada vista la competizione per
accaparrarsi i mercati esteri svalutando.
Ma per l’Europa quali sono le conseguenze della massiccia svalutazione attuata dal Giappone?
Una delle conseguenze della svolta monetaria giapponese è che questa
enorme iniezione di liquidità invece di restare all’interno del paese si
riversa sui mercati che offrono i rendimenti maggiori, e quindi
sull’euro, sui buoni del tesoro, eccetera. Con un effetto – se vogliamo
chiamarlo così – benefico sui mercati azionari europei perché oltre alla
liquidità iniettata dalla Bce ci sarebbe quella proveniente dal
Giappone che permetterebbe di aumentare il valore delle obbligazioni
pubbliche, ridurre i tassi di interesse e di andare sui mercati
azionari. Ma parliamoci chiaro. Questa situazione porta dritti alla
bolla finanziaria, siamo già ai limiti storici per le quotazioni
borsistiche, figuriamoci con tutta questa liquidità che si aggiunge a
quella della Federal Reserve e a quella europea.
Cosa comporta la bolla finanziaria?
Un’ulteriore stretta sulla spesa pubblica e cioè ulteriori tagli alla
spesa sociale per far fronte alla svalutazione dei titoli pubblici, poi
un ulteriore trasferimento di potere, di sovranità, di governance ai mercati finanziari.
Dunque tutte le dichiarazioni in sede europea sulla necessità
di allentare il rigore per dare fiato all’economia reale sono fasulle?
Mi sembra che in atto ci sia solo la volontà di attenersi alle regole
del gioco imposte dai mercati finanziari, dalla Bce e dalla commissione
europea ancora dominata dalla Germania e non vedo niente all’orizzonte
per quanto riguarda la necessità di sostenere la domanda interna. E se
non lo fa la Germania, che ha una situazione tra le migliori,
figuriamoci cosa può fare la Spagna o l’Italia a questo proposito. La
crisi continua alla grande e in un senso opposto agli obiettivi della
zona euro. Per esempio negli ultimi mesi si è assistito intanto ad una
divergenza tra paesi del nord e paesi del sud, e poi le politiche di
austerità non hanno favorito la diminuzione dei debiti e dei deficit
pubblici. Poi il keynesismo finanziario non ha inciso sull’economia
reale perché la liquidità creata è rimasta nei circuiti finanziari ma
non è arrivata alle imprese o ai consumatori. Come ultima cosa c’è una
rinazionalizzazione dei destini finanziari ed economici. Si è visto con
Cipro. Gli investitori si orienteranno a questo punto su valutazioni
nazionali, non secondo una logica europea. Tutte queste cose congiurano
contro la solidità dell’euro.
Molti economisti di sinistra in Italia affermano che dovremmo uscirne.
L’euro così com’è non ci piace. Uscire dall’euro però è una cosa che
vedo con un certo timore. Intanto se è vero che lo si dice a sinistra è
vero anche che la stessa cosa avviene nell’estrema destra. La
rivendicazione del ritorno alla sovranità nazionale può portare a forme
di protezionismo, di autarchia secondo me pericolose. Non c’è dubbio che
il progetto neoliberista di piegare i popoli europei alle logiche della
finanza siano state realizzate attraverso l’euro. Però penso che
bisogna in un certo senso trovare una via diversa. Essere dentro l’euro
ma contro di esso. Senza però con questo ritornare alle monete
nazionali. Non perché non ci siano progetti in tal senso che sono anche
convincenti.
Per esempio?
Si parla di una sorta di bancor europeo, sulla scia di quello
proposto da Keynes a Bretton Woods nel 1944, una sorta di moneta
sovranazionale che funga da veicolo di poteri d’acquisto negli
interscambi intraeuropei. Questo permetterebbe un ritorno alle monete
nazionali che sarebbero agganciabili secondo delle modalità fisse ma
aggiustabili. C’è la possibilità di immaginare un’Europa monetaria che
non sia vittima o intrappolata dentro queste logiche dell’euro. Bisogna
dire che in verità all’interno della zona euro non c’è più l’euro come
moneta unica. Si comincia già a parlare di monete parallele. Per
esempio, il fatto che sia stata vietata la mobilità dei capitali in
uscita da Cipro vuol dire che un euro a Cipro non vale la stessa cosa di
un euro in Italia o in Francia e Germania. Dentro questa tendenza, se è
una tendenza, qual è la prospettiva di questa sorta di moltiplicazione
di euro all’interno della moneta unica? Da una parte complica le
dinamiche monetarie intraeuropee però dall’altra costringe ancora di più
i movimenti, le forme di resistenza, a porsi di più su un piano europeo
e paradossalmente a rivendicare una moneta non unica, ma comune a tutte
queste monete parallele.
Come vede la situazione politica in Italia?
Mi sarei aspettato una maggiore instabilità finanziaria dal risultato
elettorale ma non penso che la relativa stabilità sia determinata da
ciò che Draghi ha definito il “pilota automatico” con cui l’Europa
procede. Penso che dipenda invece dal fatto che gli investitori
finanziari stanno approfittando della politica di Draghi di immettere
liquidità e arraffano tutto quello che possono prima di chiudere. Come
evolverà la situazione non ne ho idea, penso però che se si va verso un
governissimo non sarà altro che la continuazione delle politiche alla
Monti. E’ un peccato perché i grillini, che non giudico né in un senso
né nell’altro, hanno posto temi interessanti, sia rispetto all’euro che
alle politiche sociali. Penso al reddito di cittadinanza in particolare.
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