La manifestazione della Fiom per le strade assolate di Roma ha dimostrato un sindacato dei metalmeccanici in ottima salute
. Oltre alla quantità dei partecipanti è contata anche la qualità delle
presenze e dei discorsi dal palco. Raffaella Bolini, Fiorella Mannoia,
Gino Strada, Stefano Rodotà, oltre ai protagonisti di lotte di fabbrica
hanno preceduto il comizio finale di Maurizio Landini, come sempre assai
poco demagogico ed estremamente concreto nel delineare un percorso di
lotta sociale e nel richiamare le forze politiche alle loro
responsabilità di fronte alla gravissima crisi in cui versa il paese. In
molti hanno detto: il nostro non è un paese in crisi, ma nella crisi,
esprimendo così la fiducia sulle possibilità di una ripresa se si
ascoltano e non si ostacolano le forze del lavoro.
C’è stato un passaggio del discorso di Landini
che ha attirato la viva attenzione della folla in piazza ed è suonato
come un’accusa precisa verso una parte rilevante della sinistra. Il
segretario della Fiom ha detto di stupirsi di come da un lato si abbia
tanto coraggio da stare in un governo con Berlusconi e dall’altro avere
contemporaneamente paura di essere in piazza con la Fiom. Touché.
Se si pensa allo squallore di ministri pidiellini che manifestano
contro la Magistratura a Brescia, atto rivendicato come legittima
libertà di opinione politica (si potrebbe dire, con un facile gioco di
parole, un partito di lotta e di Letta, con un leader con la faccia di
latta) e lo si confronta con la vistosa assenza dei dirigenti del
Partito democratico alla manifestazione operaia si ha la sensazione di
un vero rovesciamento.
Da un lato il populismo di destra, incline persino alla jacquerie
contro un potere dello stato democratico, quello giudiziario, dall’altro
la lontananza e l’insofferenza dei massimi esponenti del primo partito
italiano da quello che un tempo era il suo principale referente sociale,
la classe operaia. Non è servito neppure che a reggere, momentaneamente
o meno, le redini del Partito democratico sia adesso un ex segretario
generale della Cgil.
A dovere essere sinceri, come è sempre giusto fare, non è che le
forze dell’opposizione al governo Letta – Alfano brillassero per
presenza organizzata. Se si eccettuano le comparsate televisive, sempre
ben preparate, alla partenza del corteo, non si può dire che le forze
della sinistra fossero robustamente presenti e visibili in quanto tali. E
non credo purtroppo che si sia trattato di un eccesso di cautela per
non compromettere l’autonomia e l’indipendenza del sindacato da
qualunque forza politica.
Così assumevano un sapore un po’ curioso le parole dedicate da
Landini a questo tema. “Ogni volta che la Fiom organizza qualcosa – ha
detto il segretario dei metalmeccanici – ci accusano di volere fare un
partito, mentre noi avanziamo le nostre proposte in quanto forza
sindacale” Giustissimo, in effetti è e deve essere così. Ma nella piazza
c’era chi commentava: magari potessimo costruire un partito fondato sul
lavoro!
L’affermazione non è politically correct e neppure coerente con la
tradizione sindacale italiana. Ma ne va colto il senso, perché esprime
un bisogno profondo, quanto inevaso: quello di dare una rappresentanza
politica al variegato e dolorante mondo del lavoro. Altrimenti anche la
Costituzione, sapientemente richiamata da Rodotà, tra gli applausi di
tutti, rimane lettera vuota.
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