Davvero emblematica l’ultima copertina della bibbia settimanale del neoliberismo mondiale, l’Economist. Essa infatti mostra i governanti europei sull’orlo del baratro. Il guaio è che non ci finerebbero solo loro. Anzi ci sta finendo buona parte delle popolazioni europee.
Il problema è prodotto di vari fattori. La crisi
planetaria scatenata cinque anni fa a partire dagli Stati Uniti, ma che
si è presto riversata sul vecchio continente, penetrando come nel burro
e facendo carne di porco dell’economia europea. Ma anche il sistema con
cui è organizzata tale economia, che fa acqua da tutte le parti. Anche
per la pazzesca pretesa di dar vita a una moneta unica
senza unificare al tempo stesso le istituzioni di governo e le
politiche economiche, e senza attuare meccanismi di trasferimento
automatico del denaro necessario a spese ed investimenti
pubblici dai Paesi più forti e competitivi a quelli meno forti e
competitivi. Istituzioni, politiche e meccanismi che invece esistono
negli Stati Uniti, i quali, pur essendo stato il terreno d’origine della
crisi, stanno infatti recuperando sia pure a spese, come sempre avviene
in questi casi, dei settori sociali più deboli.
In assenza di tali istituzioni, politiche
e meccanismi, infatti, l’abisso fra Paesi forti e Paesi deboli in seno
all’Europa è destinato ad aggravarsi sempre di più. E quindi addio
Europa. Il caso italiano è decisivo. Qualora infatti la nostra, che è la
quarta economia del continente, dovesse uscire dall’euro, bisognerebbe
registrare serenamente ma inevitabilmente il fallimento del percorso
avviato 56 anni fa con i Trattati di Roma.
Un’Europa da buttare quindi? Certamente va smantellata
l’Europa attuale che non serve praticamente più a nessuno, neanche a
quei settori capitalistici che l’hanno fortemente voluta e ne hanno
tratto un notevole vantaggio per tutti questi decenni.
Né basta dire “più Europa” come fa il buon Letta junior,
attualmente e speriamo ancora per poco presidente del Consiglio della
Repubblica italiana. Occorre anche dire che tipo di Europa ci vuole. Ma
neanche basta dire che vogliamo uscire dall’euro senza indicare
chiaramente in quale direzione si vuole andare e senza mettere in piedi
le severe politiche di controllo dei prezzi, dei capitali e di
indicizzazione dei salari che dovrebbero accompagnare tale scelta. Senza
le quali misure essa si trasformerebbe nell’ennesimo disastro economico e sociale di cui pagherebbero il costo ovviamente i soliti noti.
Per
far fronte alla crisi che continua ad imperversare e miete ogni giorno
nuove vittime occorrono, questo è chiaro, scelte decise e radicali. Ma
in quale direzione? Il vero fallimento che si sta attualmente registrando in Europa e nel resto del mondo è quello del capitalismo, il quale, nella sua concreta attuale configurazione, è completamente dominato dalle forze della finanza.
La proposta di promuovere un’iniziativa europea ex regolamento europeo 211 del 2011
potrebbe in effetti costituire una risposta adeguata. Essa richiede che
almeno un milione di firme siano raccolte in almeno 7 Stati europei. Al
suo centro dovrebbe essere la richiesta di un’Europa che non sia, come
finora lo è stata, sensibile alle rivendicazioni ed esigenze del
capitale finanziario, ma lo sia invece nei confronti della gente e dei
suoi diritti, a partire da quello al lavoro.
Parallelamente va
rimesso in discussione, a tutti i livelli, il dogma nefasto del pareggio
di bilancio, promuovendo ed organizzando la disobbedienza dal basso
alle scelte imposte da Merkel e soci. Ciò richiede ovviamente la
costituzione di maggioranze alternative di governo e la sconfitta della
linea dell’attuale governo di larghe intese. E la costruzione beninteso
di alleanze sociali e politiche su scala europea sulla
base del comune deciso rigetto dell’attuale modello di sottosviluppo e
di ridimensionamento recessivo dell’economia europea sulla base
dell’esasperazione dei tratti neoliberisti già presenti originariamente
nei Trattati. E’ l’unica strada per salvare la civiltà europea e il
ruolo dell’Europa in mondo.
Altrimenti nel baratro, insieme all’Europa, ci finiremo in parecchi…
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