giovedì 10 aprile 2014

Altro che Yellowstone, il vulcano si chiama finanza Di ilsimplicissimus


download (6)Cento mila miliardi di dollari. (cioè 100.000.000.000.000 $).
Questa è la lava incandescente che si accumula sotto l’economia reale e contro quel po’ di civiltà del lavoro che si era faticosamente raggiunto. Altro che Yellowstone e i cataclismi del millenarismo militante. Una cifra quasi impossibile da immaginare, ma che, stando ai numeri della Banca dei Regolamenti Internazionali, è la misura raggiunta dal debito globale. Ancor più folle di quello accumulatosi nel 2007 all’apice della bolla dei titoli spazzatura, anzi quasi il doppio. L’eruzione sarà dunque ancora più disastrosa di quella avvenuta sei anni fa.
Il fatto è che gli squali della finanza hanno sfruttato per speculare selvaggiamente  le gigantesche immissioni di denaro da parte delle banche centrali e indirettamente dagli stati, attraverso l’aumento del debiti pubblici, pensati proprio per rappezzare l’economia dopo il 2008. Così mentre milioni di persone si sono ritrovate impoverite, intere società hanno conosciuto uno straordinario regresso sociale e di democrazia, la creazione di denaro ha preso la strada delle banche e delle borse che hanno registrato record a ripetizione, pur in panorama di caduta produttiva: il Dow Jones ha avuto un incremento del 177%, il Nasdaq del 242% il Nikkei del 113%, il Dax tedesco del 155%. Pure la borsa di Milano è cresciuta del 60%. E se si confronta il grafico dell’indice Standard e Poor’s che riguarda le 500 aziende americane a maggior capitalizzazione con quello che descrive le immissioni di denaro della Federal Reserve, si vede che si sovrappongono perfettamente: i 3500 miliardi di dollari emessi dalla banca centrale americana dopo il 2008 sono finiti direttamente lì.
Ormai i valori reali non hanno più nulla a che vedere con quelli azionari, segno che si approssima lo scoppio di questa bolla cresciuta sulla prima. E se i piccoli risparmiatori mandati al massacro dai “pastori” dei fondi comuni dovrebbero cominciare a preoccuparsi, invece di rallegrarsi del quantitative easing che Draghi fa balenare in funzione elettorale e che finirà, grazie all’euro, per alimentare lo stesso circuito, ciò che davvero conta è lo strumento che i poteri finanziari hanno adottato per poter portare avanti il loro gioco: agire su una politica subalterna e genuflessa per evitare regolamenti, sanzioni, ostacoli, ritorno alle ragioni dell’economia reale, alle sue dinamiche e alla centralità del lavoro, attraverso l’imposizione di oligarchie di fatto e lo scasso delle costituzioni. La crisi con le sue paure è stata d’aiuto, così come lo è stata la governance europea, tutta formata da mediocri travet del disegno finanziario, che con i ricatti ha costruito il panorama attuale.
In qualche caso fa impressione che certi premier non eletti siano stati lanciati nell’agone politico nazionale proprio da quella J P Morgan che come filosofia di fondo propone di estirpare l’antifascismo e le regole del lavoro dalle costituzioni. Ma certo con risorse illimitate non è difficile trovare qualche Masaniello da giocarsi per mantenere al tavolo verde le diverse componenti nazionali e continentali di una governance amica o così scadente, così profondamente cretina da non accorgersi di nulla. In fondo ci sono quei 100 mila miliardi di dollari, la gran parte inesistenti e/o inesigibili da tenere in campo. Mica noccioline.
Certo il vulcano finirà per scoppiare, ma quando accadrà si spera di poter contenere, dentro il nuovo assetto oligarchico, quelle reazioni di rigetto che sarebbero ovvie e naturali in democrazia. I grandi squali incasseranno gli utili, le multinazionali il frutto di una guerra salariale verso il basso, anzi lo sprofondo e ci toccherà sentire il pigolare di gallinellle e gallinacci che siedono sulle loro teste mentre straparlano di nuovo. Poi magari una bella guerra come accadde nel 1914 risolverà tutto.

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