Oggi La Stampa di Mario Calabresi, che somiglia sempre di più a un’edizione torinese della vecchia Pravda, ci informa
tra il lusco e il brusco che va beh, Renzi «i miracoli non li può
fare», nonostante «la velocità, il ritmo e il carisma», perché «è pur
sempre a capo di un governo di compromesso»; però «detta l’agenda» e la
sua «”rivoluzione gigantesca” si giocherà sulla riforma del Senato», «la
sua partita della vita», un punto su cui «il presidente del Consiglio
ha davvero innovato» battendosi contro «le resistenze corporative», che
la Stampa identifica nella proposta di Vannino Chiti, definita «una
battaglia di retroguardia» e sposata dal Movimento 5 Stelle perché
«messo in difficoltà ogni giorno da Renzi».
Ora, ciascuno valuti come crede la narrazione complessiva di cui
sopra, ma su un punto vorrei che ci soffermassimo tutti: la
retroguardia.
Cioè, l’editorialista della Stampa ha letto davvero la proposta di legge costituzionale di Vannino Chiti e le aggiunte in merito del M5S? E ha letto, per contro, il disegno di legge
del governo? In base a quali criteri storici, politici e/o filosofici
la prima sarebbe «di retroguardia» rispetto alla seconda? No, ma
parliamone, veramente, con i due testi in mano, punto per punto.
Ad esempio, se il problema sono le resistenze corporative, è più
innovativo dimezzare (e più) il numero di tutti i parlamentari
(proposta Chiti) o lasciare intatto il numero dei deputati diminuendo
solo quello dei senatori (proposta Renzi)?
È più innovativo eliminare i senatori di nomina quirinalizia (proposta Chiti) o moltiplicarli per quattro (proposta Renzi)?
È più innovativo introdurre il recall del parlamentare da parte dei
cittadini (proposta M5S integrativa del testo Chiti) o al contrario
aumentare l’intermediazione tra cittadini e parlamentari (liste bloccate
del’Italicum e tre quarti di parlamentari scelti dai partiti o dal
Quirinale nella proposta governativa per il Senato)?
È più innovativo differenziare le funzioni dei due rami del
Parlamento in base ai principi pragmatici di funzionamento e di
contrappeso propri di una democrazia moderna o creare un
Senato-dopolavoro finalizzato solo a portare a Roma in trasferta
settimanale dozzine e dozzine di consiglieri regionali nominati dai
partiti, e presumibilmente scelti in questo doppio incarico a
risarcimento di qualche mancata nomina nello stesso partito di
appartenenza o nei governi delle regioni da cui provengono?
Insomma dov’è, davvero, la “retroguardia” nelle due proposte? Ma stiamo scherzando?
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