Che il sistema politico nelle sue componenti tradizionali accusi tutti quelli che non fanno parte del club Napolitano, di essere populisti è come sentire il bue che dà del cornuto all’asino. Con l’ascesa di Renzi quel diaframma di pseudo serietà dietro il quale si nascondeva l’ubbidienza acritica all’ideologia euro liberista e al suo catechismo, si è infranto lasciando il posto a uno sguaiato spaccio di balle, di prospettive e di previsioni che hanno come genitori la fantasia e la malafede. D’accordo che l’ex sindaco di Firenze deve assolvere al compito per cui è stato scelto e foraggiato e cioè evitare che le elezioni di maggio mettano in crisi il disegno europeo divenuto, grazie all’euro, il cavallo di troia dei potentati finanziari. Ma insomma c’è un limite a tutto e qui ormai siamo al peronismo mediatico.
La dimostrazione viene non solo dal protagonismo topogigiesco di Renzi, dei suoi renzetti e delle sue renzine, ma proprio dal documento di economia e finanza, in arte Def, che solo un eroico sforzo dei media maistream riesce a sottrarre al ridicolo, al banale, al disonesto, al cretino: tutto insieme appassionatamente. La nuova tesi è che viste le rosee previsioni sul pil fatte sull’arco di 5 anni, non si sa su quale base se non il tiro dei dadi nella dimora di Rignano, le obbligazioni del Fiscal compact (50 miliardi all’anno di tagli per vent’anni), sul quale la Merkel non transige, sono assolutamente tollerabili per il sistema Italia. Così l’inarrestabile ascesa del Pil previsto (0,8 per quest’anno, 1,3% nel 2015, 1,6% nel 2016, 1,8% nel 2017, 1,9% nel 2018) segna la marcia trionfale del guappo fiorentino.
Sono ormai sei anni che le previsioni col segno + vengono ribaltate, rivelandosi uno specchietto per le allodole dei popoli e persino l’Fmi già riduce allo 0,6% la “crescita di quest’anno. Ma a parte l’uso di ottimismo tagliato col talco, va detto che da settembre cambieranno certi parametri del calcolo del pil ( vedi qui) alcune spese, come quelle militari o assicurative non saranno più conteggiate come costi, ma come investimenti, quindi quei “più” messi come colpi di grancassa, anche se si verificassero, cosa del tutto priva di senso, si ridurrebbero in realtà a uno zero virgola qualcosa. Praticamente nulla rispetto ai nove punti persi nel corso della crisi.
Ma più che la triste commedia dei numeri a casaccio impressiona l’impianto che sta alla base degli schizzi rosa: la “crescita” verrebbe dalla riforma del mercato del lavoro, oltreché dalle liberalizzazioni e semplificazioni. Come se non fossero quindici e passa anni che si va avanti sulla strada della precarizzazione, ottenendo solo disastri e declino. Come se la scienza economica non avesse escluso qualsiasi correlazione tra diritti del lavoro e livello di occupazione che anzi solitamente tende ad aumentare assieme alle tutele. Come se meccanismi di ricatto e di caduta salariale riducendo la domanda aggregata possano favorire la crescita. Come piccoli topolini ciechi.
Naturalmente c’è anche la parte , supremamente populista e denagogica, dei tagli di spesa, calcolati in 32 miliardi nel 2016, ovvero il 2% del Pil. Secondo questi signori (si fa solamente per dire) ciò porterebbe ad un abbassamento del prodotto interno lordo dello 0,2 – 0,3%. Su quale base si fa questo calcolo? Sul nulla, solo per far quadrare i conti su un libro mastro truccato. L’Fmi e Bruxelles avevano tirato fuori l’idea dell’austerità pensando che per ogni euro di taglio il Pil si sarebbe contratto di solo mezzo euro. Poi un anno e mezzo fa l’economista capo del Fondo monetario, Olivier Blanchard, autore della bibbia universale del liberismo, aveva confessato che si trattava di un disgraziato errore: per ogni euro di taglio se ne va in fumo un euro e mezzo di Pil, come si poteva evincere dalla Grecia, dalla Spagna, dal Portogallo. Il fatto che in seguito a questo abbaglio ufficialmente ammesso dall’Fmi non siano cambiate per nulla le ricette, dimostra che esse sono soprattutto di carattere politico. Ma a Rignano sull’Arno si ignora tutto questo e si pensa che i tagli, non abbiano che un influsso minimo. Ho detto che s’ignora, ma in realtà si sa benissimo che si tratta di misure di carattere politico, destinate a ridurre la democrazia e che pasticciare sui conti è un puro esercizio di populismo numerico.
Lo stesso che permette a Padoan di farla facile con il fiscal compact per cui basterebbe che il pil aumentasse dell’1% ogni anno e l’inflazione fosse al 2% per avere di fatto già pagato i 45 – 50 miliardi occorrenti. Come dire che se io avessi un milione… Peccato davvero che l’inflazione sia al minimo e il Pil effettivo statico o al meglio in debolissima crescita puramente statistica. E peccato anche che un riavvio dell’inflazione in un contesto di disoccupazione e caduta salariale non farebbe che diminuire ancora la domanda. Certo per i governanti questo sono solo cazzi dei poveracci che si troverebbero a dover fare i conti con un ulteriore diminuzione del potere d’acquisto, ma purtroppo si riflettono sul prodotto interno lordo. Però questo basta non dirlo e anzi mettere in primo piano la mancia degli 80 euro che poi saranno mangiati da altre tasse riducendosi a un panino e birra piccola, sempre che basti. E sempre che euro bidone duri oltre il 2014.
Però questo governo di masanielli, ha una sua Lourdes demagogica che i media dipingono come miracolosa e sarebbe il quantitative easing, ossia la massa monetaria che la Bce fa balenare in vista delle elezioni e che servirebbe per l’acquisto di titoli bancari e aziendali. Certo sarebbe una spinta per i pil dei pigs, ma significherebbe anche un aumento corrispondente degli interessi sui titoli di stato, dunque nient’altro che un circolo vizioso. Quindi la favola non ci vedrà felici e contenti, ma alle prese con una gigantesca operazione di taglio di welfare, nascosta e taciuta, che si prolungherà, ben che vada, per due generazioni, con tre vittime designate: sanità, scuola e servizi. Tutte cose che agli asini da soma dei ricchi un gli cale un tubo e tanto meno a un sistema di informazione nel quale la verità è solo la menzogna secondo una finzione condivisa.
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