di Riccardo Chiari
Altro che baci. C’è lo stato di agitazione per i 5.500 dipendenti della Nestlé Italia, con il blocco delle flessibilità e degli straordinari, e la convocazione delle assemblee dei lavoratori. E’ la risposta del coordinamento sindacale del gruppo alimentare e dalle segreterie nazionali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil, dopo che nel recentissimo incontro con l’azienda sul contratto integrativo, il management Nestlé lo ha subordinato alla “riorganizzazione” del lavoro nei tre stabilimenti di San Sisto di Perugia – la fabbrica dei Baci Perugina — Parma e Ferentino nel frusinate. Una formula dietro la quale, denunciano i sindacati dell’agro-industria, c’è la volontà di trasformare per alcune centinaia di addetti il contratto a tempo pieno e indeterminato in altre, ben più penalizzanti, forme contrattuali. Da Nestlé a “Nespré”.
In un secco comunicato unitario, Flai, Fai e Uila ricordano: “Il sindacato aveva prioritariamente chiesto maggiore chiarezza sul futuro industriale di Nestlé Italia, degli investimenti e delle innovazioni per sostenere i prodotti nel mercato. La proposta dell’azienda infatti per tre siti risulta impraticabile: trasformare il contratto di lavoro da tempo indeterminato e tempo pieno in altre forme contrattuali per centinaia di lavoratori intaccherebbe i diritti dei singoli dal punto di vista del reddito e previdenziali”.
La replica della multinazionale svizzera, che in Italia ha 18 stabilimenti ed è presente sul mercato con oltre 70 marchi, fra cui quelli delle ex aziende italiane Perugina, Buitoni e Motta, pone l’accento sulla necessità “di nuovi paradigmi produttivi, in uno scenario di mercato molto mutato negli ultimi anni”. Nestlé segnala: “I settori del dolciario e del gelato sono caratterizzati da consumi stagionali. Questo impone di avvicinare il momento della produzione a quello del consumo, concentrando le produzioni in determinati momenti dell’anno”. Di qui, secondo l’azienda, ne deriverebbe il bisogno di far ricorso a contratti più “flessibili”.
In realtà la vertenza non nasce certo oggi. Ed è giudicata da lavoratori e delegati sindacali come l’ennesimo, pericolosissimo tentativo di cancellare diritti acquisiti. “La questione – ricorda Sara Palazzoli, appena riconfermata segretaria generale Flai dell’Umbria — è sempre quella della ‘curva bassa’ produttiva, che riguarda sia il cioccolato prodotto a San Sisto, che il gelati fatti a Parma e Ferentino. Da tre anni la dirigenza Nestlé torna alla carica con ricette diverse per risolvere il problema costituito, dal loro punto di vista, dall’eccesso di dipendenti full time nelle fasi di calo produttivo. Prima ha proposto il cosiddetto ‘patto generazionale’ fra padri e figli. Poi a inizio anno ha chiesto la cassa integrazione. Ora infine subordina il confronto sull’integrativo alla ‘riorganizzazione’ del lavoro nei tre stabilimenti”.
Il tentativo del management Nestlé è evidentemente quello di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori dei vari stabilimenti italiani del gruppo alimentare. “Il coordinamento sindacale e le segreterie nazionali Fai, Flai e Uila – spiegano i sindacati — hanno ripetutamente chiesto di tenere separate le discussioni del rinnovo dell’integrativo dai temi della riorganizzazione. Ma la Nestlè ha dichiarato la propria indisponibilità, assumendosi così la responsabilità di interrompere le trattative”. A ulteriore riprova, la multinazionale avverte: “L’azienda proseguirà nel dialogo a livello locale già avviato con le rappresentative sindacali”.
Altrettanto certo è che il progetto si scontra con la chiara opposizione di Flai &c.: “La soluzione prospettata dall’azienda per noi è inaccettabile — avverte Sara Palazzoli — prima di tutto per la differenza di situazioni fra i tre stabilimenti. E poi perché il nostro obiettivo è che Nestlé ci dica quali sono le sue intenzioni sul suo futuro in Italia, con tutto quel che ne consegue per le strategie di mercato. Vogliamo parlare soprattutto di questo, nell’incontro già fissato per il 16 aprile in Confindustria a Perugia. Perché Nestlé non può certo scaricare sui lavoratori un calo produttivo e di vendite dovuto anche alle scelte del management”.
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