Alla
Agrati, azienda metalmeccanica di Torino, non si produrranno più
viti e bulloni speciali perché il padrone italianissimo, anzi
brianzolo ha deciso così. E non lo vuole spiegare neanche al
ministro Guidi. Gli ordini ci sono, il fatturato anche. È stato
pagato a gennaio un premio di 2.100 euro 2 giorni prima delle lettere
che annunciavano la chiusura. In quell’azienda non si faceva cassa
integrazione da 5 anni. Nonostante la crisi non sfiori questa
multinazionale tascabile del bullone, 82 lavoratori con le loro
famiglie, perderanno il posto di lavoro e le produzioni andranno
verso la Francia.
Quasi contemporaneamente anche alla
Micron, multinazionale dei semiconduttori, una produzione in
crescita in tutta l’Unione europea, e che dall’Italia e dalle
competenze dei lavoratori italiani ha avuto molto, rischia di
consumarsi un altro triste epilogo con 419 licenziamenti ora in
stand by e trasferimento di lavoro verso la Germania e gli Stati
uniti.
Alla Perugina la Nestle vuole sostituire il lavoro a tempo indeterminato, il posto «fisso» con la stagionalità che incontra non «casualmente» i nuovi contratti a termine a 8 rinnovi per 36 mesi: un vero e proprio bacio avvelenato del Jobs Act.
Alla Perugina la Nestle vuole sostituire il lavoro a tempo indeterminato, il posto «fisso» con la stagionalità che incontra non «casualmente» i nuovi contratti a termine a 8 rinnovi per 36 mesi: un vero e proprio bacio avvelenato del Jobs Act.
Queste concomitanti vertenze ci
dicono che il governo prima di svalutare ulteriormente il lavoro
a scapito dell’innovazione e della produttività con l’aumento
dell’offerta di contratti a termine, attraverso il decreto lavoro che
aumenterà solo la precarietà cannibalizzando e sostituendo il
lavoro stabile, dovrebbe concentrarsi sull’innovazione. Che richiede
non lavoro intermittente, ma continuità di rapporto, lavoro
stabile e partecipazione non coercitiva alla vita aziendale
e allo sviluppo dei prodotti e della produzione. Manca a questo
governo, come ai suoi predecessori una visione industriale, ci si
affida alla ricerca di investitori nella City e si perdono gli
investitori nostrani. Il ministro Guidi quando afferma che «la Fiat
può fare quello che vuole perché privata», dimentica che
è innanzitutto il governo del quale è ministro, che dovrebbe dire se
pensa che le produzioni degli autoveicoli, come dei
semiconduttori o dell’alimentare, siano strategiche per il nostro
paese, per il mantenimento e lo sviluppo dell’occupazione. E che
sempre il governo dovrebbe chiedere al sistema delle imprese di
discutere cosa si produce in Italia per uscire dalla crisi
aumentando l’occupazione netta e non la mobilità tra i molti
contratti esistenti.
Il ministro dello sviluppo economico
conferma con le sue dichiarazioni — compresa quella che invitava
gli ingegneri della Micron «a cogliere ogni opportunità» nelle
proposte di trasferimento all’estero per non essere esuberi in
Italia fatte dall’impresa nel confermare i licenziamenti — quella
sfiducia che una parte dell’imprenditoria da cui lei stessa proviene,
ha verso l’Italia. Scegliendo di delocalizzare per profitto
e speculazione scaricando sui lavoratori che sarebbero troppo
forti nei diritti,nei costi, ma non certo nei salari una competizione
che i lavoratori non possono vincere al posto del paese.
Nell’immediato servirebbe che queste crisi venissero affrontate
alla Presidenza del consiglio e non su tavoli tecnici che in alcuni
casi durano da troppo tempo senza soluzioni, dando centralità al
mantenimento del sistema industriale che le lavoratrici e i
lavoratori di queste aziende chiedono quando urlano al paese di non
essere lasciati soli perché stanno difendendo gli interessi di tutte
e tutti.
Andrebbe aperto un confronto
trasparente su cosa è oggi davvero l’impresa e il sistema
industriale italiano, su quali sono le sue responsabilità in
questa crisi, sulle opportunità, su cosa è oggi innovazione, sui
prodotti e sul ruolo sociale dell’impresa. Ma è troppo scomodo
criticar lor signori e più facile dire che si sta senza se e senza ma
con il «Marchionne americano» che porta la Fiat e il suo Cda tra
Londra e l’Olanda per pagar meno tasse e sceglie per l’Italia da
Detroit. Su questo Renzi e il suo governo sono dei conservatori.
GIORGIO AIRAUDOda il manifesto
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