Qualche
giorno fa avevo parlato della bomba caduta nel quartier generale del
liberismo, con due conferenze dell’economista Thomas Piketty che sia a
Washington che ad Harvard aveva contestato alla radice le tesi
economiche del pensiero unico (vedi qui ).
E lo aveva fatto non con intervento estemporaneo, ma presentando una
monumentale ricerca – Il Capitale nel XXI° secolo – che attraverso i
dati di realtà raccolti durante 15 anni da decine e decine di
ricercatori in tutto il mondo, confuta le teorie economiche
correnti, scardina i miti con cui esse si accompagnano – come ad esempio
quello del merito in una società tornata ad essere immobile o quello
del marcato - e infine mostra come tale assetto non produce
benessere per tutti, come affermano gli ipocriti, ma solo ricchezza
stratosferica per pochi e povertà per molti.
Un ritorno insomma alle società della diseguaglianza e delle
oligarchie autoritarie ottenuto grazie all’iniezione di dosi letali di
pensiero unico resa grazie ai media ormai generalmente in possesso dei
grandi gruppi e condotta con strumenti monetari come in Europa o
legislativi sfruttando le paure del nuovo nemico appositamente creato,
il terrorismo (o magari la Russia in un sinergico ritorno al passato).
Inutile dire che la presentazione dell’opera di Piketty ha fatto
scalpore, dal momento che è difficile confutarla e riparare lo strappo
prodotto sullo sfondo di scena: rappresenta intellettualmente un chiaro
segno di svolta. Tanto più che i centri di potere economico finanziario
stanno producendo il loro massimo sforzo nel convincere le popolazioni
europee di una fantomatica ripresa, ricorrendo anche a temporanee
elemosine, per evitare intoppi alle cessioni di sovranità al sistema
finanziario che si verificherebbero con la sconfitta dei partiti
dell’austerità alle europee.
Così la reazione liberista, incapace di dare una risposta razionale a
Piketty, si è espressa attraverso una desolante accusa di marxismo
venuta dal Wall Street Journal e ripresa poi dai media delle colonie,
compreso il Corriere della Sera, organo ufficiale della massima comun
reazione del sistema politico italiano. Nessuna analisi e nessun
ragionamento, ma solo l’evocazione del nome di Marx per segnalare agli
incliti della finanza e ai colti del grande fratello i confini di
appartenenza. Del resto i dati di realtà sono difficili da contestare e
lo stesso Paul Krugman sostiene che il Piketty panic che si è
impadronito degli ideologi del pensiero unico deriva semplicemente dalla
loro mancanza di idee (vedi qui
l’articolo originale). Figuriamoci dunque l’imbarazzo di quelli che
avevano esaltato Renzi perché non aveva letto Marx (come se poi avesse
letto Adam Smith, Bentham, Weber, Keynes o un qualunque manuale
scolastico di economia politica : non risulta infatti siano stati
pubblicati sull’albo di Topolino).
Ma in questa esplosione di panico e di fascino (le prenotazioni del
Capitale nel XXI° secolo sono andate alle stelle) c’è qualcosa di più:
il libro è come una liberazione da una cappa. Piketty non è marxista, è
definito tale solo da chi non sopporta che alcun dogma del liberismo
venga messo in discussione, ma non sa come replicare: la costruzione è
intellettualmente così fragile, posticcia, così chiaramente di natura
politica, che anche a grattarne un po’ di malta rischia di
cadere rovinosamente trascinando a fondo anche chi ha costruito nome e
fortuna suonando ottusamente l’organetto. E lo si vede anche da queste
reazioni: il solo accenno all’eguaglianza rende tout court marxisti,
quindi comunisti, quindi nemici da additare alle vittime opportunamente
addestrate a farlo e a colpevolizzarsi. Di certo quell’1% che detiene la
metà della ricchezza mondiale e quegli 85 super ricchi che guadagnano
come 3 miliardi e mezzo di persone, non amano che se ne parli. E lo si
capisce: con quello che hanno speso per costruirsi un alibi che avesse
la parvenza della scienza, adesso rischiano di essere messi a nudo.
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