Mastico poco di politique politicienne. Intendo dire quella fatta
di politici di lunga data, di correnti armate, di identità gelose di se stesse.
Lo so che ne mastico poco; me ne sono accorto bene le poche volte che mi ci
sono sia pur marginalmente avvicinato: e i miei suggerimenti sono spesso stati
considerati naïf, impraticabili, inadatti a una realtà “più complessa” perché
appunto non tenevano conto di posizionamenti incrostati, di rivalità radicate e
a volte rissose.
Per farla breve: suppongo che quello che scrivo oggi finirà con ogni
probabilità nel cestino dei consigli inutili, con la motivazione che «non è
così facile».
Eppure.
Eppure non sarà “così facile”, ma non è neppure così impensabile tornare ai
fondamentali. Alle basi. E da lì ripartire. Con logica e coraggio.
Lo sapevamo, cosa stava succedendo in Sinistra Ecologia e Libertà. Lo sapevamo almeno dall’ultimo e combattuto congresso. Lo sapevamo cioè che c’era una parte di quei compagni che si sentiva attratta dal potente e dinamico contenitore onnicomprensivo di Renzi.
Niente di strano, niente di male: capisco benissimo la sensazione di
frustrazione costituita dalla marginalità. Capisco benissimo anche che
la testimonianza in sé non è un valore, se non incide nella società. È
invece, soltanto, consolazione. È sentirsi puri, belli, bravi e buoni
senza cambiare una virgola del mondo fuori. Quindi quello che hanno fatto i
fuoriusciti da Sel – quelli in buona fede – è un ragionamento rispettabile.
Rispettabile ma sbagliato: per il semplice fatto che là dove stanno
andando non incideranno sul Paese un milligrammo di più di quanto abbiano fatto
finora. Anzi, saranno più marginali di prima. E lo saranno trasformandosi pure
in complici di ciò che avversano. O almeno hanno avversato fino a ieri: la
precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i regali alle banche,
l’allontanamento (ulteriore) della rappresentanza dai rappresentati, le liste
bloccate, il governo con Alfano e Giovanardi. Non mi sembra un grandissimo
risultato.
Resta il fatto che per quelli che invece non si sono fatti sedurre
dalla sirena renziana quella che pongono i fuoriusciti è una sfida.
Dimostrare cioè che, da oggi, da fuori fuori possono incidere di più.
Più di quelli che sono corsi dentro il Pd del 40,8. Ma anche più di quanto non
fossero incisivi prima, quando erano insieme. Questa è la scommessa.
Questo è l’obiettivo. Di testimonianze puriste, credo, ne abbiamo piene le
palle tutti: chi va e ma anche chi no.
Quindi, l’obiettivo è incidere.
E se l’obiettivo è incidere, la stessa Sel residua non basta più.
Anzi, come tale, da sola e con il suo attuale leader, non ha proprio più
prospettive. Per via di tanti motivi. Non ultimo, la parabola da tre anni in
fase discendente del suo fondatore, appunto. Verso il quale, al contrario di
altri, io ho rispetto. Ma che nel 2011 veniva dato vincente a ogni possibile
primaria del centrosinistra, e da dopo il governo Monti è in caduta libera.
Fino alla telefonata con Archinà. Per la quale non lo voglio mettere in croce,
ma credo sia stata la sua pietra tombale, come leader possibile. La scissione
di questi giorni è solo la botta finale.
Ma non è nemmeno tanto Vendola, la questione. La questione è l’area a
sinistra del Pd. L’area che io – scusate – definisco semplicemente di
sinistra, senza più quell’aggettivo – “radicale” – che ne fa una nicchia.
Ci sono altre sinistre in giro, certo: in una parte del Pd e pure nel Movimento
5 stelle. Ma non c’è un partito in cui la sinistra sia prevalente. Non c’è
una una forza politica di sinistra, oggi, in Italia.
Ecco, incapace come sono di pensare in termini di politique politicienne,
credo che l’obiettivo di chi non si lascia sedurre dal contenitore renziano
oggi possa essere solo questo. Fare piazza pulita delle identità vecchie e
nuove – Sel, Rifondazione, perfino la lista Tsipras – e costruire una cosa che
si chiama la Sinistra e basta. Una cosa che abbia come primo obiettivo
delineare un disegno politico, economico, sociale e di cittadinanza chiaro per
questo Paese. Senza farsi pippe di alleanze, ora. Costruendo invece consenso e
radicamento sociale sul proprio progetto alternativo di Paese. E su battaglie
concrete in quella direzione. Senza fretta e senza pigrizia:
i due peccati cardinali da cui nascono tutti gli altri, diceva Kafka.
La pigrizia, l’ho già detto, è il peccato dei fuoriusciti di Sel. La fretta è
stato invece il peccato della lista Tsipras: che dopo le risse postelettorali è
oggi un soggetto caotico le cui provvisorie e settarie leadership (penso a
Guido Viale e i suoi) se prevarranno non faranno altro che creare creare un
ennesimo partitino marginale e ininfluente. Il contrario, tra l’altro,
dell’obiettivo per cui la lista Tsipras era nata: cioè lavorare su inclusione,
apertura, contaminazione, incisione nel reale.
È questo quindi il compito di Sel, oggi: scomparsi i freni di chi là voleva
andare e alla fine è andato. O meglio è questo il compito dei dirigenti e degli
attivisti con la mente aperta che stanno in Sel, in Rifondazione e pure nella
lista Tsipras: perché so che molti, lì dentro, non hanno gli stessi logori
paraocchi ideologici di Guido Viale. Lo so perché li conosco, ci parlo tutti i
giorni. E so che anche se non lo dicono apertamente, hanno aderito a questa
lista – a febbraio – con lo stesso proposito così naïf e così poco politicista
di cui parlo in questo post: fare la sinistra, generosamente. Non
quindi la prevalenza di uno dei soggetti oggi esistenti sugli altri. E nemmeno
il balocco senile di qualche leaderino fuori tempo massimo.
Lo so, appunto, che “non è così facile”. Che ci sono apparati e burocrazie
che non ambiscono a sciogliersi, a mescolarsi e a ricostituirsi sotto altra
forma, con tutti i rischi connessi. Che ci sono rendite di posizioni antiche e
altrettanto antiche contrapposizioni personali. Che ci sono disegni di
estensione o di preservazione personali o di gruppo. Insomma, che c’è tutto il
peggio della sinistra. Non solo della sinistra, per il vero, ma a questa e di
questa sto parlando.
Scommessa difficile, dunque. Ma l’unica che si può vincere, perché le altre
sono già perse.
E non sarebbe male se per una volta prevalessero le generosità sugli
egoismi, la responsabilità verso gli altri sulla presunta convenienza per se
stessi.
Auguri, compagne e compagni, auguri a tutte e tutti, voi e noi.
Mastico poco di politique politicienne. Intendo dire quella
fatta di politici di lunga data, di correnti armate, di identità gelose
di se stesse. Lo so che ne mastico poco; me ne sono accorto bene le
poche volte che mi ci sono sia pur marginalmente avvicinato: e i miei
suggerimenti sono spesso stati considerati naïf, impraticabili, inadatti
a una realtà “più complessa” perché appunto non tenevano conto di
posizionamenti incrostati, di rivalità radicate e a volte rissose.
Per farla breve: suppongo che quello che scrivo oggi finirà con ogni probabilità nel cestino dei consigli inutili, con la motivazione che «non è così facile».
Eppure.
Eppure non sarà “così facile”, ma non è neppure così impensabile tornare ai fondamentali. Alle basi. E da lì ripartire. Con logica e coraggio.
Lo sapevamo, cosa stava succedendo in Sinistra Ecologia e Libertà. Lo sapevamo almeno dall’ultimo e combattuto congresso. Lo sapevamo cioè che c’era una parte di quei compagni che si sentiva attratta dal potente e dinamico contenitore onnicomprensivo di Renzi.
Niente di strano, niente di male: capisco benissimo la sensazione di frustrazione costituita dalla marginalità. Capisco benissimo anche che la testimonianza in sé non è un valore, se non incide nella società. È invece, soltanto, consolazione. È sentirsi puri, belli, bravi e buoni senza cambiare una virgola del mondo fuori. Quindi quello che hanno fatto i fuoriusciti da Sel – quelli in buona fede – è un ragionamento rispettabile.
Rispettabile ma sbagliato: per il semplice fatto che là dove stanno andando non incideranno sul Paese un milligrammo di più di quanto abbiano fatto finora. Anzi, saranno più marginali di prima. E lo saranno trasformandosi pure in complici di ciò che avversano. O almeno hanno avversato fino a ieri: la precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i regali alle banche, l’allontanamento (ulteriore) della rappresentanza dai rappresentati, le liste bloccate, il governo con Alfano e Giovanardi. Non mi sembra un grandissimo risultato.
Resta il fatto che per quelli che invece non si sono fatti sedurre dalla sirena renziana quella che pongono i fuoriusciti è una sfida. Dimostrare cioè che, da oggi, da fuori fuori possono incidere di più. Più di quelli che sono corsi dentro il Pd del 40,8. Ma anche più di quanto non fossero incisivi prima, quando erano insieme. Questa è la scommessa. Questo è l’obiettivo. Di testimonianze puriste, credo, ne abbiamo piene le palle tutti: chi va e ma anche chi no.
Quindi, l’obiettivo è incidere.
E se l’obiettivo è incidere, la stessa Sel residua non basta più. Anzi, come tale, da sola e con il suo attuale leader, non ha proprio più prospettive. Per via di tanti motivi. Non ultimo, la parabola da tre anni in fase discendente del suo fondatore, appunto. Verso il quale, al contrario di altri, io ho rispetto. Ma che nel 2011 veniva dato vincente a ogni possibile primaria del centrosinistra, e da dopo il governo Monti è in caduta libera. Fino alla telefonata con Archinà. Per la quale non lo voglio mettere in croce, ma credo sia stata la sua pietra tombale, come leader possibile. La scissione di questi giorni è solo la botta finale.
Ma non è nemmeno tanto Vendola, la questione. La questione è l’area a sinistra del Pd. L’area che io – scusate – definisco semplicemente di sinistra, senza più quell’aggettivo – “radicale” – che ne fa una nicchia. Ci sono altre sinistre in giro, certo: in una parte del Pd e pure nel Movimento 5 stelle. Ma non c’è un partito in cui la sinistra sia prevalente. Non c’è una una forza politica di sinistra, oggi, in Italia.
Ecco, incapace come sono di pensare in termini di politique politicienne, credo che l’obiettivo di chi non si lascia sedurre dal contenitore renziano oggi possa essere solo questo. Fare piazza pulita delle identità vecchie e nuove – Sel, Rifondazione, perfino la lista Tsipras – e costruire una cosa che si chiama la Sinistra e basta. Una cosa che abbia come primo obiettivo delineare un disegno politico, economico, sociale e di cittadinanza chiaro per questo Paese. Senza farsi pippe di alleanze, ora. Costruendo invece consenso e radicamento sociale sul proprio progetto alternativo di Paese. E su battaglie concrete in quella direzione. Senza fretta e senza pigrizia: i due peccati cardinali da cui nascono tutti gli altri, diceva Kafka.
La pigrizia, l’ho già detto, è il peccato dei fuoriusciti di Sel. La fretta è stato invece il peccato della lista Tsipras: che dopo le risse postelettorali è oggi un soggetto caotico le cui provvisorie e settarie leadership (penso a Guido Viale e i suoi) se prevarranno non faranno altro che creare creare un ennesimo partitino marginale e ininfluente. Il contrario, tra l’altro, dell’obiettivo per cui la lista Tsipras era nata: cioè lavorare su inclusione, apertura, contaminazione, incisione nel reale.
È questo quindi il compito di Sel, oggi: scomparsi i freni di chi là voleva andare e alla fine è andato. O meglio è questo il compito dei dirigenti e degli attivisti con la mente aperta che stanno in Sel, in Rifondazione e pure nella lista Tsipras: perché so che molti, lì dentro, non hanno gli stessi logori paraocchi ideologici di Guido Viale. Lo so perché li conosco, ci parlo tutti i giorni. E so che anche se non lo dicono apertamente, hanno aderito a questa lista – a febbraio – con lo stesso proposito così naïf e così poco politicista di cui parlo in questo post: fare la sinistra, generosamente. Non quindi la prevalenza di uno dei soggetti oggi esistenti sugli altri. E nemmeno il balocco senile di qualche leaderino fuori tempo massimo.
Lo so, appunto, che “non è così facile”. Che ci sono apparati e burocrazie che non ambiscono a sciogliersi, a mescolarsi e a ricostituirsi sotto altra forma, con tutti i rischi connessi. Che ci sono rendite di posizioni antiche e altrettanto antiche contrapposizioni personali. Che ci sono disegni di estensione o di preservazione personali o di gruppo. Insomma, che c’è tutto il peggio della sinistra. Non solo della sinistra, per il vero, ma a questa e di questa sto parlando.
Scommessa difficile, dunque. Ma l’unica che si può vincere, perché le altre sono già perse.
E non sarebbe male se per una volta prevalessero le generosità sugli egoismi, la responsabilità verso gli altri sulla presunta convenienza per se stessi.
Auguri, compagne e compagni, auguri a tutte e tutti, voi e noi.
Per farla breve: suppongo che quello che scrivo oggi finirà con ogni probabilità nel cestino dei consigli inutili, con la motivazione che «non è così facile».
Eppure.
Eppure non sarà “così facile”, ma non è neppure così impensabile tornare ai fondamentali. Alle basi. E da lì ripartire. Con logica e coraggio.
Lo sapevamo, cosa stava succedendo in Sinistra Ecologia e Libertà. Lo sapevamo almeno dall’ultimo e combattuto congresso. Lo sapevamo cioè che c’era una parte di quei compagni che si sentiva attratta dal potente e dinamico contenitore onnicomprensivo di Renzi.
Niente di strano, niente di male: capisco benissimo la sensazione di frustrazione costituita dalla marginalità. Capisco benissimo anche che la testimonianza in sé non è un valore, se non incide nella società. È invece, soltanto, consolazione. È sentirsi puri, belli, bravi e buoni senza cambiare una virgola del mondo fuori. Quindi quello che hanno fatto i fuoriusciti da Sel – quelli in buona fede – è un ragionamento rispettabile.
Rispettabile ma sbagliato: per il semplice fatto che là dove stanno andando non incideranno sul Paese un milligrammo di più di quanto abbiano fatto finora. Anzi, saranno più marginali di prima. E lo saranno trasformandosi pure in complici di ciò che avversano. O almeno hanno avversato fino a ieri: la precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i regali alle banche, l’allontanamento (ulteriore) della rappresentanza dai rappresentati, le liste bloccate, il governo con Alfano e Giovanardi. Non mi sembra un grandissimo risultato.
Resta il fatto che per quelli che invece non si sono fatti sedurre dalla sirena renziana quella che pongono i fuoriusciti è una sfida. Dimostrare cioè che, da oggi, da fuori fuori possono incidere di più. Più di quelli che sono corsi dentro il Pd del 40,8. Ma anche più di quanto non fossero incisivi prima, quando erano insieme. Questa è la scommessa. Questo è l’obiettivo. Di testimonianze puriste, credo, ne abbiamo piene le palle tutti: chi va e ma anche chi no.
Quindi, l’obiettivo è incidere.
E se l’obiettivo è incidere, la stessa Sel residua non basta più. Anzi, come tale, da sola e con il suo attuale leader, non ha proprio più prospettive. Per via di tanti motivi. Non ultimo, la parabola da tre anni in fase discendente del suo fondatore, appunto. Verso il quale, al contrario di altri, io ho rispetto. Ma che nel 2011 veniva dato vincente a ogni possibile primaria del centrosinistra, e da dopo il governo Monti è in caduta libera. Fino alla telefonata con Archinà. Per la quale non lo voglio mettere in croce, ma credo sia stata la sua pietra tombale, come leader possibile. La scissione di questi giorni è solo la botta finale.
Ma non è nemmeno tanto Vendola, la questione. La questione è l’area a sinistra del Pd. L’area che io – scusate – definisco semplicemente di sinistra, senza più quell’aggettivo – “radicale” – che ne fa una nicchia. Ci sono altre sinistre in giro, certo: in una parte del Pd e pure nel Movimento 5 stelle. Ma non c’è un partito in cui la sinistra sia prevalente. Non c’è una una forza politica di sinistra, oggi, in Italia.
Ecco, incapace come sono di pensare in termini di politique politicienne, credo che l’obiettivo di chi non si lascia sedurre dal contenitore renziano oggi possa essere solo questo. Fare piazza pulita delle identità vecchie e nuove – Sel, Rifondazione, perfino la lista Tsipras – e costruire una cosa che si chiama la Sinistra e basta. Una cosa che abbia come primo obiettivo delineare un disegno politico, economico, sociale e di cittadinanza chiaro per questo Paese. Senza farsi pippe di alleanze, ora. Costruendo invece consenso e radicamento sociale sul proprio progetto alternativo di Paese. E su battaglie concrete in quella direzione. Senza fretta e senza pigrizia: i due peccati cardinali da cui nascono tutti gli altri, diceva Kafka.
La pigrizia, l’ho già detto, è il peccato dei fuoriusciti di Sel. La fretta è stato invece il peccato della lista Tsipras: che dopo le risse postelettorali è oggi un soggetto caotico le cui provvisorie e settarie leadership (penso a Guido Viale e i suoi) se prevarranno non faranno altro che creare creare un ennesimo partitino marginale e ininfluente. Il contrario, tra l’altro, dell’obiettivo per cui la lista Tsipras era nata: cioè lavorare su inclusione, apertura, contaminazione, incisione nel reale.
È questo quindi il compito di Sel, oggi: scomparsi i freni di chi là voleva andare e alla fine è andato. O meglio è questo il compito dei dirigenti e degli attivisti con la mente aperta che stanno in Sel, in Rifondazione e pure nella lista Tsipras: perché so che molti, lì dentro, non hanno gli stessi logori paraocchi ideologici di Guido Viale. Lo so perché li conosco, ci parlo tutti i giorni. E so che anche se non lo dicono apertamente, hanno aderito a questa lista – a febbraio – con lo stesso proposito così naïf e così poco politicista di cui parlo in questo post: fare la sinistra, generosamente. Non quindi la prevalenza di uno dei soggetti oggi esistenti sugli altri. E nemmeno il balocco senile di qualche leaderino fuori tempo massimo.
Lo so, appunto, che “non è così facile”. Che ci sono apparati e burocrazie che non ambiscono a sciogliersi, a mescolarsi e a ricostituirsi sotto altra forma, con tutti i rischi connessi. Che ci sono rendite di posizioni antiche e altrettanto antiche contrapposizioni personali. Che ci sono disegni di estensione o di preservazione personali o di gruppo. Insomma, che c’è tutto il peggio della sinistra. Non solo della sinistra, per il vero, ma a questa e di questa sto parlando.
Scommessa difficile, dunque. Ma l’unica che si può vincere, perché le altre sono già perse.
E non sarebbe male se per una volta prevalessero le generosità sugli egoismi, la responsabilità verso gli altri sulla presunta convenienza per se stessi.
Auguri, compagne e compagni, auguri a tutte e tutti, voi e noi.
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