Nel libro scritto da Silvia Paterlini viene messa in dubbio la reale portata dei risparmi derivanti dalla scomparsa di consigli e giunte provinciali. L'autrice: "Tutti insieme, i politici provinciali non bastano a comprare un F35, che vale 120 milioni di euro più o meno"
di Luigi Franco, Il Fatto
Che le province non siano state abolite per davvero lo si era capito: al di là degli annunci sono ancora vive e vegete, seppure d’ora in poi senza più cariche elette direttamente dai cittadini. Ma quello della loro eliminazione non è l’unico spot venduto agli elettori. Ce ne sono tanti altri, messi in fila in Goodbye province – Miti e retorica dell’abolizione in 100 luoghi comuni di Silvia Paterlini (Guerini e associati, 15 euro), giornalista e responsabile uscente della comunicazione del presidente del consiglio della provincia di Milano, Guido Podestà, che proprio lunedì 23 giugno ha tenuto la sua ultima seduta. Nel libro viene messa in dubbio la reale portata dei risparmi derivanti dalla scomparsa di consigli e giunte provinciali. In una visione generale che va controcorrente: anche quando l’abolizione ci sarà per davvero attraverso una legge costituzionale, non per forza sarà un bene.
Ecco cosa diceva delle province Matteo Renzi nel 2008, quando era presidente di quella di Firenze: “Si possono anche abolire ma i risparmi sarebbero irrisori. Dire che si risolve il problema dei costi della politica cancellandole, come ha fatto Berlusconi, è un facile spot demagogico”. Ed ecco cosa ha invece twittato il 25 marzo scorso, poco prima che il Senato approvasse il disegno di legge Delrio: “Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani”. Ok, da premier Renzi ha cambiato idea. Ma il suo tweet racchiude in poche parole ben due dei falsi miti legati alla simil abolizione delle province. “La proposta non era sua ma del governo Letta che aveva incardinato la riforma quasi un anno fa”, scrive Paterlini. E non finisce qui: “Le indennità abolite sono 1.774 perché la legge n. 148 del 2011, una volta entrata a regime se si fosse votato ancora per le province, avrebbe ridotto del 50% il numero di amministratori provinciali”.
In ogni caso avere tagliato un po’ di poltrone è un inizio per ridurre i costi della politica. Secondo l’autrice, però, i risparmi reali saranno trascurabili: il totale di assessori e consiglieri provinciali “è da rapportare alla somma delle cariche elettive in Italia”: oltre 140mila unità, perché ai 1.041 parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari, vanno aggiunti i 1.270 politici eletti nelle regioni e i 138.834 nei comuni. E se le province italiane spendono in tutto 10 miliardi di euro, in gran parte utilizzati per fornire servizi ai cittadini, quanto pesano le indennità dei loro amministratori? Per appena 105 milioni. Ovvero 1,75 euro all’anno per ogni cittadino.
“Come un caffè seduti al tavolo – scrive Paterlini -. Ecco monetizzati i benefici. Tutti insieme, i politici provinciali non bastano a comprare un F35, che vale 120 milioni di euro più o meno”. E quando le province saranno davvero abolite, come da progetti del governo Renzi, non è chiaro quale potrà essere il reale risparmio. L’ipotesi più ottimistica, quella dell’Istituto Bruno Leoni, lo stima in 2 miliardi, pari allo 0,25% della spesa pubblica italiana. Ma degli ambiti di cui oggi si occupano le province, in particolare scuola, lavoro, viabilità, mobilità e trasporti, qualche altro ente dovrà continuare a prendersi cura. Con tanto di costi annessi.
Addirittura qualche esperto ritiene che laddove nel 2015 faranno la loro comparsa le città metropolitane le cose potrebbero peggiorare: “Il costo della politica aumenterà – sostiene in un’intervista riportata nel libro Lanfranco Senn, docente di Economia regionale all’università Bocconi di Milano -. Perché il problema non sono i gettoni di presenza dei consiglieri, ma l’efficienza del sistema e un ente non elettivo, di secondo livello, è certamente meno efficiente. Pensiamo a quanto rallenterebbe le decisioni il conflitto di interesse tra comuni (…). La probabilità che collaborino non è altissima”. Dubbi sulle nuove città metropolitane, questa volta di carattere costituzionale, li ha pure Valerio Onida, presidente emerito della Consulta. Che in un colloquio con l’autrice si dice “molto perplesso” sul loro sistema di governo, con il sindaco del comune capoluogo che diventerà sindaco metropolitano: “Questa sembra ora una soluzione provvisoria – spiega Onida – ma se si stabilizzasse non sarebbe un sistema conforme alla Costituzione, perché un organo rappresentativo, in particolare l’organo monocratico, deve essere rappresentativo dell’intera popolazione”.
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