domenica 29 giugno 2014

Renzi, Draghi e l’Italia che affonda di Luigi Pando


Italia-che-affondaSpentisi gli effetti euforici della droga mediatica propinata a piene mani nel corso della campagna elettorale da poco conclusasi, le criticità della situazione economica italiana stanno venendo vigorosamente a galla, in tutta la loro drammaticità.
Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da una girandola di notizie sull’evoluzione del quadro macroeconomico nazionale e sulle misure che il vero dominus delle politiche economiche europee, la Bce, ha annunciato per bocca del suo presidente Mario Draghi. Cerchiamo di fare il punto, partendo dai fondamentali, ovvero dallo stato di salute del nostro Paese.
Come ha confermato recentemente l’Istat[1], il Pil italiano è diminuito nel 2013 dell’1,9%, ma non in modo omogeneo da un capo all’altro della penisola. Si va da un -0,6% nel Nord-Ovest ad un secco 4% nel Mezzogiorno. Italia sempre più duale, insomma. E l’occupazione? Le cifre sono ormai da capogiro. Nel primo trimestre del 2014 il tasso di disoccupazione ha toccato il 13,9% (+ 0,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), con quella giovanile al 46%. Al Sud siamo più vicini alla Grecia che al resto del paese: tasso generale al 21,7%, che sale fino al 60,9% tra i giovani.
E le previsioni per il futuro? Per quanto riguarda il Pil, stante l’arretramento dello 0,1% registrato nel primo trimestre di quest’anno e le tiepidissime stime per il secondo (tra lo 0,1% e lo 0,4%), c’è da giurare che le previsioni del Governo (+0,8%), già ammorbidite rispetto a quelle di Letta, difficilmente potranno essere confermate. Peraltro su questo punto si va da una previsione di crescita zero da parte dell’Istat ad un misero 0,5% pronosticato dall’Ocse.
Ora un po’ di attenzione. Fino a qualche mese fa in molti (Istat, Bankitalia, Ue, Ocse) avevano parlato per il 2014 – 2015 di crescita senza occupazione (Jobless recovery). Lascio a voi immaginare cosa potrà accadere, altrimenti, se la crescita prevista non ci sarà o sarà del tutto insignificante!
Intanto il Fiscal compact incombe, sia per l’obiettivo del pareggio strutturale che per quello dell’abbattimento delle eccedenze di debito sopra il 60%. Si è molto dibattuto negli ultimi tempi sull’entità delle manovre atte a conseguire nei tempi stabiliti questi risultati. Certo, sia nell’uno che nell’altro caso ciò che farà la differenza sarà il dato della crescita, ovvero del denominatore nel rapporto deficit/Pil e debito/Pil. Proprio per questo, nondimeno, con i numeri che ci ha restituito il primo trimestre 2014 e le previsioni che circolano per l’intero anno, c’è poco da stare allegri: nelle condizioni date lo spettro di manovre da 40-50 miliardi all’anno, con effetti recessivi annessi, diventerebbe immediatamente realtà.
Ma Renzi che fa? Di nuovo in questi giorni è tornato sul tema dell’austerità, criticandola, ma non ha spiegato come si possa uscire da quest’ultima senza mettere in discussione gli impegni sottoscritti con l’Europa in materia di finanza pubblica, peraltro tutti riconfermati nel Documento di Economia e Finanza approvato nell’aprile scorso. Nel concreto, però, ha concesso il bonus Irpef (gli 80 euro) ad una platea di circa 10 milioni di lavoratori dipendenti ed ha varato una nuova riforma del mercato del lavoro.
Bonus Irpef. Quale doveva (dovrebbe) essere l’obiettivo di questa misura? Rilanciare i consumi, quindi stimolare la domanda interna, aiutare la crescita. Quali sono le stime più realistiche su questo punto? L’Istat ha previsto un impatto insignificante dell’intervento sull’economia, fissando ad un misero +0,2% la crescita dei consumi per l’anno in corso. Un dato che non è molto lontano da quello stimato da associazioni di consumatori come Federconsumatori e Adusbef, che parlano di un +0,5% a fronte di un calo dei consumi nel biennio 2012-2013 di oltre l’8%, pari a 70 miliardi di euro.
Decreto Poletti. Parliamo di un provvedimento che si basa sul seguente assioma: ad un più livello di deregolamentazione del mercato del lavoro dovrebbero corrispondere livelli meno elevati di disoccupazione. In questa direzione vanno le misure che hanno allungato la vita dei contratti a termine “acausali”  e portato da uno a cinque il numero delle proroghe degli stessi. E’ singolare che dopo oltre vent’anni di interventi in questo campo, che hanno largamente precarizzato e flessibilizzato i rapporti di lavoro, senza che ciò abbia determinato un incremento sostanziale dei livelli occupazionali (semmai è vero il contrario), si continui ancora a battere questa strada. L’Italia, da questo punto di vista è stato uno dei paesi in Europa che più di altri ha “investito” sulla flessibilità per creare nuova occupazione, ma i risultati sono stati evidentemente asimmetrici rispetto agli obiettivi dichiarati[2].
Ricapitolando, appare del tutto evidente che le strategie messe finora in campo del nuovo governo per favorire la crescita e l’occupazione sono del tutto insufficienti, perfino inutili e dannose se ci riferiamo alla nuova disciplina dei contratti a termine.
Intanto a Francoforte, sede della Banca centrale europea, c’è chi annuncia misure straordinarie per rilanciare l’economia nell’eurozona. Vediamo di che si tratta. Stando ai titoli di alcune testate giornalistiche, le parole di Mario Draghi, pronunciate a margine del Consiglio direttivo della Bce del 5 giugno scorso, sarebbero traducibili in questo modo: meno tassi, più liquidità, ovvero riduzione ulteriore del costo del denaro e tassi di interesse sotto zero sui depositi che le banche tengono sui conti della Banca centrale europea[3] da un lato e iniezione di nuova liquidità nel sistema bancario sul modello delle operazioni di rifinanziamento Ltro del 2011-2012 dall’altro. La differenza, rispetto a quest’ultime, risiederebbe nel carattere “mirato” (Targeted) dei finanziamenti, di cui dovrebbero beneficiare essenzialmente famiglie e imprese (con esclusione dei mutui immobiliari). Per la prima misura, invece, l’idea è che le banche, qualora dovessero pagare anziché essere remunerate per i propri depositi presso la Bce, avrebbero oggettivamente interesse a far circolare la liquidità in loro possesso.
Non prendiamoci in giro. Ma davvero si può pensare che le banche, nelle condizioni date, possano allegramente dispensare prestiti ad imprese e famiglie solamente per non pagare l’obolo del mantenimento dei propri depositi presso la Bce? Il gioco non varrebbe la candela, stante l’elevato rischio di insolvenza dei beneficiari dei finanziamenti[4]. Allo stesso modo appare del tutto irrealistico che le banche aderiscano massicciamente al nuovo programma Ltro, con obbligo di esposizione verso il settore privato per l’intero ammontare del denaro ricevuto (Ecco perché il nuovo programma assumerà la denominazione di Tltro, ovvero Targeted longer-term refinancing operations). Meglio finanziarsi sul mercato, senza impegni di sorta ed a tassi ormai ragionevoli. O no?
Da Roma a Francoforte, passando per Bruxelles, insomma, si continua a sottovalutare l’entità della crisi in atto. E tutte le misure che si adottano non fuoriescono dal binario ideologico dell’”austerità espansiva”. In Italia, quelle che vengono presentate come misure “straordinarie” per la crescita e l’occupazione altro non sono che mezze-misure adottate in un quadro di assoluta compatibilità con i vincoli rigoristi di finanza pubblica oggi operanti o all’insegna della continuità con le politiche neoliberiste degli ultimi vent’anni ed oltre. Per quanto riguarda le misure  “non convenzionali” di Draghi siamo a metà strada tra la strategia dell’annuncio e la sostanziale fedeltà alla mission della Bce.
Urge perciò un cambio di passo. Senza immaginare rotture traumatiche dell’Unione economica e monetaria, tre interventi, nell’immediato, potrebbero dare respiro all’economia europea: un ambizioso programma di quantitative easing, un piano straordinario per il lavoro finanziato direttamente dell’Unione, la sospensione dei vincoli derivanti dal Patto di bilancio (Fiscal compact).
Dalle elezioni del 25 maggio è venuto un monito molto chiaro: la fiducia dei cittadini verso le istituzioni europee è ai minimi storici. Non coglierne la portata significherebbe condannare l’Europa all’implosione.[5]
 
[1] Istat, Rapporto annuale 2014. La situazione del Paese.
[2] A proposito del decreto Poletti. “Vi dimostro perché la precarietà non produce lavoro”, intervista con Riccardo Realfonzo, di Emilio Carnevali, Pagina 99,  15 maggio 2014.
[3] Le banche dell’Eurozona conservano il proprio denaro su speciali della BCE (deposit facility e sul current account). L’ammontare dei fondi a disposizione su questi conti è attualmente pari a 376 miliardi di euro (dati maggio 2014).
[4] Si veda anche: Draghi’s Measures Will Need Market Believers, di Simon Nixon, online.wsj, 5 giugno 2014.
[5] Il monito degli economisti, Financial Times, 23 settembre 2013.

Nessun commento: