La “legge di stabilità” è un pozzo di san Patrizio entro cui si possono trovare cose immonde di ogni genere. Questa, che riguarda l'istruzione in Italia, è però una delle peggiori.
Il governo ha infatti inserito – guardandosi bene dal renderlo noto - due misure: la riduzione a quattro anni delle scuole superiori e l’orario a 24 ore, anche se su base volontaria.
Il combinato disposto delle due cose prevede dunque una riduzione secca dell'”offerta formativa” pubblica, con la riduzione di un anno e la prevedibile minore intensità dell'impegno da parte di insegnanti costretti a un aumento di orario del 30%. Non può infatti essere mai dimenticato che l'”orario a 18 ore” riguarda soltanto il tempo di “lezione frontale”, mentre preparazione delle lezioni, correzione compiti, collegi, scrutini, ricevimento genitori, accompagnamento degli alunni in visite e gite, ecc, sono da conteggiare a parte (e risultano persino difficili da computare in modo credibile). Il tutto senza contare neanche il tempo necessario all'aggiornamento, che pure – per dei docenti – dovrebbe restare una necessità vitale.
L’obiettivo è di utilizzare i docenti oltre le 18 ore lavorative per, brutalmente, ridurre il numero delle cattedre e quindi degli stipendiati. Una ragione puramente “di bilancio” che considera evidentemente la formazione delle nuove generazioni uno “spreco” da tagliare. Siamo molto oltre l'infame espressione tremontiana “con la cultura non si mangia”. Qui, pari pari, ci viene detto che dovremmo restare ignoranti o comunque istruiti al minimo. Con quali obiettivi e per quale modo di vivere, ci verrà spiegato a tempo debito. O anche mai.
Ci aveva già provato Monti, con la sua notoria disabilità politica, tentando di imporre le 24 ore settimanali per decreto. La mobilitazione sindacale, per quanto blanda, fu sufficiente a far rinviare l'idea. Che ora torna e si concretizza, “grazie” alla superiore capacità comunicativa del governo Renzi. Il quale, infatti, non l'ha neanche nominata, ma semplicemente infilata in una legge-omnibus che richiedere centinaia di ore di lettura da parte di addetti ai lavori particolarmente esperti.
L'impianto del provvedimento è ricco di molta fuffa (“permettere di avere professori al lavoro oltre le 18 ore lavorative, per impegni extra all’attività didattica”, “una più ampia offerta formativa che coinvolga il territorio”, ecc). Fino all’apertura pomeridiana delle scuole, anche se si giura sulla “volontaria disponibilità da parte del docente”. Il tutto, se fosse vero, comporterebbe un aumento consistente dei fondi scolastici, che invece negli ultimi anni sono pressoché scomparsi. Anzi, il ministro “competente”, Stefania Giannini, ha mostrato di preoccuparsi di tutt'altro: «Abbiamo un pericolo all'orizzonte: che le scuole non statali spengano le luci. Questo comporterebbe un problema serio per lo Stato perché bisognerebbe mettere 6 mld sul piatto per compensare queste chiusure». E dire che è soltanto il 5% dell'intera popolazione scolastica a frequentare la scuola paritaria.
È' evidente che si sta ciurlando nel manico: da un lato si riducono gli anni di corso (stima: 40.000 cattedre in meno) e si aumenta l'orario di lezione (altre cattedre in meno, a regime), come se la riduzione dell'istruzione pubblica derivante da queste misure fosse “tollerabile”. Dall'altra ci si preoccupa che “le scuole private” chiudano i battenti (con la crisi hanno visto ridursi progressivamente le iscrizioni, visto anche il non eccelso livello di istruzione a volte fornita). Il risultato finale balza agli occhi da solo: meno istruzione in generale, ma concentrata sui “felici pochi” che se la possono permettere e che vanno persino aiutati con fondi pubblici!
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