Sono contento di essermi sbagliato. Pur augurandomi che non
avvenisse, avevo dato per più probabile un successo della Troika
nell'imporre un nuovo memorandum alla Grecia. Avevo fatto paragone con
la piccola Cecoslovacchia, che nel 1938 fu costretta a cedere da tutta
l'Europa unita con la Germania. Ero ad Atene, in un incontro
internazionale di movimenti di sinistra contro l'euro, quando è arrivata
la notizia dell'indizione del referendum. Mentre la commentavo, un
compagno greco mi ha detto: mai sottovalutare la dignità e la fierezza
del nostro popolo. Questo è ciò di cui non avevo tenuto conto: che il
governo di Syriza, che pure aveva concesso molto alla Troika, al punto
da rischiare una terribile spaccatura se le sue proposte fossero state
accettate, non era disposto comunque a concedere la resa. Avevo avuto
ragione sulle reali intenzioni dell'Europa, che mai ha instaurato una
trattativa con Atene, pretendendo sempre la sottoscrizione dei vecchi
come di un nuovo memorandum. Ma avevo sbagliato sulla capacità di dire
no della Grecia; e per fortuna.
Il referendum ha avuto il merito di svelare la reale natura politico economica della governance europea. In questi giorni sono saltate tutte le mistificazioni fondate sulle esigenze dei mercati che invece, come han mostrato le Borse, avrebbero apprezzato un accordo anche generoso verso la Grecia.
Paradossalmente ha prevalso la
politica, cioè hanno prevalso gli interessi del sistema di potere
costruito attorno alla Germania. Questo sistema è fondato su due assi
strategici, la Germania ed i suoi satelliti del Nord Europa da un lato, i
paesi del Mediterraneo e l' Irlanda, dall'altro. Questi ultimi non sono
semplicemente satelliti della Germania, ma subiscono sempre di più una
condizione di sottomissione neocoloniale. La Francia si barcamena tra
questi due assi, desiderosa di collocarsi tra i satelliti, ma sempre più
a rischio di finire tra le colonie. Che in questi anni sono state al
centro di tutte le politiche europee.
Se infatti i paesi PIGS, periferici,
debitori, comunque li si voglia definire, avessero concordato una
politica comune verso i paesi più ricchi, questi ultimi avrebbero dovuto
cedere, il sistema euro a trazione tedesca sarebbe andato in crisi e le
politiche di austerità con esso. I debitori coalizzati son sempre più
forti dei creditori. La politica europea della Germania e dei suoi
satelliti ha quindi avuto subito come primo obiettivo quello di impedire
la coalizione dei debitori. E ha realizzato questo obiettivo fondandosi
su due strumenti. La cooptazione subalterna nel sistema di potere
europeo dei poteri e delle caste politiche ed intellettuali locali, la
sottomissione ideologica della maggioranza della popolazione.
Il primo obiettivo è stato realizzato
facilmente, visto che da tempo i poteri forti dei paesi periferici erano
stati assorbiti nel potere finanziario occidentale. La vicenda della
Fiat in Italia, diventata un'azienda americana con un manager svizzero
che ha imposto un suo memorandum feroce al lavoro, è il paradigma della
grande borghesia del nostro paese. La corruzione politica
dilagante è stata un altro aiuto alla sottomissione, perché da un lato
ha ancora più avvinto alla governance europea caste politiche bisognose
di sostegno e legittimazione, dall'altro ha diffuso la convinzione che
il debito pubblico fosse solo il prodotto di ruberie.
E qui troviamo la campagna ideologica di massa tesa ad inculcare una
sorta di auto-razzismo nei popoli dei paesi europei meridionali. Che si
dovevano sentire fannulloni, spendaccioni al di sopra delle proprie
possibilità, a cui era indicato il compito di conformarsi al rigore e
alla virtù de popoli del Nord. Il principale veicolo di questa ideologia
sono stati i partiti socialisti e socialdemocratici, che han permesso
alla destra liberale di occupare saldamente il territorio della vecchia
sinistra. Così in tutti i PIGS si sono installati governi che si sono
ben guardati dal costruire una politica fondata sugli interessi comuni,
ma che invece si sono messi tra loro in competizione su chi fosse il
primo della classe nell'eseguire i compiti dettati dalla Germania.
Renzi ha mostrato il volto più maramaldesco e ripugnante di questa
politica a Berlino, ove ha vantato le proprie credenziali su lavoro e
pensioni mentre sbeffeggiava la resistenza greca. Il nostro capo del
governo all'estero ha fatto vergognare di essere italiani come e più di
Berlusconi. Di fronte al coraggio greco, Renzi si è mostrato come uno
sfacciato crumiro della democrazia.
Nella catena dei governi servili dell'Europa meridionale la Grecia
alla fine è risultato l'anello debole, che si è spezzato prima degli
altri. Il governo Tsipras non voleva uscire dal sistema di potere
europeo, voleva però ricontrattare le condizioni della partecipazione ad
esso per il proprio paese, devastato dai memorandum della Troika.
Questo gli è stato impedito sin dall'inizio nonostante le sue dichiarate
ed evidenti disponibilità.
La Grecia ha trattato con la Troika, ma questa non ha mai trattato
con la Grecia. Come nelle più dure e drammatiche vertenze del lavoro con
i padroni delle ferriere, il solo accordo possibile era la resa. E la
resa doveva essere esplicita e manifesta, non sottobanco. A questo
obiettivo in particolare erano interessati i governi crumiri, Spagna e
Italia in testa, che si sono così rivelati i pugnalatori di ultima
istanza del governo greco. Era infatti chiaro che un successo anche
minimale e parzialissimo di Tsipras avrebbe dato una brusca accelerata
alla già palese caduta di consenso di Renzi, Rajoy e compagnia. Merkel,
che pure aveva fatto sperare ai greci in qualche cosa, ha quindi dovuto
negare ogni disponibilità per non scoprire i suoi sudditi meridionali.
La Grecia però ha rifiutato di arrendersi e questo andrà a merito del
governo Tsipras, quale che sia il risultato di un referendum
difficilissimo, condotto contro il ricatto di tutti i poteri esterni e
interni al paese. Se dovesse vincere il NO sarebbe un salto in avanti
per tutti i popoli europei e una sconfitta storica del sistema di potere
del continente.
Ma anche se dovesse prevalere il SI del ricatto e della paura, quel
sistema non vincerebbe. Certo all'inizio avremmo un contraccolpo
reazionario e i crumiri di governo esprimerebbero la loro felicità. Che
però sarebbe di breve periodo perché poi il sistema continuerebbe ad
accumulare crisi ed incapacità di risolverla, mentre la caduta di
consenso riprenderebbe a macerare governanti .
Comunque, grazie al "no" greco siamo entrati nella crisi manifesta
del sistema dell'euro e dell'austerità, il problema è posto e le idee e
le forze per affrontarlo si stan affermando e organizzando in tutta
Europa. Oggi in Grecia domani in Italia.
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