Da sempre il sistema sanitario italiano viene
bistrattato e criticato per le sue (presunte e non) copiose sacche di
inefficienza e per gli sprechi che albergano nella gestione delle
amministrazioni ospedaliere pubbliche [1].
Diversi scandali hanno nel tempo minato la credibilità di tutta l’architettura
assistenziale statale [2],
finendo per infondere un sentimento generale di forte sfiducia e pregiudizio e
giustificando i duri attacchi politici e istituzionali, che auspicherebbero una
veloce privatizzazione delle relative partecipazioni pubbliche [3].
Per questo motivo, abbiamo deciso di indagare
sul fenomeno, provando a delineare un quadro complessivo e di massima
dell’efficacia e dell’efficienza della nostra sanità (con riferimento
all’ultimo quindicennio) comparando tali parametri con quelli dei Paesi
afferenti all’OCSE
(l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che
ricomprende 34 fra le economie più industrializzate e avanzate del pianeta.
1. Qualità generale dei sistemi
sanitari
Per la valutazione del primo parametro,
l’efficacia, consideriamo le medie di due variabili specifiche: l’aspettativa
di vita alla nascita e il tasso di mortalità al di sotto dei 5 anni di vita, per
il periodo 2000-2015.
Successivamente, ai fini dell’elaborazione di
un indice sintetico dell’efficacia dei sistemi sanitari, procediamo alla
standardizzazione degli scarti dalla media [4] delle variabili suindicate e al calcolo della
loro media aritmetica semplice (a valori più elevati corrisponde una maggiore
qualità del sistema ospedaliero), riportata nella tabella 1.
Come si evince chiaramente dalla tabella,
l’Italia occupa la quarta posizione assoluta in graduatoria (e seconda
nell’UE), sopravanzata solo da Giappone, Islanda e Svezia; mentre in fondo alla
classifica troviamo Ungheria, Messico e Turchia, che si contraddistinguono per
output assai poco virtuosi. Significativo anche il dato USA, abbastanza
modesto; infatti, la potenza americana si piazza solo in 27esima posizione.
Quindi, con riferimento alla capacità di
raggiungere gli obiettivi (massimizzazione dell’aspettativa di vita e
minimizzazione del tasso di mortalità infantile), il Bel Paese mostra un valore
largamente sopra la media (che è chiaramente pari a 0 [5]) e in controtendenza con
diverse ricerche internazionali; tra le tante citiamo l’Euro health consumer index
presentato annualmente a Bruxelles dalla società svedese Health Consumer
Powerhouse. L’indice – che rappresenta un vero e proprio standard per la
misurazione della sanità europea – nel 2013 relegava il nostro sistema
sanitario appena al 20esimo posto su 35 Paesi europei analizzati [6].
2. La capacità di minimizzare gli sprechi
Tuttavia l’efficacia da sola non basta,
bisogna anche essere efficienti; in altre parole è necessario raggiungere gli
output prefissati minimizzando il dispendio di risorse. A tal proposito,
introduciamo un indicatore elementare di efficienza rappresentato dalla spesa
media sanitaria pro-capite (periodo 2000-2013) a parità di potere d’acquisto.
Il primo passo consta nel mettere in relazione il livello medio di spesa con il
livello medio di efficacia, al fine di verificare se tendenzialmente una spesa
superiore permette di ottenere degli standard sanitari migliori. Il grafico 1
evidenzia che le variabili crescono effettivamente insieme. In particolare, il
quadrante sinistro mostra che tutti i Paesi con una spesa media pro-capite
inferiore a 1500 dollari (eccetto la Korea), hanno fatto registrare output
molto modesti. Simmetricamente, la parte destra fornisce, invece,
un’indicazione di massima sui Paesi che riescono meglio a gestire le proprie
risorse; infatti, muovendo la nostra attenzione verso le nazioni allocate nel
quadrante in basso a destra (maggiore efficacia e minore spesa), possiamo
accertare l’ottima posizione dell’Italia, il cui sistema sanitario può essere
annoverato fra quelli più virtuosi. Tra i Paesi più “generosi” in termini di
spesa, invece, ritroviamo Svizzera (4.465,95), Norvegia (4.481,59) e gli USA, i
quali comandano la classifica con ben 6.668,39 dollari di spesa pro-capite (esclusi
dal grafico – insieme alla Turchia – per evitare effetti “distorsivi”), quasi il triplo della media
OCSE (2.648,86) [7].
Tuttavia, la nostra disamina si propone di
pervenire all’elaborazione di un numero indice di posizionamento relativo;
quindi, nella tabella 2 abbiamo incrociato la spesa pro-capite con il
grado di efficacia, calcolandone il rapporto (spesa/efficacia). La logica
dell’operazione risiede in questo semplice ragionamento: un indice minore
evidenzia un consumo di risorse inferiore in funzione dell’obiettivo. Infatti,
se l’efficacia aumenta e la spesa diminuisce, l’indice tenderà a diventare
sempre più piccolo [8].
Nella tabella seguente abbiamo riportato gli indicatori di efficienza per i 25
Paesi OCSE con efficacia sopra la media (valori positivi).
L’Italia si colloca in seconda posizione
assoluta (e prima dell’UE), dietro al solo Giappone e davanti a Israele e
Islanda. Nelle retrovie ritroviamo, invece, Slovenia, Portogallo e la
Danimarca che chiude mestamente la classifica. Ma non è tutto.
L’output italiano risulta ancor più significativo se
consideriamo un altro importante dato demografico che abbiamo fin ora ignorato:
l’incidenza media della popolazione anziana sulla popolazione totale, calcolata
per il periodo 2000-2013 (grafico 2). Infatti, è ragionevole attendersi che la
spesa sanitaria sia – seppur parzialmente – funzione diretta del peso relativo
della popolazione senile. Ebbene, l’Italia fa registrare una quota relativa
particolarmente elevata (19,75%), che la pone al secondo posto della
graduatoria, seconda – ancora una volta – al solo Giappone (20,83%). In
fondo alla classifica, invece, troviamo Cile (8,45%), Turchia (6,70%) e Messico
(5,57%). A ulteriore dimostrazione del fatto che il nostro paese spende tutto
sommato bene e relativamente poco.
3. Le privatizzazioni migliorano la qualità
dei sistemi sanitari?
Come accennato nella parte introduttiva
dell’articolo, soprattutto nel nostro Paese le privatizzazioni sono sovente
indicate come la panacea a ogni spreco e malfunzionamento pubblico. Tuttavia,
si tratta di una convinzione che non trova pieno riscontro nei dati e nelle
evidenze empiriche. A tal scopo, riportiamo (grafico 3) il peso relativo della
spesa governativa sulla spesa sanitaria totale per tutti i Paesi OCSE nel
periodo 2000-2013. In particolare, l’Italia occupa il nono posto, con un valore
medio del 78,70%.
Per valutare se ad una maggiore partecipazione statale
si associa una qualità/efficienza migliore o inferiore, dividiamo i paesi
sottostanti in due categorie: quelli con valori sopra la media (cilindri blu) –
pari a 71,52% – e quelli con output sotto la media (cilindri verdi). Quindi,
riconsideriamo la tabella 1 e calcoliamo l’efficacia media per i due
raggruppamenti: i paesi con partecipazione statale relativa maggiore fanno
registrare un’efficacia di +0,25, mentre i rimanenti fanno segnare un output
nettamente inferiore, pari a -0,39. Poi riprendiamo la tabella 2 (grado di
efficienza) e consideriamo le prime venti posizioni (escludiamo i valori più
grandi): solo 6 Paesi (il 30%) ricadono nel raggruppamento con partecipazione
statale sotto la media. Se consideriamo, invece, solo le prime 5 posizioni, il
loro numero scende a uno.
Sembra dunque chiaro che le privatizzazioni
tanto declamate e auspicate da diversi economisti mainstream – come Alesina e
Giavazzi – non rappresentano una terapia percorribile e tantomeno necessaria in
questo particolare momento storico [9].
Tutt’al più, nel caso italiano, lo sforzo dei policy makers dovrebbe concentrarsi sui veri problemi
che affliggono il nostro sistema sanitario: la forte sperequazione nei prezzi
sanitari fra ripartizioni territoriali differenti e l’elevata asimmetria
informativa [10].
Per tutte queste ragioni, piuttosto che un
taglio lineare della spesa sanitaria, auspichiamo una rimodulazione della
stessa e un maggior controllo del mercato, che possa omogeneizzare i servizi
sanitari sull’intero territorio nazionale.
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