Dice Tremonti, ministro dell’Economia e dunque responsabile politico della Guardia di Finanza, che smise di abitare “in albergo o in caserma” perché lì “non ero più tranquillo: mi sentivo spiato, controllato, persino pedinato”. Ora, siccome la caserma in cui viveva era della Guardia di Finanza, se ne deduce che a “spiarlo, controllarlo, persino pedinarlo” non potevano essere che esponenti della Guardia di Finanza. E, siccome nessun finanziere sano di mente prenderebbe l’iniziativa di spiare il ministro da cui dipende il Corpo, non si scappa: a ordinare di spiarlo non può essere stato che il vertice. Il quale vertice, come ha raccontato Tremonti ai pm di Napoli, è diviso in due “cordate”: una fedele a lui e al fido Milanese (ex finanziere), l’altra a Berlusconi (quella che fa capo al generale Adinolfi): “Alcuni rappresentanti di quel Corpo sono in stretto contatto col presidente del Consiglio”.
Tant’è che Tremonti – lo conferma lui stesso – affrontò a brutto muso B. per denunciare le manovre della cordata berlusconiana ai suoi danni. E lo avvertì che non avrebbe accettato di cadere vittima del “metodo Boffo”. Dove per “metodo Boffo” non intendeva tanto gli attacchi del Giornale e di Libero, che per lungo tempo l’han tenuto nel mirino, com’era accaduto a Boffo. Intendeva piuttosto il dossieraggio che mescola fatti veri e falsi per ricattare. Dunque, se le parole e la logica hanno un senso, Tremonti sta accusando la cordata berlusconiana di averlo “spiato, controllato, persino pedinato”. Nell’interesse o per ordine del presidente del Consiglio. Sempre su Repubblica, Tremonti ammette di aver fatto “una stupidata” facendosi ospitare dall’amico Milanese e pagando l’affitto brevi manu, in contanti (“ma non in nero”, precisa). Ma, ammesso che sia solo una stupidata, qui c’è ben di peggio. Se il ministro delle Finanze sospetta che qualcuno della Guardia di Finanza lo spii, dovrebbe correre in Procura a denunciare il reato. E cacciare su due piedi i generali che giudica infedeli, riferendo in Parlamento sui gravissimi motivi che l’hanno spinto a quella decisione (come fece il compianto Padoa-Schioppa, che nel 2007 cacciò il generale Speciale, poi condannato per peculato dunque promosso deputato dal Pdl). Ma avrebbe dovuto riferire anche i suoi sospetti sul mandante di quelle spiate, o almeno le sue certezze sulle liaison fra il suo premier e una “cordata” della Finanza. Infatti B. non dovrebbe avere alcun rapporto con le forze armate e dell’ordine, visto che la Polizia ricade sotto il ministero dell’Interno, i Carabinieri sotto la Difesa, la Finanza sotto l’Economia. Dietro un generale fellone si nasconde sempre un premier golpista, sia pur all’italiana. Invece Tremonti, avvolto da quel tintinnar di sciabole e da quel gracchiar di barbefinte, pensò di risolvere il tutto con una sfuriata a B. e un trasloco chez Milanese. Ora che è tutto sui giornali, e che il sottosegretario Crosetto aggiunge di temere pure lui la Gdf dipingendola come un’associazione a delinquere, la storia non può finire con le scuse di Tremonti per la “stupidata”. La Guardia di Finanza, composta da migliaia di uomini che per poche centinaia di euro al mese scovano miliardi di evasione, merita di meglio. Così come i cittadini che assistono attoniti a quest’ennesimo film horror, ultimo sequel degli scandali petroli, Cerciello e Speciale. Chiedere a Tremonti o a B. di bonificare le Fiamme Sporche è come chiedere a Moggi di risanare il mondo del calcio. Dovrebbe pensarci il capo dello Stato, che è anche il comandante supremo delle Forze Armate. Per cacciare i generali felloni da un Corpo che dovrebbe garantire assoluta trasparenza e imparzialità, fedele alla Costituzione e alla Legge, non a B. o a Tremonti. In caso contrario, quando un finanziere andrà a ispezionare un’azienda, l’ispezionato potrà cacciarlo a pedate dicendosi “spiato, controllato, persino pedinato”. Se della Guardia di Finanza non si fida il ministro delle Finanze, perché dovremmo fidarcene noi?
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano
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