Che ci fanno insieme le associazioni dei padroni piccoli, medi, grandi, artigiani, agricoli, con i banchieri, i cooperatori e i sindacati? Si sono messe insieme tante sigle, quelle che contano, le «parti sociali», per lanciare un appello disperato al Paese: la finanza ci mazzola, l'economia si trova in stato preagonico, lo sviluppo non si vede all'orizzonte e questo governo non ha l'autorevolezza per raddrizzare il timone e portare la nave Italia fuori dalla scogliera, verso il mare aperto. Se si vuole far ripartire la locomotiva (meglio sarebbe dire la littorina) è necessaria una discontinuità: fuori dai piedi Silvio Berlusconi che sputtana l'Italia nel mondo e avanti con un governo tecnico capace di tagliare spese e salari e obbedire agli ordini delle istituzioni finanziarie internazionali. Un tal governo avrebbe un blocco sociale compatto al suo fianco, perché la condizione che la nave vada è che tutti remino nella stessa direzione - l'armatore e il comandante a dare ordini e battere il tempo dalla tolda e gli operai nella stiva a eseguire.
Per questo dev'essere preventivamente abbandanata ogni ipotesi di conflitto. Ecco a cosa serve la firma dei sindacati in calce al «patto», più precisamente di Cisl e Cgil perché Angeletti non ha ancora capito se Berlusconi resisterà o sarà costretto a gettare la spugna e dunque sceglie la prudenza. Il manifesto della «discontinuità» incontra il pensiero di un Sergio Marchionne particolarmente affezionato alla metafora della nave da guerra che combatte nel libero mercato contro le altre navi da guerra, in cui il nemico del rematore non è più l'armatore con cui dev'essere pappa e ciccia ma la nave nemica, e dunque i rematori e l'armatore nemici. Tutti uniti per salvare il paese, in pace come in guerra, sembra un appello lanciato dal presidente Giorgio Napolitano per essere fatto proprio da un arco di forze che va da Bersani a Fini, naturalmente aperto a un pdl postberlusconiano. Prima che antipopolare è - sarebbe - un patto politicista, finalizzato per molti dei sottoscrittori a garantire un governo di unità nazionale, o di transizione che dir si voglia, senza Berlusconi ma impedendo il passaggio del timone nelle mani del centrosinistra come esito possibile e forse anche probabile di un ricorso anticipato alle urne. Questo vuol dire «discontinuità». Un patto vuoto di contenuti che immagina manovre economiche non dissimili da quelle di Tremonti. Non un patto per lo sviluppo ma un patto contro Berlusconi, blindato da tutti per evitare ipotetici cambiamenti di campo. Ammesso che il centrosinistra garantirebbe un cambiamento di paradigma e di interlocutori nella definizione di un piano anticrisi. Come ha detto ieri al manifesto il segretario della Fiom Maurizio Landini e come ripete oggi Sergio Cofferati sul nostro giornale, le organizzazioni sindacali dovrebbero organizzare grandi mobilitazioni contro la manovra ingiusta e la politica economica del governo, invece di stringere patti contro natura e inefficaci ad affrontare la precipitazione della questione sociale in autunno. Scegliere invece la seconda strada, da parte della Cgil, segnala un'ulteriore, pericolosissima perdita di autonomia del sindacato.
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