All’università ho studiato Economia politica. È vera e propria scienza: si possono elaborare modelli teorici su scala ridotta; e stare a vedere quello che succede. Una famiglia destina le sue risorse in primo luogo ai bisogni primari: cibo, casa, cure mediche, istruzione. Poi, se ne ha la possibilità, soddisfa altre esigenze: divertimento, relazioni sociali etc. Alcune famiglie amministrano male le loro risorse e si indebitano. Oltre un certo limite, il credito di cui dispongono finisce. Comincia allora un periodo di ristrettezze durante il quale i debiti contratti devono essere pagati e però bisogna continuare a far fronte ai bisogni primari. Alcune famiglie affrontano la realtà e contraggono le spese; altre ignorano le difficoltà e alla fine si dissolvono: perdono lavoro, casa, legami familiari. Chiunque capisce che questo modello raffigura compiutamente la situazione del nostro Paese; a descrivere la quale non mi dilungo. Mi sembra più utile esporre alcune considerazioni.
1) Non siamo in grado di aumentare la pressione tributaria “diretta”. Come ho già scritto sul Fatto del 21 maggio, l’88% dei contribuenti persone fisiche sono lavoratori dipendenti e pensionati che pagano il 93% del gettito tributario; il popolo delle partite Iva fornisce il restante 7%. Questo significa che un aumento della pressione fiscale si risolverebbe in un incremento dell’evasione già largamente praticata dai lavoratori autonomi (i dati di cui sopra lo dimostrano) e in una pressione insostenibile sui lavoratori dipendenti e i pensionati.
2) Non siamo in grado di aumentare l’Iva sui beni destinati ai bisogni primari; l’88% dei cittadini non se lo può permettere.
3) Non siamo in grado di contrarre le spese destinate ai bisogni primari (per lo stesso motivo). 4) Non siamo in grado di continuare a contrarre debiti; l’esempio della Grecia insegna.
Che si deve fare? Non è difficile da capire. a) Una riforma del sistema tributario che renda molto difficile evadere le imposte. Questa è la premessa per aumentare in maniera sensata la pressione fiscale e attuare una seria lotta all’evasione.
b) Un sistema sanzionatorio che costituisca un deterrente efficace. Se ti ficcano multe pari a 10 volte quello che hai evaso e 15 anni di galera, il rapporto costi-benefici dell’evasione fiscale diventa sfavorevole.
c) Una contrazione della spesa pubblica che non incida sui bisogni primari. Un esempio: nella finanziaria mancano 15 miliardi; abolire le Province avrebbe permesso di risparmiare 17 miliardi.
Naturalmente questo è un discorso sintetico. Però niente di quello che si dovrebbe fare è stato fatto. La classe politica non intende perdere consenso: quello degli evasori, innanzitutto; e quello delle persone che prosperano negli enti da sopprimere: il caso delle Province non abolite lo dimostra. Ma si possono citare i Tribunali inutili, i Ministeri triplicati, i sottosegretariati inventati etc. Così, se non si capisce che la grande maggioranza della classe politica pensa solo alla propria sopravvivenza e se non la si elimina con adeguati ricambi, sarà difficile evitare la bancarotta.
Bruno Tinti, Il Fatto Quotidiano, 8 luglio 2011
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