Tra il 6 e il 9 giugno si tiene in Inghilterra il 61esimo degli incontri che annualmente, a partire dal 1954, vengono organizzati dal Gruppo Bilderberg. Su questa riunione si è manifestata da parte dell’opinione pubblica una attenzione maggiore del solito. Del resto, degli ultimi due presidenti del Consiglio dei ministri, Monti ne è stato a lungo un dirigente, mentre Enrico Letta vi è stato invitato nel 2012. Entrambi, poi, hanno fatto parte della organizzazione sorella più giovane, la Trilaterale, come anche Marta Dassù, un tempo lontano intellettuale di area Pci e più di recente sottosegretario con Monti e viceministro con Letta agli esteri, a capo del quale c’è la Bonino, inviata al Bilderberg nel passato. Quest’anno la presenza italiana non sarà numerosa ma di livello: Monti, Bernabé di Telecom, Nagel di Mediobanca, dal dopoguerra sempre al centro del sistema di potere del capitalismo italiano, Cucchiani di Intesa, prima banca italiana, Rocca di Techint e la giornalista Gruber.
A suscitare la curiosità del pubblico sul Bilderberg contribuiscono l’alone di mistero che lo circonda, dovuto alla segretezza sui contenuti dei dibattiti, e la presenza del gotha economico e politico di Usa ed Europa Occidentale. La ragione principale, però, è riconducibile alla sempre più diffusa percezione di impotenza da parte del “cittadino comune” nei confronti di una economia e di una politica che sfuggono persino alla sua comprensione. La maggiore crisi economica dalla fine della Seconda guerra mondiale, il potere astratto dei mercati finanziari, la stessa vicenda dei debiti pubblici e dell’euro, con le conseguenze devastanti sulle condizioni di vita di centinaia di milioni di lavoratori, favoriscono la sensazione dell’esistenza di forze oscure e incontrollabili. Una testimonianza di questo stato psicologico di massa può essere individuata nella fortuna di romanzi alla Dan Brown e di innumerevoli saggi su massoneria, sette segrete, tra cui gli Illuminati (che vengono collegati al Bilderberg), e chi più ne ha più ne metta. In un clima siffatto ed in assenza di un pensiero critico strutturato e diffuso, è facile attribuire le cause di quanto avviene all’esistenza di complotti e di gruppi che, come una specie di grande “cupola”, reggono un <>.
Il problema è che questo tipo di approccio limita la comprensione della natura e del ruolo di organizzazioni come il Bilderberg e la Trilaterale. E, in definitiva, anche la consapevolezza della loro pericolosità, perché è facile derubricare le critiche a colore giornalistico o a fantasie di qualche inguaribile complottista. Già negli anni ’50 il sociologo Wright Mills, studiando l’élite statunitense, avvertiva che la storia americana non può essere ridotta a una serie di cospirazioni, sebbene ciò non voglia dire che le cospirazioni non esistano. Del resto, aggiungiamo noi, si possono ordire tutti i complotti che si desiderano, ma, se non c’è una base oggettiva e materiale su cui agire, è difficile che si possa avere successo. Ad ogni modo, per dirla con Wright Mills, bisogna capire che il potere delle élite si fonda su fattori impersonali. Tali fattori sono costituiti dal modo di produzione capitalistico e dalla relazione tra struttura economica e sovrastruttura politico-statale della società. Lo scadimento nel complottismo è favorito anche dall’abbandono nella teoria sociologica e economica dello studio delle classi sociali e, in particolare, della classe dominante. Come ho cercato di chiarire nel mio libro, Il Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, lo studio di questo gruppo e della Trilaterale va collocato all’interno dell’analisi della classe dominante capitalistica e delle forme organizzative che le sono proprie. E, dal momento che ogni classe e le sue forme organizzative riflettono, pur in modo non meccanicistico, i mutamenti della struttura economica, rientra nell’analisi del capitalismo contemporaneo.
2. Una nuova forma transnazionale di capitale e di capitalisti
Dunque, che cosa è il Bilderberg? Il Bilderberg è una delle organizzazioni, tra le più importanti, della classe capitalistica transnazionale. Con la mondializzazione degli anni ‘90, il capitale ha completato il raggiungimento della sua fase transnazionale. Quello transnazionale è il livello apicale del capitale nel suo stadio di evoluzione superiore e maggiormente puro, visto che la caratteristica specifica del capitale è la estrema mobilità settoriale e territoriale, in cui sia l’attività di investimento sia la sua stessa composizione proprietaria sono multinazionali. Ad esempio, nelle prime 30 imprese tedesche solo il 37% del capitale è in mano a tedeschi. Caratteristica principale di questa classe è l’estrema interconnessione, non solo tra banche e imprese, come Hilferding con Il capitale finanziario aveva già rilevato cento anni fa, ma anche tra settori economici diversi, e soprattutto tra capitali di diversa provenienza nazionale. Gli stessi consigli d’amministrazione sono interconnessi, grazie alla presenza dei cosiddetti interlocker, top manager e azionisti che siedono contemporaneamente in diversi consigli d’amministrazione. Questi soggetti sono come i nodi di una rete; non a caso alcuni studiosi definiscono il Bilderberg come un network. Del resto, come ha ricordato Gramsci, la forma organizzativa tipica del capitale non è certo quella del partito organizzato (anche se ha la necessità di egemonizzare i partiti di massa per imporsi), ma quella del gruppo informale. Dunque, se il capitale è strutturalmente interconnesso su base transazionale, anche i suoi agenti, i capitalisti, lo sono. Di conseguenza, anche la loro organizzazione tipica non può che essere internazionale. Il Bilderberg, la Trilaterale, l’Aspen Institute rappresentano la concretizzazione di questo tipo ideale. In particolare, il Bilderberg è l’organizzazione di una parte di un settore specifico di questa borghesia, quello atlantico, che fa riferimento alla Nato. Non è un caso: gli Usa e l’Europa occidentale sono due aree fortemente interconnesse tra loro ed egemoni. I giapponesi e gli orientali sono stati tenuti fuori dal Bilderberg. Per coinvolgerli, senza annacquare il carattere atlantico del Bilderberg, negli anni ’70 fu creata la Trilaterale, che spesso comprende le stesse personalità europee, statunitensi e canadesi del Bilderberg alle quali, oltre a quelle giapponesi, ogni anno si aggiungono quelle di nuovi Paesi asiatici. Naturalmente l’integrazione sovrannazionale non deve essere confusa con l’esistenza di una sorta di supercapitalismo o di Impero alla Negri privo di contraddizioni. Il capitale non sarebbe tale se non fosse molteplice e ineguale nel suo sviluppo e, quindi, se non ci fosse una concorrenza tra capitali. La fase transnazionale non è neanche la fase della fine degli stati-nazione, per lo meno di quelli più forti e imperialisti. È la fase dell’aumento della concorrenza tra capitali, tra aree valutarie e tra Stati. Così come è la fase della accentuazione della lotta di classe, quella del capitale contro il lavoro salariato.
3. Che cosa è quale e qual è la funzione del Bilderberg: la nuova oligarchia
Qual è, allora, la funzione del Bilderberg? Ad aiutarci a rispondere è la composizione del suo comitato direttivo e, meglio ancora, la composizione degli invitati ai suoi meeting. Nel comitato direttivo prevalgono esponenti della finanza e dell’industria, in quanto lo statuto prevede che politici in carica non possano farvi parte. Diversa è la situazione nei meeting annuali. Quest’anno i 138 partecipanti ufficiali, possono essere divisi in tre categorie principali. La prima è quella che fa riferimento agli agenti diretti del capitale, cui appartengono ben 65 personalità, di cui 28 afferenti a società finanziarie (banche, assicurazioni, società d’investimento), 29 a oligopoli e monopoli industriali (energia, estrazioni minerarie, metalmeccanica, chimica-farmaceutica, informatica, ecc.), e 8 a grandi network editoriali della Tv e della carta stampata. La seconda è quella della politica e delle istituzioni statali o interstatali con 38 persone. Si tratta di personaggi di primissimo piano, tra cui primi ministri, ministri dell’economia e degli esteri, membri della Commissione europea, tra i quali il presidente Barroso e Viviane Reding, vice presidente e commissario europeo alla giustizia, e di organismi sovrannazionali, come Christine Lagarde dell’Fmi. Infine, abbiamo 28 persone che appartengono a think tank (10), università (12), centri di ricerca e società di consulenza globali. Quasi tutti questi istituti sono legati a grandi corporation, parecchi sono statunitensi ed appartengono all’area neoconservatrice. Si tratta, per dirla alla Gramsci, del “meglio” dell’intellettualità organica al capitalismo internazionale.
La funzione del Bilderberg è, quindi, quella di riunire alcuni tra gli esponenti di punta del capitale mondiale con i principali decision maker politici. La presenza di queste due categorie contemporaneamente legittima l’idea che le riunioni siano l’occasione di definire linee guida generali da implementare con decisioni politiche a livello nazionale e sovrannazionale. A quali principi si ispirino queste linee guida è facile intuirlo, conoscendo l’orientamento dei think tank e dei personaggi che intervengono. Possiamo poi fare riferimento a quei pochi materiali fatti uscire dalla Trilaterale come “Crisi della democrazia” di Crozier e Huntington, che, criticando l’eccesso di democrazia degli anni ‘70, prefigurava quanto abbiamo visto realizzarsi in Italia e in Europa negli ultimi venti anni. I principi di fondo sono quelli che sono diventati egemoni negli ultimi 30 anni a partire dal il tatcherismo e dalla reaganomics: mercato autoregolato, autonomia delle banche centrali, riduzione del welfare, privatizzazioni, deregolamentazione del settore bancario, dei mercati finanziari e del mercato del lavoro e soprattutto “governabilità”, eretta a principio assoluto del funzionamento della “democrazia”.
4. Perché la classe transnazionale vince
Il Bilderberg è molto più connesso alla trasformazione in senso oligarchico delle istituzioni democratiche e rappresentative occidentali che a congiure e complotti. È abbastanza ridicolo pensare che una organizzazione di questo tipo si metta ad organizzare cospirazioni o complotti contro questo o quello. A meno che l’implementazione delle politiche di cui abbiamo parlato non la si voglia definire un complotto. In questo modo, però, perderemmo uno degli aspetti più importanti, cioè l’individuazione del perché e dei meccanismi attraverso cui l’élite transnazionale riesce a vincere. Riesce a vincere, soprattutto, grazie al fatto che è espressione dei rapporti di produzione capitalistici allo stadio transnazionale. Ciò vuol dire che vince perché è interconnessa ed integrata, molto di più di quanto i suoi avversari, il movimento operaio e i movimenti antimperialisti, riescano ad essere. E perché è capace di mettere in atto quello che Gramsci definiva esercizio dell’egemonia. Non è un caso che accanto ai produttori di ideologie neoconservatrici, come i think tank, partecipi agli incontri del Bilderberg anche una nutrita pattuglia di imprenditori e operatori dell’industria della diffusione delle idee e delle opinioni. La forza e la pervasività di questa capacità egemonica è dovuta, infine, soprattutto alla integrazione tra agenti diretti del capitale e politici appartenenti sia al centro-sinistra che al centro-destra, compresa la sinistra verde e la socialdemocrazia europea. Quest’anno tra i partecipanti spicca Stefan Löfven, neosegretario del partito socialdemocratico svedese e ex leader del sindacato dei metalmeccanici, invitato, come da prassi, dal membro svedese del comitato direttivo, Jacob Wallenberg, l’Agnelli svedese. Il vero problema non è la corruzione di basso livello dei politici o il finanziamento pubblico ai partiti, come pretendono i fustigatori della “casta”. La vera corruzione del sistema politico e dei partiti tradizionali risiede nell’integrazione dei vertici politici all’interno della borghesia transnazionale. Infatti, spesso non è possibile distinguere con nettezza tra agenti politici, intellettuali ed economici del capitale transnazionale. Gli stessi individui, come nel sistema Usa della “porte girevoli”, passano con disinvoltura dai consigli d’amministrazione ai governi nazionali alle organizzazioni sovrannazionali ai centri ideologici e viceversa, come nel caso di Mario Monti e Mario Draghi.
Concludendo, non è possibile capire il Bilderberg e le altre sue organizzazioni sorelle se non recuperiamo e non attualizziamo la categoria di modo di produzione e la relazione struttura-sovrastruttura. Non si tratta di una esigenza solamente scientifica, ma soprattutto politica, senza la quale non può essere fondato alcun durevole processo di ripresa democratica. In sintesi, possiamo definire il Bilderberg come l’organizzazione della nuova classe borghese transnazionale, nella forma del network. Una organizzazione funzionale allo scopo sia di essere camera di compensazione delle contraddizioni intercapitalistiche, interstatali e tra Europa e Usa sia soprattutto di esercitare l’egemonia sul resto della società attraverso l’elaborazione, la condivisione ideologica tra i vari settori di questa borghesia e l’implementazione nei sistemi politici di linee guida generali. Il risultato di questo attivismo non è però alcun “nuovo ordine mondiale”, bensì il caos, come possiamo osservare nelle cronache di ogni giorno. Il dato più importante su cui riflettere, alla fine, è che il capitale transnazionale produce destabilizzazione e divaricazione delle contraddizioni a tutti i livelli.
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