Grillo
continua ad atteggiarsi (con più nervosismo, ma con uguale arroganza) a
padrone del M5S, a depositario di un potere assoluto che, tuttavia, i
“cittadini” approdati al parlamento non accettano più. Anche perché la
caduta verticale di consensi scuote fortemente quel senso di onnipotenza
che il nuovo re Mida aveva suscitato intorno alla propria figura
carismatica. Da qualche tempo, quel che tocca non si trasforma più in
oro e la contestazione interna, prima contenuta e mascherata dalla
strepitosa crescita elettorale, si fa ora più esplicita e audace. E’
trascorsa solo una manciata di settimane dalle elezioni politiche, ma
l’urlo risuonato da una piazza d’Italia all’altra, quel lapidario“tutti a
casa”, gli si è strozzato in gola. Il capitale politico accumulato in
un batter di ciglio si sta riducendo con la stessa rapidità e non c’è
alchimia retorica che possa nascondere le evidenti ragioni che stanno
provocando un così impetuoso riflusso.
Esse risiedono, innanzitutto, nell’incapacità del M5S di giocare un ruolo propositivo, nel rifiuto di investire la propria ingente rappresentanza parlamentare in una strategia da realizzare qui ed ora, nella inquietante (e quanto illusoria) pretesa totalitaria di conquistare “prima” tutto il potere, speculando sull’implosione delle forze politiche, data per inevitabile.
Grillo ha promesso il lavacro dei partiti al potere, ma non ha fatto nulla perché le contraddizioni in essi presenti esplodessero davvero, riducendo la sua invettiva ad una profezia priva di gambe. Per inverarla occorreva darsi un progetto politico vero, non un abborracciato sincretismo culturale, condito con una babilonia di linguaggi e di intenzioni che convivono confusamente nel calderone grillino.
Dalle piazze al parlamento è come se non fosse accaduto nulla. E invece, coloro che il movimento ha in qualche modo selezionato, eletto e ai quali ha affidato un mandato, ora vogliono emanciparsi dall’Egoarca che pretende di dettare loro anche il ritmo del respiro.
Una questione democratica è ormai aperta. E non basteranno grida, minacce, anatemi, espulsioni decretate ex-cathedra a frenare la ribellione. Anche l’appello alla rete, simulacro di democrazia brandito da Grillo come una clava contro il dissenso interno, finirà per rivoltarglisi contro.
La sindrome paranoica del monarca che non si fida più di nessuno, che agita il più frusto degli slogan autoritari (“Chi non è con me è contro di me”), che risolve la dialettica interna con sanzioni amministrative (perché “epurandosi ci si migliora”), che si circonda di una castina di mediocri ma obbedienti replicanti, è la spia di una crisi profonda, verosimilmente irreversibile. Ed è un peccato, perché dentro quel magmatico e immaturo movimento, si trovano energie, intenzionalità sane e un vero potenziale di cambiamento.
Perché le promesse del M5S non si inabissino del tutto servirebbe una rivoluzione democratica nelle sue file, che affranchi il movimento dalla tutela dittatoriale del suo fondatore. Devono “uccidere il padre”, se vogliono crescere. A cominciare – considerato che una fase costituente dal basso non c’è mai stata – dai gruppi parlamentari, che rappresentano l’embrione di un gruppo dirigente in divenire. Se questo non accadrà, la stagione del comico si concluderà là dove è iniziata e le speranze genuinamente coltivate da tanti giovani si trasformeranno in una nuova cocente delusione.
Esse risiedono, innanzitutto, nell’incapacità del M5S di giocare un ruolo propositivo, nel rifiuto di investire la propria ingente rappresentanza parlamentare in una strategia da realizzare qui ed ora, nella inquietante (e quanto illusoria) pretesa totalitaria di conquistare “prima” tutto il potere, speculando sull’implosione delle forze politiche, data per inevitabile.
Grillo ha promesso il lavacro dei partiti al potere, ma non ha fatto nulla perché le contraddizioni in essi presenti esplodessero davvero, riducendo la sua invettiva ad una profezia priva di gambe. Per inverarla occorreva darsi un progetto politico vero, non un abborracciato sincretismo culturale, condito con una babilonia di linguaggi e di intenzioni che convivono confusamente nel calderone grillino.
Dalle piazze al parlamento è come se non fosse accaduto nulla. E invece, coloro che il movimento ha in qualche modo selezionato, eletto e ai quali ha affidato un mandato, ora vogliono emanciparsi dall’Egoarca che pretende di dettare loro anche il ritmo del respiro.
Una questione democratica è ormai aperta. E non basteranno grida, minacce, anatemi, espulsioni decretate ex-cathedra a frenare la ribellione. Anche l’appello alla rete, simulacro di democrazia brandito da Grillo come una clava contro il dissenso interno, finirà per rivoltarglisi contro.
La sindrome paranoica del monarca che non si fida più di nessuno, che agita il più frusto degli slogan autoritari (“Chi non è con me è contro di me”), che risolve la dialettica interna con sanzioni amministrative (perché “epurandosi ci si migliora”), che si circonda di una castina di mediocri ma obbedienti replicanti, è la spia di una crisi profonda, verosimilmente irreversibile. Ed è un peccato, perché dentro quel magmatico e immaturo movimento, si trovano energie, intenzionalità sane e un vero potenziale di cambiamento.
Perché le promesse del M5S non si inabissino del tutto servirebbe una rivoluzione democratica nelle sue file, che affranchi il movimento dalla tutela dittatoriale del suo fondatore. Devono “uccidere il padre”, se vogliono crescere. A cominciare – considerato che una fase costituente dal basso non c’è mai stata – dai gruppi parlamentari, che rappresentano l’embrione di un gruppo dirigente in divenire. Se questo non accadrà, la stagione del comico si concluderà là dove è iniziata e le speranze genuinamente coltivate da tanti giovani si trasformeranno in una nuova cocente delusione.
Ha osato criticarlo: Grillo caccia la Gambaro
da Globalist.it -
“Quando una vale niente”. Titola così il post con cui Beppe Grillo dà il benservito alla senatrice Adele Gambaro, “colpevole” di aver mosso accuse contro il leader del Movimento, attribuendogli responsabilità per la “debacle” elettorale.
“Quando una vale niente”. Titola così il post con cui Beppe Grillo dà il benservito alla senatrice Adele Gambaro, “colpevole” di aver mosso accuse contro il leader del Movimento, attribuendogli responsabilità per la “debacle” elettorale.
“La senatrice Adele Gambaro – scrive Grillo – ha rilasciato
dichiarazioni false e lesive nei miei confronti, in particolare sulla
mia valutazione del Parlamento, danneggiando oltre alla mia immagine, lo
stesso MoVimento 5 Stelle. Per questo motivo la invito per coerenza a
uscire al più presto dal M5s”.
“Uno vale uno, quando costruisce – scrive il leader M5S sempre sul
blog – Quando del dibattito fa crescita, arricchimento, fatica per
arrivare un passo più oltre. Uno vale niente, quando smantella il
proprio stesso progetto servendosi della complicità di chi ha il solo
scopo di distruggerlo. Uno vale uno quando è un uomo libero, che mette
in pratica la democrazia nel senso più nobile ed alto: la libertà di sé
nel rispetto delle regole. Uno vale niente, quando si proclama a destra e
a manca democratico, proprio calpestando e disprezzando le regole che
lui stesso si è dato”.
E ancora: “Uno vale uno quando rispetta, vive e conosce a fondo
l’etica politica del progetto a cui partecipa – incalza – e che gli
chiede impegno e partecipazione quotidiana. Uno vale niente, quando
scopre che la propria “etica” coincide con quella di partiti altrui, ma
prende in giro i propri compagni di strada restando solo per costruirsi
un potere personale”.
“Uno vale uno quando ci mette la faccia – va avanti Grillo – Quando è
pronto ad affrontare un’informazione ostile e dura, pur di far passare
il proprio messaggio cosi’ scomodo al sistema. Uno vale niente, quando
si fa usare da un’informazione ruffiana, quando -credulone!- si bea
delle lusinghe di quella Casta, che lo circuisce pronta a gettarlo via
appena non servirà più”.
“Uno vale uno quando è consapevole che l’opportunità unica che gli è
stata offerta non è per i suoi meriti, ma per servire un Paese alla
canna del gas e i suoi disperati cittadini – scrive ancora Grillo –
Quando invece crede di essere diventato Onorevole per chissà quali
fortune, per chissà quali divine investiture, e usa il progetto di
milioni di italiani per promuovere se stesso e assicurarsi un posto al
sole, allora è uno che non vale proprio niente”.
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