sabato 28 dicembre 2013

Ma quanto ci costa il capitalismo privato? di Roberto Romano, Il Manifesto


Ma quanto ci costa il capitalismo privato?


Confindustria. Il «rapporto» dell’associazione padronale è una sorta di autodenuncia di crisi profonda e incapacità

Con­fin­du­stria con­ferma che la mac­china pub­blica costa 23 mld di euro. Un onere non solo con­te­nuto, ma signi­fi­ca­ti­va­mente basso rispetto ad alle società pri­vate. In altre parole il pub­blico, il capi­ta­li­smo pub­blico, è molto più effi­ciente del capi­ta­li­smo pri­vato. La dina­mica com­mer­ciale delle par­te­ci­pate dagli EELL è da valu­tare posi­ti­va­mente, tenuto conto che le mag­giori imprese indu­striali ita­liane hanno accu­sato una fles­sione delle ven­dite del 16,5%, tanto più che al calo del fat­tu­rato del 2009 si è abbi­nata una sor­pren­dente tenuta del valore aggiunto, caduto solo dello 0,4% ed atte­sta­tosi al suo mas­simo dell’ultimo trien­nio rispetto ai ricavi (33,2%). Il risul­tato d’esercizio delle par­te­ci­pate non è lon­tano dai mas­simi del 2007. Con­fin­du­stria avrebbe potuto «denun­ciare» la scarsa red­di­ti­vità delle par­te­ci­pate pub­bli­che, ma le imprese pub­bli­che degli enti locali, di que­sto parla il rap­porto di Con­fin­du­stria, non hanno come fine ultimo il pro­fitto. Non solo. I set­tori a rete, quelli che uni­scono il Paese, hanno mostrato una dina­mi­cità che pur­troppo il pri­vato non rie­sce a rag­giun­gere. L’energia ha rea­liz­zato ricavi per oltre 32 mld di euro, con dei mar­gini supe­riori alle imprese pri­vate; per­sino il tra­sporto pub­blico locale, gra­ve­mente col­pito dai man­cati tra­sfe­ri­menti dello Stato, ha ricavi per quasi 9 mld di euro. Com­bi­nando TPL, le atti­vità indu­striali, la for­ma­zione, i ser­vizi socio sani­tari e ricrea­tivi, le par­te­ci­pa­zioni pub­bli­che hanno chiuso con una per­dita di poco infe­riore ai 500 milioni di euro. Come se non bastasse, il rap­porto debiti/patrimomio è 0,5. Sarebbe bello se le società pri­vate fos­sero per­for­manti quanto e come quelle pub­bli­che, cari­can­dosi sulle spalle anche la matrice sociale delle par­te­ci­pate pub­bli­che.
Ma la con­ferma della migliore per­for­mance delle par­te­ci­pate pub­bli­che, con un costo di 23 mld per Con­fin­du­stria, segna la debo­lezza del capi­ta­li­smo pri­vato ita­liano. L’obbiettivo è quello di costrin­gere lo Stato e gli Enti locali a cedere le società par­te­ci­pate per­for­manti, in ragione della mar­gi­na­lità delle imprese pri­vate nazionali.
Senza cadere nel grot­te­sco mani­fe­stato da Con­fin­du­stria, il pro­blema dell’impresa pri­vata ita­liana è un pro­blema pub­blico. Le con­ti­nue denunce della stessa, circa il fun­zio­na­mento della mac­china pub­blica, non pos­sono per molto tempo ancora nascon­dere il dramma che attra­versa l’impresa pri­vata. Molte di que­ste rie­scono a rima­nere sul mer­cato via elu­sione fiscale, cioè man­cate entrate per lo stato non infe­riori a 100 mld di euro annuo. La caduta della pro­du­zione indu­striale non ha pari tra i paesi indu­stria­liz­zati, men­tre la man­cata cre­scita del PIL degli ultimi anni rispetto alla media euro­pea, 175 mld di euro, mani­fe­sta la «meri­dio­na­liz­za­zione» dell’industria ita­liana rispetto a quella euro­pea. Si arri­vano a para­dossi che non hanno nes­suna giu­sti­fi­ca­zione: la ricerca e svi­luppo delle imprese ita­liane è pari al 40% di quella totale, con­tro una media dei Paesi di area ocse del 60%, deter­mi­nando un saldo nega­tivo della bilan­cia com­mer­ciale tec­no­lo­gica di un punto di PIL. L’effetto? Gli stu­denti che l’università ita­liana pro­duce ogni anno sono troppo for­mati rispetto alla domanda delle imprese.
Forse Con­fin­du­stria non si è resa conto di quello che ha «denun­ciato». Ma il pro­blema inve­ste pro­prio tutti. Senza una impresa pri­vata ita­liana almeno pros­sima a quella euro­pea non si esce dalla crisi nella crisi dell’Italia. Non è più un pro­blema delle imprese: è un pro­blema del Paese.
Si tratta di ripri­sti­nare un minimo di poli­tica indu­striale capace di anti­ci­pare la domanda di beni e ser­vizi, evi­tando che siano suc­ces­si­va­mente impor­tati dall’estero (Ger­ma­nia e Cina). Si pensi ai pan­nelli solari che sono inte­ra­mente impor­tati dalla Cina e dalla Ger­ma­nia. Feno­meno che si sta ripe­tendo con le pale eoli­che. Visto che l’unica ricerca e svi­luppo dell’Italia è pub­blica, dovremmo ten­tare di indu­stria­liz­zare que­sta ricerca, lascian­dola suc­ces­si­va­mente a un rap­porto pubblico-privato. Non è la migliore delle solu­zioni pos­si­bili, ma la con­di­zione dell’industria ita­liana è tale che potrebbe por­tare tutti nel baratro.

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