In una lettera all'Unità pubblicata ieri, Luciano Canfora riporta la
discussione sulle forme del sistema elettorale sui giusti binari. Il
sistema proporzionale è l'unico sistema elettorale democratico. Chi lo
nega o lo ostacola è pericoloso.
Caro Direttore,
mentre si escogitano i più stravaganti modelli di legge
elettorale e si svolgono trattative più o meno occulte e trasversali per
una legge che incontri il gradimento di (quasi) tutti, restano in ombra
due dati di fatto macroscopici e però rigorosamente sottaciuti.
Il primo, molto sgradevole, è che - in realtà - non si cerca una
legge equa che rispetti la «volontà popolare» presupposto non
trascurabile della nozione stessa di suffragio universale. Ma si cerca
quella legge dalla quale ciascuno dei corridori in gara immagina di
trarre il maggior vantaggio a danno del concorrente. Donde l'estrema
difficoltà, se non impossibilità, di trovare un accordo.
Il secondo è che, mentre si elucubra e si intrecciano ultimatum e
si fissano scadenze, la legge invece c'è già. È quella che risulta
vigente una volta detratti gli «additivi» di tipo maggioritario che la
impeccabile sentenza della Consulta ha dichiarato illegali. Detratti gli
additivi chimici, detti anche «premi di maggioranza», ciò che resta è
la normativa fondata sul principio proporzionale (cioè sull'articolo 48
della Costituzione) con cui l'Italia repubblicana ha funzionato dal 1946
al 1992. Periodo storico fecondo di risultati positivi, durante il
quale furono di norma rappresentati in Parlamento assai meno partiti che
non nei vent'anni di «maggioritario» che abbiamo dovuto subire e da cui
potremmo finalmente uscire. Da 20 anni facciamo da cavie a un sistema
che non ha dato né riduzione dei partiti né stabilità L'esperienza di
questo ventennio maggioritario ha dimostrato che il famigerato argomento
che invoca la «governabilità» a sostegno del trucco maggioritario è del
tutto inconsistente. Per un ventennio abbiamo fatto da cavie ad un
esperimento in corpore vili: esso ha dimostrato che il maggioritario né
riduce il numero di partiti presenti in Parlamento né garantisce maggior
durata .ai governi. Fallisce su entrambi i piani per i quali veniva
elogiato e additato come modello e «rimedio unico ai mali». Non è
difficile capire il perché di tale fallimento.
Il miraggio del «premio» di maggioranza infatti incrementa la
pulsione a creare partiti sufficientemente grandi per ottenere il
«premio»: partiti raffazzonati e compositi che prima o poi si sfasciano
al seguito di scontri «di vertice», che, tra l'altro, nulla hanno a che
fare con la volontà e i bisogni degli elettori. Partiti raffazzonati di
tal genere incrementano la instabilità e approfondiscono la frattura tra
società politica e corpo civico. Un altro effetto deleterio del
maggioritario è la cosiddetta corsa alla «conquista del centro»
considerata la principale arma per la vittoria. Questo determina il
progressivo rassomigliarsi dei partiti, specie di quelli principali.
(Colpisce vedere ex «guardiani» del cavaliere di Arcore - quali ad
esempio il ministro Lupi, veterano di pubblici talk-show - tramutarsi,
quasi, in militanti del Pd: senza troppo sforzo perché nella sostanza le
diversità si sono ridotte di molto, al netto s'intende degli scontri
personalistici). Né si capirebbe come mai da oltre due anni siamo
governati dall'«unione sacra» degli ex-rivali se non ci fosse per
l'appunto una sostanziale concordanza sulle cosiddette «cose che
contano» (concordanza che viene quotidianamente esaltata).
L'appannamento delle differenze produce il ritrarsi dalla volontà di
partecipazione, già solo elettorale, alla politica da parte di un numero
crescente di cittadini. L'assemblea regionale siciliana attualmente in
carica così come l'attuale sindaco di Roma sono stati eletti da meno
della metà degli aventi diritto al voto. Por mente a questo fenomeno
aiuta a comprendere quanto sia vano l'argomento di chi prevede risultati
paralizzanti ove si andasse a votare con il sistema da pochi giorni
tornato in vigore, cioè col proporzionale. È una previsione arbitraria e
vagamente deterrente. Non è possibile infatti prevedere quale sarà il
voto di chi finalmente potrà votare non più ricattato dall'estorsivo
criterio del «voto utile».
Il ripristino del principio e dell'attuazione pratica del sistema
proporzionale - il cui primo demolitore in Italia fu Mussolini con la
legge Acerbo del 1923, premessa per la dittatura - potrebbe forse ancora
fare a tempo ad arrestare il processo degenerativo dei partiti
italiani, ridotti ormai - quale più quale meno - a galassie dai confini
incerti e gravitanti intorno a leader presuntamente carismatici
sull'onda dell'ingannevole ed effimero meccanismo delle primarie. È
umiliante constatare come proprio al nostro Paese, per tanto tempo
laboratorio politico importante, sia toccato un esito siffatto.
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