Sino al 15 dicembre folle di statisti si daranno il cambio per elogiare
la vita di Nelson Rolihlahla Mandela. La cifra unica delle
commemorazioni è quella della santificazione dell’uomo della pace. In
una orgia di ipocrisia consumata sul corpo del capo dell’African
National Congress. Non potrebbe essere altrimenti perché questo mito,
fatto crescere da una banda di rockettari con a capo un altro monumento
all’ipocrisia come Paul David Hewson “Bono”, è stato coltivato e
istituzionalizzato da un’altra banda di ipocriti, che distribuisce a
casaccio il Premio Nobel per la Pace.
Quello che si vuole nascondere è che Mandela non fu un pacifista, non fu il Ghandi dell’Africa. Fu un combattente della lotta armata per la liberazione del suo popolo. I suoi anni nelle galere del Sudafrica razzista furono determinati da un cumulo di false accuse. Tuttavia Mandela rivendicò le azioni di sabotaggio che gli erano state imputate. Rifiutò negli anni Ottanta di essere scarcerato non volendo dichiarare la sua rinuncia alla lotta armata.
La sterilizzazione della vita di Mandela oggi fa comodo ad attempati presidenti e a tutte le cariatidi del potere che hanno messo in moto la macchina della falsificazione storica. Non è comodo ricordare il Mandela capo di una organizzazione armata di sovversione. Meglio un Mandela di plastica manipolabile dai discorsi del Trio Lescano del PD (Cuperlo, Civati, Renzi) che alla vigilia del “voto” possono sciorinare ulteriori scemenze tardo-pacifiste. Un Mandela di plastica si aggirerà per i canali televisivi sino al 15 dicembre. Un altro nero (impallidito) userà la tribuna del funerale per raccontare quanto l’America si batta per la libertà del mondo. Tutto mentre l’Africa è in fiamme distrutta due volte, dalla colonizzazione prima e dalla decolonizzazione poi. Sfruttata sino alle ossa e depredata delle sue ricchezze naturali e perciò mantenuta in uno stato di guerra endemica alimentata dal commercio di armi. Il lutto reale non sta nella ormai prevedibile morte di Mandela ma nella trasformazione definitiva di un rivoluzionario in qualcosa che non fu, un pacifista innocuo per il potere.
Quello che si vuole nascondere è che Mandela non fu un pacifista, non fu il Ghandi dell’Africa. Fu un combattente della lotta armata per la liberazione del suo popolo. I suoi anni nelle galere del Sudafrica razzista furono determinati da un cumulo di false accuse. Tuttavia Mandela rivendicò le azioni di sabotaggio che gli erano state imputate. Rifiutò negli anni Ottanta di essere scarcerato non volendo dichiarare la sua rinuncia alla lotta armata.
La sterilizzazione della vita di Mandela oggi fa comodo ad attempati presidenti e a tutte le cariatidi del potere che hanno messo in moto la macchina della falsificazione storica. Non è comodo ricordare il Mandela capo di una organizzazione armata di sovversione. Meglio un Mandela di plastica manipolabile dai discorsi del Trio Lescano del PD (Cuperlo, Civati, Renzi) che alla vigilia del “voto” possono sciorinare ulteriori scemenze tardo-pacifiste. Un Mandela di plastica si aggirerà per i canali televisivi sino al 15 dicembre. Un altro nero (impallidito) userà la tribuna del funerale per raccontare quanto l’America si batta per la libertà del mondo. Tutto mentre l’Africa è in fiamme distrutta due volte, dalla colonizzazione prima e dalla decolonizzazione poi. Sfruttata sino alle ossa e depredata delle sue ricchezze naturali e perciò mantenuta in uno stato di guerra endemica alimentata dal commercio di armi. Il lutto reale non sta nella ormai prevedibile morte di Mandela ma nella trasformazione definitiva di un rivoluzionario in qualcosa che non fu, un pacifista innocuo per il potere.
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