Una recente ricerca ad opera del Centro studi "ADB" di Krls Network of Business Ethics, ripreso anche da Repubblica, gratifica
l'Italia come campione in Europa per quanto riguarda l'evasione fiscale. In sé non è una notizia nuova, per coloro che da anni seguono il fenomeno. Tuttavia il modo articolato con cui la ricerca è condotta permette di approfondire il tema e rivela quanto distante sia la realtà dalla manipolazione e dalla propaganda di certe forze politiche.
Nei primi 11 mesi del 2013, l'evasione fiscale è cresciuta nel nostro paese del 2,3%, portando l'evasione complessiva su base annua per il 2013 espressa in termini monetari a 203 miliardi di euro. Una cifra di tutto rispetto, più di una decina di leggi di stabilità; superiore alla massa di proventi generosamente previsti dall'attuale governo per il piano di privatizzazioni che si appresta a varare; pari a più di quattro volte la decurtazione del bilancio annuale che servirebbe per prestare fede al Fiscal Compact, ovvero la nuova normativa europea che ci impone un rientro forzato del debito per una quota di circa 50 miliardi ogni anno per venti anni a fila. Abbiamo fatto di peggio della martoriata Grecia.
Certo la crisi ha pesato enormemente. Ma questa esiste per tutti i paesi europei. Solo che da noi si è coniugata con un male antico: la mancanza del senso dello stato che genera una evasione fiscale diffusa e al contempo concentrata nei grandi potentati economici.
Dal 2008, quando la crisi iniziata negli Stati Uniti un anno prima, si è manifestata con vigore in Europa, l'indice della "Tax compliance", ovvero il metro di misura della fedeltà fiscale è sceso di più di 17 punti, passando dal 28,9% all'11,4%.
Ma chi sono questi pervicaci e automoltiplicantisi evasori fiscali? Qui registriamo la sconfitta della comune vulgata. Al primo posto figurano infatti gli industriali (32,8%), poi si aggiungono i bancari e gli assicurativi (28,3%), seguono i commercianti (11,7%), gli artigiani (10,9%), i professionisti (8,9%). Naturalmente la classifica è chiusa dai lavoratori dipendenti che avendo per lo più la ritenuta alla fonte si devono accontentare di un 7,4%.
Ma ancora più interessante è la dislocazione geografica della concentrazione di evasione fiscale: primeggia il Nord-Ovest con un 29,4% sul totale nazionale. Lo tallona il Nord Est (25,5%), seguono il Centro (23,2%) e il Sud (21,9%). Si dirà certamente che il volume dell'evasione fiscale va messo in relazione con il Pil prodotto da ogni singola parte d'Italia. Verissimo. Ma è già chiaro da queste cifre che l'immagine di un Nord virtuoso contrapposto a una Roma ladrona e a un Sud criminale è una pura bufala propagandistica.
La ricerca individua cinque tipologie di evasione fiscale: l'economia sommersa, l'economia criminale, l'evasione delle big company, quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Ovviamente le prime due fattispecie fuoriescono da ogni analisi più precisa per definizione. Ma è già interessante soffermarsi sulla terza tipologia, quella delle imprese. Dopo avere analizzato i bilanci delle società di capitale dal 2008 al 2013, i ricercatori hanno evidenziato che su circa 850 mila imprese, la metà ha presentato bilanci in rosso per diversi anni consecutivi (evitando quindi di pagare imposte), e il 15% delle grandi società dichiara redditi inferiori ai 10 mila euro, comprese società e banche quotate in Borsa.
Si potrà anche qui dire che alcuni di questi bilanci figurano in rosso perché vi sono stati trasferimenti di beni e servizi tra imprese di uno stesso gruppo multinazionale in altri paesi che offrono condizioni fiscali più vantaggiose, ma siamo sempre di fronte ad operazioni di furbizia per evitare la giusta contribuzione.
Inoltre siamo di fronte a redditi di impresa che sono inferiori a quelli dei lavoratori dipendenti. Il che potrebbe avvenire in un anno particolarmente sfortunato, ma non è possibile che questa situazioni perduri per un lustro intero. Poiché le retribuzioni dei dipendenti italiani sono tra le più basse in Europa, ne consegue il dolo fiscale. Chi a suo tempo - fra cui chi scrive - proponeva che in ogni caso non si poteva accettare una tassazione per il datore di lavoro continuativamente inferiore a quella dei propri dipendenti, aveva ragione da vendere.
Non sono quindi le tasse italiane ad essere le più alte. Anzi. Il problema è che la pressione fiscale è pesantissima sui contribuenti onesti a causa della crescente evasione fiscale, la maggiore in Europa. Non è un caso che l'Italia sia tra i pochissimi paesi senza una tassazione patrimoniale soggettiva, cioè non sulle cose, come la casa o l'automobile, ma sull'insieme dei redditi e delle rendite che fanno capo a una persona. Fermo restando che il problema principale del fisco italiano è spostare il peso della tassazione dal lavoro, in ogni sua forma, sulle rendite.
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