sabato 28 dicembre 2013

Lavoro, la strada di Keynes di Tonino Perna


Lavoro, la strada di Keynes


La Con­fin­du­stria e i sin­da­cati hanno cri­ti­cato il governo per l’esiguità della mano­vra che tende a ridurre il cosid­detto cuneo fiscale. Ancora non si hanno dati pre­cisi, ma nella migliore delle ipo­tesi si tratta di poco più di un cen­ti­naio di euro per i lavo­ra­tori e per le imprese. Ridi­colo. Ma, ammet­tiamo pure che per ridurre il cuneo fiscale fos­sero impie­gati 4 miliardi, quelli che ci sareb­bero se fosse rima­sta l’Imu sulla prima casa, che cosa avreb­bero pro­dotto in que­sta dire­zione? Con­si­de­rando che i lavo­ra­tori dell’industria mani­fat­tu­riera e delle costru­zioni ammon­tano a circa 6 milioni di addetti, se que­sto bene­fi­cio si con­cen­trasse su que­sta cate­go­ria, la ridu­zione del cuneo fiscale por­te­rebbe circa 320 euro l’anno in tasca dei lavo­ra­tori e altret­tanto per le imprese. L’effetto sarebbe comun­que limi­tato e cer­ta­mente non darebbe vita a una netta ripresa dell’occupazione per il sem­plice fatto che, come ci ha spie­gato Key­nes, in una clima di incer­tezza gene­ra­liz­zata l’occupazione e gli inve­sti­menti ripar­tono con dif­fi­coltà. Detto in altri ter­mini: se dimi­nui­sce il costo del lavoro di circa 55 euro al mese in media per busta paga, come nel nostro esem­pio, non c’è un incen­tivo suf­fi­ciente a far sì che le imprese assu­mano altri lavo­ra­tori. Inol­tre, biso­gna con­si­de­rare il fatto che in molte pro­du­zioni, a par­tire da quella a media e alta tec­no­lo­gia, il costo del lavoro ha un peso rela­ti­va­mente basso, ed in diversi casi non arriva al 10 per cento del costo finale al consumatore.
Se invece il governo usasse i 4 miliardi, che abbiamo ipo­tiz­zato, per assu­mere diret­ta­mente dei lavo­ra­tori nella sanità, scuola, Uni­ver­sità, ricerca, ser­vizi sociali, si cree­reb­bero 130.000 nuovi posti di lavoro in set­tori in cui c’è un grande biso­gno, dove i ser­vizi sono spesso sca­denti o insuf­fi­cienti per la carenza di per­so­nale.
Si tratta di posti pub­blici, fissi, sta­tali: «che orrore!» potrebbe dire il pre­mier o il pre­si­dente di Con­fin­du­stria o la Com­mis­sione Euro­pea. Pec­cato che que­sta sia l’unica strada pos­si­bile per ridurre la disoc­cu­pa­zione oggi e non domani o dopo­do­mani quando arri­verà la mitica cre­scita che tutti i governi hanno annun­ciato da sei anni a que­sta parte.
Non solo. Que­sti nuovi lavo­ra­tori avreb­bero un red­dito da spen­dere e potreb­bero fare aumen­tare anche la domanda interna creando altra occu­pa­zione, molto di più di quello che potreb­bero fare i già occu­pati con un pic­colo incre­mento nella busta paga. Last but not least, avere più occu­pati nella scuola/Università, nella ricerca, nella sanità e nei ser­vizi sociali, miglio­re­rebbe la qua­lità della vita per tutti e in par­ti­co­lare per i più poveri, che il peg­gio­ra­mento dei ser­vizi pub­blici ha col­pito diret­ta­mente. E si potreb­bero aggiun­gere alla lista i posti che ser­vono per con­tra­stare il dis­se­sto idro­geo­lo­gico, per met­tere in sicu­rezza gli edi­fici pub­blici, i beni archeo­lo­gici, ecc.
Ser­vi­reb­bero altre risorse, certo, ma que­sta è l’unico modo che abbiamo per creare lavori real­mente utili nel medio periodo. Que­sta è la linea di demar­ca­zione tra una posi­zione libe­ri­sta e una di sini­stra rispetto alla que­stione dell’occupazione. La prima punta fidei­sti­ca­mente sulle virtù del mer­cato capi­ta­li­stico di creare occu­pa­zione attra­verso la cre­scita con oppor­tuni incen­tivi, dimen­ti­cando che in tutto l’Occidente negli ultimi venti anni si è sem­pre più spesso regi­strata una ripresa jobless. La seconda posi­zione punta sul ruolo dello stato, e non si ver­go­gna di dire che que­sto è l’unico sog­getto che, in gran parte dell’Europa, tenendo conto della Nuova Divi­sione inter­na­zio­nale del Lavoro, possa creare real­mente nuovi posti di lavori nel breve periodo.
Ma, per chi è dispe­rato, para­fra­sando Key­nes, non esi­ste un lungo periodo. Que­sta è , a nostro avviso, la vera sfida che si gio­cherà alle pros­sime ele­zioni euro­pee. Ed è ciò che, insieme alla richie­sta di ristrut­tu­ra­zione del Debito Pub­blico, può creare la grande alleanza tra i paesi del Sud-Europa.

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