di Jacopo Rosatelli – il manifesto
Bisogna fare come in
Germania». Lo ripetono tutti i fautori delle cosiddette «riforme
strutturali», ignorando le voci di quanti (economisti critici,
sindacati e sinistre di alternativa) provano a mettere in
discussione il dogma dell’infallibilità teutonica. Se è vero che
l’economia della Repubblica federale gira molto di più di quella di
tanti altri paesi, è altrettanto certo che non è tutto oro quel che
luccica. Se n’è avuta un’ulteriore conferma ieri: una delle
principali organizzazioni tedesche del «privato sociale», il Paritätischer Gesamtverband,
ha presentato il suo annuale «Rapporto sulla povertà», da cui si
ricava un’immagine della «locomotiva d’Europa» tutt’altro che
esemplare. I numeri, infatti, dicono che il disagio sociale continua
ad aumentare anche da quelle parti.
Nella ricca Germania contemporanea esiste un 15,2% della
popolazione che si trova in condizioni di povertà. È una cifra —
record negli ultimi 10 anni — che comprende tutte le persone che,
vivendo da sole, guadagnano meno di 869 euro al mese, o le famiglie
di quattro componenti (con due bambini sotto i 14 anni) che
dispongono di meno di 1.800 euro mensili. A crescere è anche il
divario tra le regioni. Mentre nei Länder meridionali
tradizionalmente più benestanti, e cioè la Baviera e il
Baden-Württemberg, la quota di poveri è in lieve diminuzione (si
attesta all’11%), piove sul bagnato nelle zone più svantaggiate, che
corrispondono — con l’eccezione della città–Land di Brema, prima nella triste classifica dell’indigenza — alla Germania orientale.
L’ex Repubblica democratica tedesca (Ddr), nonostante gli
innegabili progressi dalla riunificazione, resta un’area di
malessere: si annoverano oltre il 20% di poveri in Meclemburgo
(regione d’origine della cancelliera Angela Merkel), a Berlino
e nella Sassonia-Anhalt (il Land di Magdeburgo). Si tratta di
territori dove — non a caso — l’estrema destra raccoglie il
massimo dei suoi consensi: la Npd (su cui da un paio di settimane
pende una richiesta di messa fuorilegge) alle ultime regionali ha
ottenuto il 6% in Meclemburgo e il 4,6% in Sassonia-Anhalt, e nei
quartieri economicamente depressi di Berlino est, come
Lichtenberg e Marzahn, supera il 5% insieme alla lista xenofoba Pro Deutschland.
Un arcipelago, quello neonazista, che resta minaccioso, come
dimostrato dalle numerose manifestazioni anti-immigrati
organizzate durante la campagna elettorale degli scorsi mesi di
agosto e settembre.
L’organizzazione che ieri ha presentato il rapporto chiede al
governo di sostenere i comuni delle aree più disagiate e di investire
in un pacchetto di misure per combattere la povertà: impegni che,
sulla carta, figurano nel programma del neonato esecutivo di grosse Koalition
fra democristiani (Cdu-Csu) e socialdemocratici (Spd). Dove
manca, però, quella tassa patrimoniale che sarebbe servita proprio
a reperire risorse utili a tali scopi. Un’imposta che la Spd aveva
promesso, come sottolinea in ogni occasione utile la Linke.
La principale forza di opposizione — in un parlamento dominato
per tre quarti dalla maggioranza di governo — ha voluto ricordare
che proprio ieri cadeva una ricorrenza non felice: il decennale
dell’approvazione delle «riforme» conosciute come Hartz IV.
Volute dal governo di Gerhard Schrö-der (una coalizione Spd-Verdi), ma
sostenute anche dal centrodestra, quelle misure ridussero le
prestazioni dello stato sociale tedesco nei confronti dei
disoccupati, al fine di «modernizzare il mercato del lavoro». Per
la Linke non hanno rappresentato altro che «decretare la povertà
per legge».
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