lunedì 26 gennaio 2015

Il Nazareno avanza, ma non tutto è perduto di Alberto Burgio

 
25pol2-sotto-giro-burgio-renzi-Il re è nudo, si potrebbe dire. Non che sinora la situa­zione fosse inde­ci­fra­bile. Ci voleva tutta la volontà di non vedere e di non inten­dere per nutrire ancora dubbi sulle inten­zioni di Renzi. Oggi però è caduto anche l’ultimo velo.
Il tra­vol­gi­mento dei rego­la­menti par­la­men­tari e dei prin­cipi costi­tu­zio­nali in occa­sione del voto sulla legge elet­to­rale è stato pla­teale. Non per acci­dente o per errore: osten­tare la forza e la volontà di farne uso oltre ogni limite è una scelta e un mes­sag­gio uni­voco a com­pa­gni di strada e avver­sari. La vio­lenza col­pi­sce su entrambi i piani. Nella forma delle norme pro­ce­du­rali vio­late, e nel con­te­nuto della legge in discus­sione, peg­gio della legge-truffa, com­pa­ra­bile alla legge Acerbo.
Com’è stato scritto su que­ste pagine da Aldo Carra e Gian­pa­squale San­to­mas­simo l’Italicum è il pre­sup­po­sto effi­ciente del sot­ter­ra­mento della forma par­la­men­tare di governo e della sostan­ziale can­cel­la­zione della rap­pre­sen­tanza demo­cra­tica. Non tanto per la que­stione delle pre­fe­renze agi­tata dalla fronda ber­sa­niana, quanto per l’abnorme pre­mio di mag­gio­ranza (e a cascata per il potere incon­tra­stato di nomina e con­trollo sui mas­simi organi costi­tu­zio­nali di indi­rizzo e garan­zia) desti­nato a una forza poli­tica votata da non più di un quinto degli elettori.
È que­sta solo l’ultima delle vio­la­zioni com­piute dal governo. Ripe­tiamo, nelle forme e nei con­te­nuti. Si era veri­fi­cato già in occa­sione dello scon­tro sulla can­cel­la­zione del Senato elet­tivo e ancora al momento della stretta sul Jobs Act che la volontà di imporsi stra­vol­gesse regole e prassi pro­ce­du­rali. E sem­pre le scelte cru­ciali di que­sto governo — deciso a rea­liz­zare a ogni costo il pro­prio dise­gno ever­sivo per mezzo di un par­la­mento eletto con una legge inco­sti­tu­zio­nale — sono entrate in col­li­sione coi prin­cipi della Costi­tu­zione. Ma oggi si regi­stra effet­ti­va­mente un salto di qua­lità, se non altro sul ter­reno dell’immediata ope­ra­ti­vità della legge in discus­sione. Se, com’è pro­ba­bile, la legge elet­to­rale scritta da Renzi e Ber­lu­sconi pas­serà, sarà poi mate­ma­tico che a pren­dere qual­siasi deci­sione in que­sto paese sarà il padrone del par­tito che avrà vinto le ele­zioni. Senza dover discu­tere con altri, né tener conto di altrui inte­ressi. Il che equi­vale a dire che il par­la­mento sarà appena una fin­zione da offrire in pasto a un’opinione pub­blica priva di qual­siasi stru­mento cogni­tivo e critico.
Con­cor­diamo con quanti riten­gono fuor­viante isti­tuire con leg­ge­rezza ana­lo­gie dram­ma­tiz­zanti, ma ci si deve pur chie­dere che cosa resterà a quel punto della Costi­tu­zione e della stessa demo­cra­zia repub­bli­cana. Occorre che se lo chie­dano — inten­diamo — quanti hanno a cuore la demo­cra­zia e la Repub­blica, men­tre è chiaro che nes­sun inter­ro­ga­tivo agi­terà coloro che paci­fi­ca­mente regi­strano il con­cla­mato sosti­tuirsi di una mag­gio­ranza di fatto a quella che l’anno scorso con­sentì scia­gu­ra­ta­mente a Renzi di inse­diarsi a Palazzo Chigi. Certo, dopo la pre­si­denza Napo­li­tano sarebbe risi­bile appel­larsi al pre­si­dente della Repub­blica facente fun­zioni per­ché rista­bi­li­sca la lega­lità costi­tu­zio­nale nei rap­porti tra par­la­mento e governo. Ma il vul­nus resta e aggiunge con­fu­sione alla ver­go­gna del tra­sfor­mi­smo imperante.
Tutto è per­duto dun­que? Non resta che pren­dere atto dello stato di cose in attesa del peg­gio? Non ancora, e dirlo è neces­sa­rio per­ché cia­scuno si assuma sino in fondo le pro­prie respon­sa­bi­lità. In que­sto par­la­mento ci sareb­bero ancora i numeri per impe­dire che i dise­gni dei due con­traenti del Naza­reno vadano in porto: per­ché dera­gli il treno dell’Italicum e risulti impos­si­bile eleg­gere un pre­si­dente della Repub­blica con­ni­vente con que­sto rivol­tante mer­ci­mo­nio. I numeri ci sareb­bero se alle oppo­si­zioni “natu­rali” del M5S, della Lega e di Sel si som­mas­sero i voti delle mino­ranze interne di Forza Ita­lia e del Pd, come sarebbe sacro­santo nel nome di un inte­resse supe­riore agli obiet­tivi par­ti­co­lari delle sin­gole forze politiche.
Per­ché ciò accada occor­re­rebbe l’iniziativa di una di que­ste oppo­si­zioni ed evi­den­te­mente tale onere incombe sull’opposizione interna del par­tito di mag­gio­ranza rela­tiva. Per diverse buone ragioni. Per­ché — come pla­teal­mente dimo­stra anche il caso Cof­fe­rati — la “sini­stra” Pd è il sog­getto poli­tico pur varie­gato che più subi­sce l’impatto poli­tico dell’operazione tra­sfor­mi­stica imba­stita da Renzi in anti­tesi con tutto ciò che il Pd era venuto dicendo nella cam­pa­gna elet­to­rale del 2013. Per­ché essa è la forza il cui pas­sag­gio all’opposizione avrebbe con­se­guenze deci­sive sull’intero qua­dro poli­tico. Per­ché infine è dai gruppi par­la­men­tari demo­cra­tici di Camera e Senato, ivi com­prese le pur recal­ci­tranti (a parole) mino­ranze, che Renzi ha sin qui rice­vuto il via libera a tutti i suoi misfatti. Non ci sono più alibi e non c’è più tempo da per­dere. Le deci­sioni deter­mi­nanti incal­zano e non c’è più mar­gine per fur­be­schi traccheggiamenti.
Da que­sto punto di vista è per­sino un bene che Renzi non abbia ceduto sulle pre­fe­renze, impe­dendo alle mino­ranze del suo par­tito di repli­care il gioco sin qui gio­cato, di sven­to­lare incon­si­stenti vit­to­rie per giu­sti­fi­care rese incondizionate.
Non sap­piamo se le ultime ester­na­zioni dell’on. Ber­sani siano più pate­ti­che o più avvi­lenti. Chie­dersi ancora, dopo quanto è suc­cesso mer­co­ledì in Senato, se Renzi sia per l’unità del par­tito non è un’imperdonabile inge­nuità. È un ver­go­gnoso invito ad accor­darsi nono­stante tutto, come se il pro­blema fos­sero le buone maniere tra mag­gio­renti (il «rispetto») e non le gra­vis­sime deci­sioni che il governo a guida demo­cra­tica viene assu­mendo, sinora col bene­pla­cito della cosid­detta sini­stra interna. Ma a que­sto punto pro­se­guire con que­ste sce­neg­giate non equi­var­rebbe più sol­tanto al sui­ci­dio poli­tico della “sini­stra” demo­cra­tica. Sarebbe un avallo all’assassinio della demo­cra­zia costi­tu­zio­nale. La cui respon­sa­bi­lità non rica­drebbe — sia chiaro — sui suoi nemici dichia­rati, legit­ti­ma­mente deter­mi­nati a per­se­guire il pro­prio dise­gno, bensì su quanti sie­dono in par­la­mento essen­dosi assunti il com­pito di difenderla.

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