Non
si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie
e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori
repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel
tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in
tema di diritti dei lavoratori e di politica economica
Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e
di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori
e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari,
riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La
grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le
piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto
manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente
Hollande, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e
il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla
colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti
decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario
inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione
dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi
ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli
Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Hollande di intervento nel corno
d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato
l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen.
Ugualmente le parole del presidente Hollande subito dopo l’attentato,
richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse
legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande
manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che
lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale
Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono
infatti portare avanti due politiche opposte - l’accarezzare vecchie e
ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani -
come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo
un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e
di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a
un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale
non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un
tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira,
oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro
Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione
dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo
di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e
pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra
di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di
rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal
buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme
facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di
musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto
se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo.
Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per
loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è
come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la
debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in
forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il
suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione
non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme
mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da
allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei
confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente
all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le
crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi
portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un
interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli
al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le
origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente
che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme
di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per
“martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la
Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del
fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver
lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane,
come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo
Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano
ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino
dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la
cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un
“senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della
globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande
problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
Fonte. Fondazione Luigi Pintor
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