Più la spingono sotto il tappeto, più la questione immorale si
mostra nella sua sconveniente veste di protagonista della scena
politica. Proprio ieri, di fronte a un’aula parlamentare
pateticamente vuota, il ministro della giustizia, denunciava «la
dimensione intollerabile della corruzione in Italia».
Intollerabile specialmente quando mette radici nel partito di cui
il ministro fa parte, ma così purtroppo non è.
Lo dimostrano alcune recenti vicende, due su tutte: il tentativo,
solo rinviato, di salvare l’evasore Berlusconi con la legge sulla
delega fiscale, e, di queste ore, i brogli elettorali (con il
sospetto di una compra-vendita di voti) nelle elezioni primarie in
Liguria.
Due facce della stessa medaglia, visto che il famigerato “patto
del Nazareno” è fondativo di questa nuova stagione politica. In
piena coerenza con quel conflitto di interessi che il Pd non ha mai
risolto nel corso degli ultimi vent’anni.
Per questo le dimissioni di Sergio Cofferati sono un fatto
politico di prima grandezza, rilevante e rivelatore nello stesso
tempo.
Perché rilevante è evidente: l’ex segretario della Cgil è stato
il simbolo dell’antiberlusconismo di sinistra, capace di organizzare
la più grande manifestazione del dopoguerra in difesa dell’articolo
18, a fianco del mondo del lavoro e in rappresentanza di quelle
radici che oggi la leadership del Pd ha deciso di recidere,
nettamente e orgogliosamente, in profonda sintonia con
l’ideologia antisindacale del centrodestra.
Insieme a Camusso e Landini, Cofferati è una bandiera contro il
jobs act e la definitiva metamorfosi neoliberista del partito
renziano (non “di Renzi”, perché non gli appartiene).
Ma il “caso Cofferati” è forse ancor di più rivelatore, cioè
specchio limpido, della fisionomia etica del nuovo gruppo dirigente
del Nazareno. Lui è il primo politico che in modo clamoroso
e drammatico se ne va dal partito — del quale è stato uno dei 45
fondatori — denunciando la presenza di una questione morale: «Me ne
vado perché sono stati cancellati i valori stessi su cui è nato
il Pd».
Altro che delusione per la sconfitta subita alle primarie
(peraltro da dimostrare): è un durissimo attacco al voto di scambio
(«comprano il voto»), è un j’accuse per la palese offerta
e l’altrettanto dichiarata accettazione dei voti portati alla
candidata vincente, la renziana Raffaella Paita, da parte dei
capicorrente del centrodestra ligure e di personaggi
fascistoidi, è la penosa presa d’atto dell’acquisto dei voti dei poveri
immigrati.
Così si svende una storia, si svende un partito.
Eppure è ancor più penosa la reazione dei vertici renziani del Pd,
a cominciare dai due vicesegretari del partito. Invano Cofferati
li aveva, già da alcune settimane, avvertiti di quanto stava
accadendo senza ricevere neppure lo straccio di una risposta.
Ora, dopo le dimissioni, i due colonnelli, Serracchiani
e Guerini, sono diventati particolarmente prodighi di
dichiarazioni contro l’ingrato Cofferati, accusato di
«inspiegabili» e «ingiustificate» dimissioni.
Nemmeno un pizzico di senso del pudore. Avanzano camminando
sulle macerie del partito — forse perché convinti delle magnifiche
e progressive sorti elettorali in caso di voto anticipato.
E Renzi?
L’immagine più nitida dello specchio che l’addio del dirigente
politico riflette è quella del segretario. All’ultima direzione del
partito Renzi ha chiuso il “caso” in modo brutalmente
provocatorio, facendo i complimenti alla vincitrice per la
vittoria e rovesciando sul perdente la definitiva sentenza:
«Basta, vogliamo vincere, la discussione è chiusa». Una
dimostrazione di arroganza, come è ormai consuetudine di questa
nuova leadership, ma particolarmente sottolineata e insistita,
perché sia d’esempio a chi in futuro volesse portare all’attenzione
del partito fastidiosi problemi etici.
Discutere su come si raccolgono i consensi, su come si finanzia
un partito, su quale blocco sociale di riferimento si sceglie sono
questioni politiche fondamentali, anche se il personalismo, il
leaderismo hanno inquinato il comune sentire della gente di
sinistra.
Tuttavia è importante discuterne oggi come è stato cruciale per
l’allora Pci quando a porre la questione nei termini generali che
conosciamo fu Enrico Berlinguer. E vale qui la pena solo accennare
alla freddezza, e persino alla derisione, con cui la corrente
migliorista di allora, guidata dall’ex capo dello stato, Giorgio
Napolitano, accolse la durissima critica berlingueriana alla
degenerazione del sistema dei partiti, Pci incluso.
Eravamo negli anni’80 e non a caso la vicenda operaia della Fiat,
la battaglia sulla scala mobile e l’esplodere della questione morale
tenevano insieme i ragionamenti di Berlinguer verso
quell’alternativa di sinistra che, nel momento del craxismo
trionfante, la prematura fine non gli consentì di mettere in atto.
La questione immorale come “questione democratica” torna, nel Pd
di Renzi, a essere derubricata come l’espressione del “tafazzismo”
delle minoranze che non si rassegnano a spingere il carro del
vincitore. Che, tuttavia, non sembra più tanto trionfante se si dà
retta ai sondaggi che, settimana dopo settimana, sgonfiano la
bolla elettorale delle ultime elezioni europee di maggio.
In ogni caso se le dimissioni di Cofferati sono rilevanti
e rivelatrici del mutamento profondo e irreversibile della natura
sociale del Pd, la domanda è: fino a quando le opposizioni interne si
acconceranno al ruolo di innocue cassandre, di fiore all’occhiello
del segretario?
E, a seguire, adesso può nascere in Italia una forza politica
a sinistra che raccolga un consenso significativo, come quello di
Syriza?
Il REnzi è nudo
Con le dimissioni di Cofferati dal PD e la durissima realtà delle primarie in Liguria inquinate dal voto del centrodestra e da organizzazioni opache, si strappa finalmente il velo fatto di ipocrisie e complicità che molti non hanno voluto vedere.
Malgrado il tentativo dei soliti corifei renziani di parlare d'altro – dimettiti, non sai perdere, ci ripensi, etc. – appare orami chiaro quello che non può più essere celato agli occhi dei militanti e degli elettori e che Sergio Cofferati, con la consueta chiarezza, ha messo in luce con la sua decisione di uscire dal PD: la questione morale!
Come si fa infatti a cercare di minimizzare quanto accaduto in Liguria, dopo i fatti delle primarie in Campania e in Sicilia, "Mafia capitale" a Roma, le varie inchieste in tutti Italia sul l'inquinamento del voto e sulla corruzione. È evidente che molto di quello che stiamo vivendo nasce dalla selezione del gruppo dirigente e degli eletti e se questo è il modo in cui si procede e che poi si fa finta di non vedere, è chiaro che si consegna la politica e la vita istituzionale alle bande e alle organizzazioni criminali (se le elezioni hanno un impianto normativo a difesa della legalità e della democrazia che viene a volte aggirato, le primarie che non hanno nulla se non il lavoro dei tanti volontari, non hanno problemi?).
Quindi quello che Cofferati denuncia con la sua uscita dal partito, dovrebbe essere il tema di tutti coloro che hanno a cuore la democrazia e la legalità, la coerenza politica e la vita civile.
Come si può accettare il sostengo di tanti esponenti ed elettori del centro destra, prefigurare accordi con personaggi legati all'ex ministro Scajola, vedere tanti truppe organizzate di comunità siciliane o straniere che vanno in massa a votare e chiedono di ricevere il compenso promesso per il voto e non dire nulla, non scandalizzarsi e pretendere immediatamente chiarezza per la salvaguardia della legalità, la pulizia del partito e il corretto rapporto con i cittadini che vedono concretizzarsi quegli accordi nell'urna delle primarie, estranei al programma elettorale che gli viene presentato?
Renzi ha fatto le primarie e le ha vinte con un programma politico di "sinistra" che considerava l'articolo 18 un non problema, il falso in bilancio ed il conflitto di interessi provvedimenti urgenti se fosse andato al governo, così come quelli sulla trasparenza, la legalità e lotta alla corruzione.
Oggi tutto questo è scomparso, andato al Governo la cancellazione dell'articolo 18 è divenuto una riforma addirittura rivendicata con orgoglio, il falso in bilancio e la corruzione sono stati legalizzati con le soglie di non punibilità con il decreto fiscale del Governo e l'accordo con Berlusconi regge le sorti della legislatura e le riforme.
Forse le primarie in Liguria sono molto più vicine al sentire di Renzi e all'idea della politica che ha di quanto si pensi, per questo non ha nulla da dire se non fare i complimenti alla Paita per la vittoria!
Guardiamole meglio queste primarie Liguri quindi perché le analogie sono molte con quanto avviene al Governo!
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