Dopo
essersi arrampicato su tutti gli specchi che trovava, ora dicendo “non
sapevo” e ora ripetendo “la cambiamo”, Matteo Renzi ha pateticamente
confessato che la norma salva-Berlusconi l’ha voluta lui: “L’ho inserita
io personalmente, ma avevo avuto rassicurazioni da avvocati e
magistrati”. Dunque Renzi ha ammesso: a) di essere stato lui a
inserire l’aberrante Lodo Nazareno, sorta di grazia a Berlusconi in grado
di permettergli di ricandidarsi. Un gentile regalo natalizio, magari
per ottenere in cambio il lasciapassare per un/una Quisling renziano/a
qualsiasi al Quirinale; b) di avere mentito, e rimentito, e rimentito
ancora, fino al minuto precedente. Per molto meno, ci sono uomini
politici che terminano la carriera seduta stante. Ma vedrete che lo
voteranno ancora, come nulla fosse, e larga parte dell’informazione
ricomincerà subito a raccontarci con prosa fascistissima quanto sia
bravo il Premier a volteggiare leggiadro (sic) sulle nevi di Courmayer.
Vamos.
Fisco, se l’evasione non è un reato
Il decreto sul penale tributario
Il decreto legislativo sul diritto penale tributario ha suscitato forti polemiche, tanto che il Consiglio dei ministri sarà chiamato a una nuova deliberazione.
Tuttavia, al di là delle polemiche, sembra utile ragionare sulla ratio del provvedimento e sulle sue possibili conseguenze economiche. Secondo la teoria di base sull’evasione fiscale, l’entità e la certezza delle pene rappresentano un importante, anzi irrinunciabile, elemento di deterrenza nei confronti dei potenziali evasori. Se la sanzione, anziché solo pecuniaria, è anche penale e detentiva, l’effetto di deterrenza è ovviamente maggiore.
Tuttavia, al di là delle polemiche, sembra utile ragionare sulla ratio del provvedimento e sulle sue possibili conseguenze economiche. Secondo la teoria di base sull’evasione fiscale, l’entità e la certezza delle pene rappresentano un importante, anzi irrinunciabile, elemento di deterrenza nei confronti dei potenziali evasori. Se la sanzione, anziché solo pecuniaria, è anche penale e detentiva, l’effetto di deterrenza è ovviamente maggiore.
Nella situazione italiana attuale la percezione del cittadino comune
nei confronti della normativa penale tributaria non è certo quella di un
eccesso di severità; i detenuti per evasione fiscale (se esistono) non
sono certo tanti da contribuire all’affollamento delle carceri. Quindi,
l’attesa del cittadino comune non appare certo a favore di una generale depenalizzazione.
È vero che in un Paese ad alto tasso di illegalità fiscale bisogna
evitare il rischio di ingolfare i tribunali con decine di migliaia di
processi per evasione fiscale anche di modeste dimensioni, ma a questo
fine è sufficiente prevedere limiti di punibilità adeguati e
differenziati in base alla gravità del comportamento.
Comunque, è evidente che in questa materia sarebbe auspicabile una
certa severità che, a rigor di logica, non dovrebbe essere inferiore a
quella che si applica in altri Paesi.
Depenalizzazione generalizzata
Il decreto nella formulazione uscita dal Consiglio dei ministri
prevede invece una generale depenalizzazione di tutti i reati tributari.
La prima questione che viene affrontata è quella del cosiddetto abuso del diritto, cioè dell’elusione fiscale,
che viene totalmente depenalizzato (e a furor di popolo!). Se si guarda
ai modelli degli economisti, in verità non è possibile riscontrare una
differenza analitica tra evasione ed elusione fiscale: in ambedue i casi
il contribuente evita di pagare le imposte dovute o violando
direttamente la legge o schivandone sapientemente l’applicabilità. La
sostanza non cambia; e infatti, non a caso, l’elusione viene definita
“l’evasione dei ricchi”.
Naturalmente da un punto di vista giuridico si può sostenere che
l’evasione è illegale e l’elusione no, ma questo è proprio l’argomento
utilizzato dalle grandi multinazionali di internet
nelle audizioni presso il Congresso americano per giustificare il fatto
di non pagare praticamente imposte: “Noi facciamo quello che le leggi
dei diversi paesi ci consentono”. Vi è quindi una certa contraddizione
tra la decisione di depenalizzare tali comportamenti e al tempo stesso
sostenere gli sforzi dell’Ocse e del G20 per venire a capo dell’elusione
fiscale internazionale.
Le misure discutibili
Ma al di là dell’abuso del diritto che si esprime compiutamente nella
eliminazione della “falsa rappresentazione nelle scritture contabili
obbligatorie” come fattispecie di reato, vi sono numerose altre misure
inquietanti nel decreto:
1) Viene introdotto il limite di 1000 euro per la punibilità del reato di dichiarazione fraudolenta
mediante l’uso di fatture false o simili, come se da un punto di vista
logico in una ipotesi del genere l’ammontare potesse avere una qualche
rilevanza.
2) Si depenalizzano tutte le operazioni di simulazione,
interposizione di persona (giuridica) e frodi finanziarie, mediante uso
di derivati, strumenti finanziari ibridi, eccetera, richiedendo a questo
fine che esse abbiano dato luogo “a flussi finanziari annotati nelle
strutture contabili”. Cioè sempre. Si vanificano quindi gli effetti
penali di molte operazioni poste in essere dalle banche negli anni
passati.
3) Si alzano le soglie di non punibilità da 50 a150mila euro con finalità deflattive dei processi, ma depenalizzando di fatto evasioni fino a 3-400mila euro di base imponibile, il che sembra eccessivo.
4) Si stabilisce la non punibilità della dichiarazione di costi non
inerenti alla attività dell’impresa, e cioè della pratica molto diffusa
di imputare come costi consumi personali o familiari del contribuente.
5) Ci si dimentica di inserire tra i reati punibili l’ipotesi di omessa dichiarazione da parte dei sostituti di imposta.
6) Si introduce una franchigia del 3 per cento del reddito dichiarato
(e analogo limite per l’Iva) per la punibilità di tutti i reati,
vanificando l’intero sistema delle soglie di esclusione su cui è
costruito il decreto che così diventano inutili e di fatto variabili in
base al reddito dei contribuenti (maggior reddito, maggiore possibilità
di evasione).
7) Si elimina la possibilità del raddoppio dei termini di accertamento per i casi di frode fiscale,
con il rischio di una perdita di gettito immediata (e poi permanente)
di molti miliardi in quanto verrebbero vanificati moltissimi
accertamenti.
In sostanza, sembra che il decreto faccia proprio un sentimento
fortemente radicato in alcuni strati (minoritari, ma influenti) della
opinione pubblica in base al quale l’evasione fiscale può anche essere
perseguita, ma comunque non può essere considerata un reato, e non può
essere equiparata ai comportamenti lesivi della proprietà privata
(furto, rapina, eccetera): la vittima è lo Stato, che diamine!
Il rimpallo di responsabilità
Infine, è inquietante il fatto che la responsabilità delle modifiche
al testo originario preparato da una Commissione presieduta da Franco
Gallo, rimbalzi tra il Tesoro e Palazzo Chigi. Il ministero responsabile
della formulazione del provvedimento e della sua presentazione al
Consiglio dei ministri è infatti quello dell’Economia e delle finanze
(di concerto con la Giustizia). Se il testo uscito dal Consiglio dei
ministri è stato modificato, delle due l’una: o il ministro
dell’Economia era d’accordo, o (ipotesi più grave) né lui né i suoi
collaboratori si sono accorti che il testo era stato cambiato.
In conclusione, speriamo che superato lo sconcerto attuale si possa
tornare a una soluzione equilibrata. Infatti non va dimenticato che la
reputazione del nostro paese e del nostro sistema economico all’estero
non dipende soltanto dalla maggiore o minore flessibilità del mercato
del lavoro, ma anche, e soprattutto, dal grado di legalità (o
illegalità) prevalente nel sistema: evasione fiscale, corruzione, bilanci falsi, malavita
organizzata rappresentano handicap molto gravi per l’Italia. Dare
l’impressione di allentare le misure di controllo anziché inasprirle è
molto pericoloso.
Vincenzo Visco – Laureato
in Giurisprudenza e specializzato in Economia a Berkeley e York,
Vincenzo Visco è professore ordinario di Scienza delle Finanze
all’Università di Roma “La Sapienza”, ha insegnato anche all’Università
di Pisa e alla Luiss di Roma. Ministro delle finanze nel governo Ciampi
(1993), Ministro delle Finanze nel Governo Prodi (1996) e nei governi
D’Alema (1998 e 1999) . E’ stato Ministro del Tesoro, del Bilancio e
della Programmazione Economica nel Governo Amato (2000); E’ stato anche
viceministro dell’Economia con delega alle Finanze dal 2006 al 2008
(governo Prodi II).
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