Fin qui tutto bene, si diceva ad ogni piano l'uomo che cadeva dal grattacielo (La haine). I primi due round di confronto tra Unione Europea e nuovo governo greco hanno registrato la conferma assoluta delle posizioni di partenza. Il primo incontro di giovedì, tra il presidente del parlamento europeo Martin Schulz e Alexis Tsipras è stato “cordiale ma franco”, come si usa dire in linguaggio diplomatico. Ossia non si sono picchiati, ma non hanno trovato alcun punto d'accordo, se non quello generico di non voler mettere in discussione l'Unione Europea e la moneta unica.
Quello di ieri, tra l'ultraliberista presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, e il ministro delle finanze Yanis Varoufakis ha invece fatto segnare una contrapposizione radicale sul problema del debito greco. «Ignorare gli accordi non è la strada da seguire», ha spiegato Dijsselbloem all'uscita; mentre Varoufakis ha ribadito di non avere “alcuna intenzione di collaborare con i funzionari della Troika” per estendere il programma di salvataggio che scade alla fine di febbraio, per l'ottima ragione di essere «stato eletto puntando a rimettere in discussione il programma di aiuti» europeo. Diciamo che è l'unico punto di accordo tra i due, al termine di un incontro così teso da far quasi dimenticare – all'isterico olandesino, abituato a vedere teste che si inchinano al suo passaggio – il rito della stretta di mano con l'avversario.
La posizione della Troika è ben nota: si può discutere di allungamento dei tempi per la restituzione del debito (per l'80% in mano a soggetti pubblici (Fmi, Bce, Stati), di riduzione dei tassi di interesse (già rinegoziati in segreto con l'ex premier conservatore Samaras), di cifre cash da versare nelle casse di Atene per far fronte alle esigenze più urgenti, in cambio però della continuazione della politica di austerità,con tanto di “riforme strutturali”, riduzione drastica della spesa pubblica, privatizzazioni e via cantando. Ma non si prende nemmeno in considerazione l'ipotesi di una “ristrutturazione” del debito (brutalmente: un taglio secco di almeno il 50%).
La posizione del nuovo governo greco rappresenta l'esatto opposto: prima di tutto viene il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, poi – eventualmente – il “rispetto di accordi” sottoscritti da altri. “Questa piattaforma – ha ricordato Varoufakis al termine dell'incontro – ci ha permesso di ottenere la fiducia del popolo greco e il nostro primo atto di governo non sarà quello di respingere la base delle contestazioni a questo programma attraverso la richiesta di estenderlo”.
Abbiamo la netta impressione che dovremo abituarci presto a una situazione che non è affatto somigliante a quella italiana. Intanto sulla definizione politica dei soggetti in campo. Schulz, per esempio, è un “socialdemocratico tedesco” e i media italiani ne parlano come di uno che, per collocazione ideale, non dovrebbe poi essere troppo distante da Tsipras e Varoufakis. E così anche l'intollerabile Dijsselbloem, che nel suo paese risulta prodotto dal Partito Laburista. Queste definizioni non servono più a nulla. In Europa c'è di fatto un “partito unico”, che ha messo insieme nell'essenziale – il programma di costruzione dell'Unione Europea come spazio a disposizione del capitalismo multinazionale, con vaghe ambizioni geopolitiche – il vecchio conservatorismo e le ex “socialdemocrazie” ufficiali (socialisti francesi, spagnoli e greci, “democratici italiani, Spd tedesca, laburisti inglesi, ecc). Fanno finta di scontrarsi solo in occasione delle campagne elettorali, in modo che non emergano soggetti anche idealmente alternativi; ma vanno avanti di pari passo su “riforme” economiche, avventure militari, sanzioni a tizio e caio, ecc.
Ne consegue che Syriza (e Podemos, in Spagna) – movimenti politici che sono nati sulla ricerca di soluzioni empiriche a problemi urgenti, che abbiamo chiamato “riformisti dei bisogni” - hanno ben poco a che vedere col vecchio establishment “progressista” continentale, che si differenzia ormai dalla destra solo per quanto riguarda alcuni diritti civili (matrimoni omosessuali, fecondazione assistita, ecc).
Hanno ben poco a che vedere anche con i loro “tifosi” italiani, che si illudono di poterne imitare il successo senza spogliarsi totalmente di una radicata aspirazione al sottogoverno nonché di una dirigenza che non ne ha mai imbroccata una o si è venduta ogni programma non appena assisa sull'agognata poltrona. Ve lo immaginate Vendola al posto di Varoufakis? Si sarebbe prostrato già al momento del primo saluto, chiedendo scusa per aver vinto le elezioni con un programma che non piaceva a Bruxelles ma che non andava preso alla lettera (i dubbiosi possono riascoltarsi la telefonata con il pr dell'Ilva, a suo tempo)...
La Grecia è il paese più debole dell'Unione Europea, prostrato da cinque anni di “cura” che ne hanno reso irrisolvibili i problemi (a cominciare dalla dimensione del debito pubblico, passato dal 125 al 180% “grazie” ai cosiddetti “aiuti europei”). La reazione della Troika e dei mercati alla ribellione guidata da Syriza sarà certamente violenta, una vera e propria guerra (già ieri sera "i mercati" hanno fatto sentire il proprio morso sui titoli del tesoro; ma intanto, dopo lo stop alle privatizzazioni di energia elettrica e porto del Pireo, il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, ha bloccato anche i piani per Depa, società pubblica del gas; mentre è pronto il no all'offerta della società canadese Eldorado Gold per lo sfruttamento di una miniera d'oro nel nord della Grecia). Vedremo se la strategia elaborata da Varoufakis – che potete leggere in questa ottima intervista a Joseph Halevi – potrà reggere e, fino a un certo punto, affermarsi.
Di certo è il primo tentativo vero – dal vivo, non “su carta” né “su tastiera”- di mettere in discussione gli assetti consolidati. E non solo sul piano delle politiche economiche.
Quello di ieri, tra l'ultraliberista presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, e il ministro delle finanze Yanis Varoufakis ha invece fatto segnare una contrapposizione radicale sul problema del debito greco. «Ignorare gli accordi non è la strada da seguire», ha spiegato Dijsselbloem all'uscita; mentre Varoufakis ha ribadito di non avere “alcuna intenzione di collaborare con i funzionari della Troika” per estendere il programma di salvataggio che scade alla fine di febbraio, per l'ottima ragione di essere «stato eletto puntando a rimettere in discussione il programma di aiuti» europeo. Diciamo che è l'unico punto di accordo tra i due, al termine di un incontro così teso da far quasi dimenticare – all'isterico olandesino, abituato a vedere teste che si inchinano al suo passaggio – il rito della stretta di mano con l'avversario.
La posizione della Troika è ben nota: si può discutere di allungamento dei tempi per la restituzione del debito (per l'80% in mano a soggetti pubblici (Fmi, Bce, Stati), di riduzione dei tassi di interesse (già rinegoziati in segreto con l'ex premier conservatore Samaras), di cifre cash da versare nelle casse di Atene per far fronte alle esigenze più urgenti, in cambio però della continuazione della politica di austerità,con tanto di “riforme strutturali”, riduzione drastica della spesa pubblica, privatizzazioni e via cantando. Ma non si prende nemmeno in considerazione l'ipotesi di una “ristrutturazione” del debito (brutalmente: un taglio secco di almeno il 50%).
La posizione del nuovo governo greco rappresenta l'esatto opposto: prima di tutto viene il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, poi – eventualmente – il “rispetto di accordi” sottoscritti da altri. “Questa piattaforma – ha ricordato Varoufakis al termine dell'incontro – ci ha permesso di ottenere la fiducia del popolo greco e il nostro primo atto di governo non sarà quello di respingere la base delle contestazioni a questo programma attraverso la richiesta di estenderlo”.
Abbiamo la netta impressione che dovremo abituarci presto a una situazione che non è affatto somigliante a quella italiana. Intanto sulla definizione politica dei soggetti in campo. Schulz, per esempio, è un “socialdemocratico tedesco” e i media italiani ne parlano come di uno che, per collocazione ideale, non dovrebbe poi essere troppo distante da Tsipras e Varoufakis. E così anche l'intollerabile Dijsselbloem, che nel suo paese risulta prodotto dal Partito Laburista. Queste definizioni non servono più a nulla. In Europa c'è di fatto un “partito unico”, che ha messo insieme nell'essenziale – il programma di costruzione dell'Unione Europea come spazio a disposizione del capitalismo multinazionale, con vaghe ambizioni geopolitiche – il vecchio conservatorismo e le ex “socialdemocrazie” ufficiali (socialisti francesi, spagnoli e greci, “democratici italiani, Spd tedesca, laburisti inglesi, ecc). Fanno finta di scontrarsi solo in occasione delle campagne elettorali, in modo che non emergano soggetti anche idealmente alternativi; ma vanno avanti di pari passo su “riforme” economiche, avventure militari, sanzioni a tizio e caio, ecc.
Ne consegue che Syriza (e Podemos, in Spagna) – movimenti politici che sono nati sulla ricerca di soluzioni empiriche a problemi urgenti, che abbiamo chiamato “riformisti dei bisogni” - hanno ben poco a che vedere col vecchio establishment “progressista” continentale, che si differenzia ormai dalla destra solo per quanto riguarda alcuni diritti civili (matrimoni omosessuali, fecondazione assistita, ecc).
Hanno ben poco a che vedere anche con i loro “tifosi” italiani, che si illudono di poterne imitare il successo senza spogliarsi totalmente di una radicata aspirazione al sottogoverno nonché di una dirigenza che non ne ha mai imbroccata una o si è venduta ogni programma non appena assisa sull'agognata poltrona. Ve lo immaginate Vendola al posto di Varoufakis? Si sarebbe prostrato già al momento del primo saluto, chiedendo scusa per aver vinto le elezioni con un programma che non piaceva a Bruxelles ma che non andava preso alla lettera (i dubbiosi possono riascoltarsi la telefonata con il pr dell'Ilva, a suo tempo)...
La Grecia è il paese più debole dell'Unione Europea, prostrato da cinque anni di “cura” che ne hanno reso irrisolvibili i problemi (a cominciare dalla dimensione del debito pubblico, passato dal 125 al 180% “grazie” ai cosiddetti “aiuti europei”). La reazione della Troika e dei mercati alla ribellione guidata da Syriza sarà certamente violenta, una vera e propria guerra (già ieri sera "i mercati" hanno fatto sentire il proprio morso sui titoli del tesoro; ma intanto, dopo lo stop alle privatizzazioni di energia elettrica e porto del Pireo, il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, ha bloccato anche i piani per Depa, società pubblica del gas; mentre è pronto il no all'offerta della società canadese Eldorado Gold per lo sfruttamento di una miniera d'oro nel nord della Grecia). Vedremo se la strategia elaborata da Varoufakis – che potete leggere in questa ottima intervista a Joseph Halevi – potrà reggere e, fino a un certo punto, affermarsi.
Di certo è il primo tentativo vero – dal vivo, non “su carta” né “su tastiera”- di mettere in discussione gli assetti consolidati. E non solo sul piano delle politiche economiche.
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