Ogni
giorno leggo, rileggo, straleggo commenti di compagne e compagni, di
intellettuali di prima e ultima fila, di più o meno alti leader politici
sul futuro, nuovo soggetto della sinistra che deve nascere.
Deve?
La
domanda sul “dovere” facciamocela tutte e tutti: senza confondere la
necessità del rilancio di un partito comunista come Rifondazione con la
costruzione del nuovo soggetto della sinistra, dobiamo comunque essere
consapevoli che il “dovere” implica delle responsabilità.
La prima da assumersi è quella di creare le condizioni sociali perché tutto questo possa avere luogo.
Cominciare
dal contenitore e passare di seguito ai contenuti mi sembra la
ripetizione di una stanca formula aggregatrice che non aggrega
veramente, ma che mette insieme pezzetti di pongo sparsi qua e là e che
all’inizio stanno insieme per una mera questione fisica (di necessità
politica contingente). Ma poi, non avendo un collante sociale, si sfalda
inevitabilmente sotto il peso degli interessi particolari che sono
spinti da differenti culture dell’opposizione e del governo, dai
differenti ruoli tra connessione politica e sociale.
L’urgenza di un rilancio della sinistra c’è. Ma l’urgenza corrisponde ad una domanda di sinistra? Con tutta evidenza: no.
Come
si crea allora questa domanda di sinistra nella popolazione, negli
strati poveri diffusi, tra i precari, i lavoratori e le lavoratrici, i
disoccupati, i pensionati e gli studenti?
Non
si crea certamente mettendo assieme Rifondazione Comunista, Sel,
Civati, Fassina e Cofferati in un unico abbraccio e con larghi sorrisi
per superare questa o quella tornata elettorale.
Non
si crea certamente pensando che solo la fase elettorale sia quella
dirimente e ci porti alla rinascita di un progressismo che sia anche il
rilancio dell’azione di tutela e ampliamento dei diritti sociali, civili
e dei beni comuni.
A
mio avviso, si crea con un lavoro veramente molto lungo e di cui anche
Rifondazione Comunista può essere uno dei motori scoppiettanti e
incalzanti: si crea riproponendo l’assoluta, totale differenza e
diversità che c’è tra noi comunisti e il resto delle forze politiche.
Si crea riproducendo una cultura singolare che sia anche di massa e che sia cultura critica.
Si
crea con un consenso che non deriva dalla piccola convinzione
contingente il voto delle comunali, delle regionali, delle politiche.
Si crea prima e dopo.
Per
troppo tempo ci siamo abbandonati a considerare la fase elettorale come
il terreno di verifica unico della nostra politica. Abbiamo sbagliato.
Abbiamo messo al centro del nostro agire delle alleanze che sono
diventate il programma da seguire e non il contrario, come sarebbe stato
giusto che fosse.
Vedo
molta nebbia, molto fumo, poco arrosto in giro. E me ne scuso con i
vegetariani. Vedo la nebbia del rampantismo e dell’arrivismo che
prevalgono sulle pulsioni unitarie, sui minimi comuni denominatori da
valorizzare.
Vedo
il fumo di chi propone soluzioni salvifiche un po’ pensando a modelli
italiani del tempo passato e diventati feticci in simboli e nomi. Ma non
vedo nessun arrosto pronto e nemmeno in cottura. E mi scuso ancora con i
vegetariani.
La
condizione di rilancio della sinistra italiana passa attraverso degli
aggettivi che deve avere il coraggio di darsi! Gli appelli per il
“partito della sinistra” o per il “soggetto unitario della sinistra”
sono appelli senza senso e vuoti di significato proprio perché non c’è
una caratteristica primigenia che possa farne un volano identificabile
di lancio sicuro.
Che cosa siamo noi? “Di sinistra”? E che cosa vuol dire “essere di sinistra”?
Vi
prego, risparmiatemi la citazione di Bobbio, la conosco e la trovo
splendidamente elementare. Splendida, appunto. Ma anche atrocemente
banale se si vuole dire perché si è di sinistra oggi.
Attraverso
la caratterizzazione specifica della sinistra, di ciò che vuole essere,
passa la ridefinizione culturale complessiva da studiare ed elaborare e
consegnare alle nuove generazioni.
Ai
giovani di oggi, ai ventenni, ai trentenni, possiamo dare una
prospettiva di cambiamento radicale della società costruendo i nostri
paradigmi sull’indefinitezza, sulla mancanza di confini certi di ciò che
siamo e che vogliamo essere?
Possiamo dire solamente: “siamo di sinistra”?
Se
a questi giovani basta questo per dare un senso ad una lotta
rivoluzionaria, ad un impegno che sia volto al rovesciamento delle
attuali condizioni di sopravvivenza umana, animale e naturale, se basta
questo, siamo condannati a vivere nel recinto di un riformismo
invisibile eppure presente.
Una
concezione del potere da gestire e non da conquistare. Una concezione,
ad esempio, dell’Europa da riformare e non da superare per come oggi ci
si presenta innanzi.
Care compagne, cari compagni, e caro
chiunque mi legge pazientemente, non ci si salva e non si crea nessun
presupposto di cambiamento sociale, politico ed economico, se non ci si
riappropria di una identità forte, risoluta e distinguibile da tutte le
altre per l’aspirazione senza appello di rovesciamento dello “stato di
cose presente”.
O torniamo ad essere comuniste e comunisti in una sinistra anticapitalita e pluriculturale (ecologista, socialista di sinistra, libertaria, ecc…), oppure finiremo per avere come obiettivo massimo e presuntamente rivoluzionario quello che ci poniamo nella quotidianità della lotta istituzionale: governare dei processi minimi (che pure sono importantissimi) senza creare alcuna egemonia culturale, senza essere percepiti e vissuti come coloro che si battono contro un vita invivibile, contro una invivibilità vivibile mostrata tale da chi si definisce “di sinistra” e governa col Nuovo Centrodestra di Alfano, fa politiche liberiste aggredendo il lavoro, destruttura i cardini sociali e civili della scuola pubblica, impoverisce lo stato sociale e accondiscende ad ogni richiesta del moderno padronato all’ombra della Troika.
Rifondazione Comunista deve avere coraggio, coraggio e ancora coraggio nel riproporsi come partito comunista che vuole una egemonia culturale per averne domani una politica, per porsi come forza di maggioranza tra quelle della nuova sinistra che dialoga oggi confusamente e che pasticcia accordi e unità miracolose degne dei peggiori ciarlatani.
Rifondazione Comunista ce la può fare a tornare il punto di riferimento di un nuovo, moderno, vasto e libero pensiero per una libera azione.
O torniamo ad essere comuniste e comunisti in una sinistra anticapitalita e pluriculturale (ecologista, socialista di sinistra, libertaria, ecc…), oppure finiremo per avere come obiettivo massimo e presuntamente rivoluzionario quello che ci poniamo nella quotidianità della lotta istituzionale: governare dei processi minimi (che pure sono importantissimi) senza creare alcuna egemonia culturale, senza essere percepiti e vissuti come coloro che si battono contro un vita invivibile, contro una invivibilità vivibile mostrata tale da chi si definisce “di sinistra” e governa col Nuovo Centrodestra di Alfano, fa politiche liberiste aggredendo il lavoro, destruttura i cardini sociali e civili della scuola pubblica, impoverisce lo stato sociale e accondiscende ad ogni richiesta del moderno padronato all’ombra della Troika.
Rifondazione Comunista deve avere coraggio, coraggio e ancora coraggio nel riproporsi come partito comunista che vuole una egemonia culturale per averne domani una politica, per porsi come forza di maggioranza tra quelle della nuova sinistra che dialoga oggi confusamente e che pasticcia accordi e unità miracolose degne dei peggiori ciarlatani.
Rifondazione Comunista ce la può fare a tornare il punto di riferimento di un nuovo, moderno, vasto e libero pensiero per una libera azione.
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