Sanità, un italiano su due rinuncia a curarsi perché non ha i soldi. I risultati di un'indagine di Altroconsumo
Quasi un italiano su due rinuncia a spese mediche necessarie per mancanza di soldi e questa percentuale è ancora maggiore (arriva a sei su dieci) nelle famiglie che hanno un reddito basso. Si rinuncia soprattutto alle cure odontoiatriche, alla riabilitazione fisica, alle cure ortopediche e oftalmiche e talvolta anche a cure urgenti. Nel giorno in cui si dibatte sulle prestazioni sanitarie a rischio inappropriatezza che potrebbero diventare a carico dei cittadini fa pensare un’indagine realizzata da Altroconsumo. Il ministero della Salute ha presentato ai sindacati dei medici il decreto sulle prestazioni sanitarie considerate inappropriate: si tratta di 208 prestazioni a rischio “spreco” che comprendono tac, risonanze magnetiche, odontoiatria, prestazioni di laboratorio, test allergici e genetici. Una lista di prestazioni che potranno essere ottenute solo rispettando delle condizioni di derogabilità: in caso contrario saranno a carico dei cittadini. Uno degli aspetti più contestati dai medici è però la previsione di una sanzione pecuniaria per i medici che prescriveranno accertamenti e prestazioni sanitarie considerate inappropriate. “Il punto debole del decreto ministeriale della Lorenzin è che mette in moto un meccanismo, quello sanzionatorio rispetto alle prescrizioni cosiddette ‘inappropriate’, che oltre a spaventare il medico e farlo lavorare male, creano un danno al malato che vedendosi negare la Tac o l’esame rinuncerà a curarsi del tutto o andrà nel privato – ha detto il presidente nazionale dell’Anaao Assomed Domenico Iscaro – Così salta il delicato e fondamentale rapporto paziente-medico”.
In questo contesto fanno quindi pensare i risultati di un’indagine fatta da Altroconsumo che di fatto conferma una tendenza ormai diffusa e diventata certezza: gli italiani (molti) rinunciano a curarsi perché non possono. Non hanno i soldi. Si legge nell’indagine: “Per curarci spendiamo sempre più soldi di tasca nostra: in media il 14% del reddito netto familiare. Come dire che in un anno spendiamo quasi 2mila euro a famiglia per cure sanitarie essenziali. E si sale a 2.400 euro se ci prendiamo cura di un malato cronico. Dall’indagine che abbiamo condotto risulta che quattro italiani su dieci hanno difficoltà a saldare i conti per le visite e i farmaci. Quasi la metà degli intervistati rimanda il più possibile l’appuntamento con il medico o rinuncia a curarsi perché non ha abbastanza soldi”.
La salute costa cara e chi non può far fronte alle spese sanitarie ha due alternative, spiega Altroconsumo:rinunciare a curarsi (scelta fatta dal 46% delle famiglie italiane) oppure indebitarsi (13%). Ma la percentuale di chi rinuncia alle cure necessarie è ancora più alta e sale al 61% fra le famiglie con reddito inferiore ai 1550 euro al mese. E sale ancora in alcune regioni d’Italia: in Campania (73%), Calabria (69%) e Lazio (64%). Sono poi il 13% gli italiani che hanno chiesto un prestito – più della metà ai familiari piuttosto che alle banche – per pagarsi le spese sanitarie: in media è una cifra di tremila euro l’anno.
Il 46% degli italiani rinuncia ad almeno una cura l’anno (un po’ meno quelli che hanno un’assicurazione sanitaria, il 33%: è un dato comunque alto, ma chi ha stipulato un’assicurazione non è al riparo dai pagamenti che finiscono per coprire il 12% dell’introito netto). Fra le cure più sacrificate ci sono quelle odontoiatriche (38%), oftalmiche (22%), alla riabilitazione fisica (15%) e quelle ortopediche (11%). Nei casi più gravi si rinuncia anche a visite assolutamente urgenti: il 23% in Sicilia, ad esempio, oppure il 18% tra coloro nella fascia di reddito inferiore a 1000 euro al mese.Nel frattempo sul provvedimento del Ministero è scattata la battaglia. Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin intervenendo su Canale 5 ha detto che le sanzioni scatteranno solo dopo “un eccesso reiterato di prescrizioni inappropriate e solo dopo un contraddittorio con il medico che dovrà giustificare scientificamente le sue scelte” e ha sottolineato che “si vuole avere un’appropriatezza della prescrizione diagnostica: ovvero che le persone siano indirizzate a fare le diagnosi che servono e non quelle che non servono”. I medici però sono sul piede di guerra e annunciano mobilitazioni. L’Anaao Assomed parla di “un decreto sbagliato nel merito e nel metodo”. “Non è, infatti, compito della politica – commenta il Segretario Nazionale dell’Associazione, Costantino Troise – definire i criteri dell’appropriatezza clinica, valore in cui pure ci riconosciamo, invadendo l’autonomia e la responsabilità dei Medici. Senza contare i veri e propri strafalcioni o gli esempi di inappropriatezza assunti a sistema presenti nella parte tecnica del decreto, che la dicono lunga sulle competenze e sull’attenzione riservate a materia delicata che attiene il diritto alla salute dei cittadini. Se il tema dell’appropriatezza prescrittiva, ed il relativo consumo delle risorse, viene considerato fondamentale per l’equilibrio economico dei sistemi sanitari evoluti, è impensabile procedere attraverso note, tabelle e sanzioni.Con il rischio di inquinare il rapporto medico-paziente e di spingere i cittadini verso le strutture private, obbligando le fasce più deboli della popolazione ad ingrossare il numero di coloro che già ora rinunciano alle cure ed alimentando una spesa out of pocket che già è ai massimi in Europa”.
In questo contesto fanno quindi pensare i risultati di un’indagine fatta da Altroconsumo che di fatto conferma una tendenza ormai diffusa e diventata certezza: gli italiani (molti) rinunciano a curarsi perché non possono. Non hanno i soldi. Si legge nell’indagine: “Per curarci spendiamo sempre più soldi di tasca nostra: in media il 14% del reddito netto familiare. Come dire che in un anno spendiamo quasi 2mila euro a famiglia per cure sanitarie essenziali. E si sale a 2.400 euro se ci prendiamo cura di un malato cronico. Dall’indagine che abbiamo condotto risulta che quattro italiani su dieci hanno difficoltà a saldare i conti per le visite e i farmaci. Quasi la metà degli intervistati rimanda il più possibile l’appuntamento con il medico o rinuncia a curarsi perché non ha abbastanza soldi”.
La salute costa cara e chi non può far fronte alle spese sanitarie ha due alternative, spiega Altroconsumo:rinunciare a curarsi (scelta fatta dal 46% delle famiglie italiane) oppure indebitarsi (13%). Ma la percentuale di chi rinuncia alle cure necessarie è ancora più alta e sale al 61% fra le famiglie con reddito inferiore ai 1550 euro al mese. E sale ancora in alcune regioni d’Italia: in Campania (73%), Calabria (69%) e Lazio (64%). Sono poi il 13% gli italiani che hanno chiesto un prestito – più della metà ai familiari piuttosto che alle banche – per pagarsi le spese sanitarie: in media è una cifra di tremila euro l’anno.
Il 46% degli italiani rinuncia ad almeno una cura l’anno (un po’ meno quelli che hanno un’assicurazione sanitaria, il 33%: è un dato comunque alto, ma chi ha stipulato un’assicurazione non è al riparo dai pagamenti che finiscono per coprire il 12% dell’introito netto). Fra le cure più sacrificate ci sono quelle odontoiatriche (38%), oftalmiche (22%), alla riabilitazione fisica (15%) e quelle ortopediche (11%). Nei casi più gravi si rinuncia anche a visite assolutamente urgenti: il 23% in Sicilia, ad esempio, oppure il 18% tra coloro nella fascia di reddito inferiore a 1000 euro al mese.Nel frattempo sul provvedimento del Ministero è scattata la battaglia. Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin intervenendo su Canale 5 ha detto che le sanzioni scatteranno solo dopo “un eccesso reiterato di prescrizioni inappropriate e solo dopo un contraddittorio con il medico che dovrà giustificare scientificamente le sue scelte” e ha sottolineato che “si vuole avere un’appropriatezza della prescrizione diagnostica: ovvero che le persone siano indirizzate a fare le diagnosi che servono e non quelle che non servono”. I medici però sono sul piede di guerra e annunciano mobilitazioni. L’Anaao Assomed parla di “un decreto sbagliato nel merito e nel metodo”. “Non è, infatti, compito della politica – commenta il Segretario Nazionale dell’Associazione, Costantino Troise – definire i criteri dell’appropriatezza clinica, valore in cui pure ci riconosciamo, invadendo l’autonomia e la responsabilità dei Medici. Senza contare i veri e propri strafalcioni o gli esempi di inappropriatezza assunti a sistema presenti nella parte tecnica del decreto, che la dicono lunga sulle competenze e sull’attenzione riservate a materia delicata che attiene il diritto alla salute dei cittadini. Se il tema dell’appropriatezza prescrittiva, ed il relativo consumo delle risorse, viene considerato fondamentale per l’equilibrio economico dei sistemi sanitari evoluti, è impensabile procedere attraverso note, tabelle e sanzioni.Con il rischio di inquinare il rapporto medico-paziente e di spingere i cittadini verso le strutture private, obbligando le fasce più deboli della popolazione ad ingrossare il numero di coloro che già ora rinunciano alle cure ed alimentando una spesa out of pocket che già è ai massimi in Europa”.
La cultura di morte dell'austerità
di Giorgio Cremaschi
Che cosa rende una visita, un esame clinico, inutile? Il fatto che il paziente non abbia nulla. Che cosa lo rende particolarmente inutile? Il fatto che questo esame sia stato prescritto solo in via precauzionale, magari proprio solo per escludere il rischio malattia e tranquillizzare il paziente.
Questi esami inutili, se passa il provvedimento legislativo annunciato dal governo, non si potranno più fare, pena sanzioni contro il medico che li prescrive. Quindi saranno utili solo gli esami clinici che riscontrino effettive patologie, magari irrecuperabili.
Ci rendiamo conto della mostruosità di questa misura, naturalmente giustificata con la necessità del rigore nei conti dello stato?
Naturalmente i soliti pifferai liberisti spiegheranno che si tratta di eliminare sprechi, definendo standard validi per tutti, senza danni per nessuno. Mi pare che abbiano annunciato come esempio che gli esami sul colesterolo dovrebbero farsi ogni cinque anni. Immaginiamo una persona che improvvisamente abbia sintomi di malanni che il medico giudichi dovuti a cause di scompensi nel metabolismo, da sottoporre ad analisi. Se il paziente ha oltrepassato i tempi standard dall'ultimo controllo il medico potrà fare la prescrizione, se invece cosi non è dovrà aspettare. Oppure rischiare di finire sotto procedura di controllo e sanzione.
Si dice che in questo modo si risparmieranno 13 miliardi che potranno essere spesi meglio. Tutti i tagli alla spesa pubblica son giustificati così da sempre, e da sempre sappiamo che questo non è vero. La sostanza è che si ridurrà la prevenzione sulle malattie, solo i ricchi potranno continuare a permettersela mentre i poveri si ammaleranno e moriranno prima. Ma forse questo è proprio ciò che si vuole.
Il sistema pensionistico dalla riforma Dini si fonda sull'aspettativa di vita. Più questa statisticamente sale più si deve andare in pensione ad età elevate. Per questo le tabelle già prevedono la pensione a 70 anni di età nei prossimi decenni. Immaginiamo allora che i tagli alla sanità blocchino o addirittura abbassino questa aspettativa di vita. Sarebbe un doppio guadagno per le casse dello stato, da un lato risparmi sulla spesa sanitaria, dall'altro su quella pensionistica perché pur andando in pensione più tardi si morirebbe prima.
Tempo fa una giornalista televisiva parlando del sistema pensionistico si lasciò scappare che i costi crescevano perché "purtroppo" si viveva più a lungo. Ecco con quel purtroppo la giornalista era in perfetta sintonia con le intenzioni dei governanti liberisti.
I medici sono giustamente in rivolta contro questa legge, perché verrebbero sottoposti ad un standard di regole e comportamenti di modello aziendalistico. È evidente infatti anche in questa "riforma" il modello Marchionne, il nume ispiratore a cui Renzi vorrebbe fare un monumento. Come nella scuola con i presidi caporali, anche nella sanità ci saranno strutture e poteri burocratici che avranno il compito di decidere sui comportamenti. Il modello aziendale fondato sul profitto è quello che da tempo si sta imponendo nei servizi pubblici, in questo modo trasformando le persone ed i loro diritti costituzionali in oggetti di mercato.
Ancora più infame è poi la partita di scambio che viene offerta ai medici per compensarli della distruzione della loro libertà. Il governo intende impedire le cause dei cittadini per malasanità. Così come ha fatto con il decreto Ilva, che ha garantito impunità ai manager che inquinano nell'esercizio delle loro funzioni, il governo offre la stessa protezione ai medici. I pazienti saranno meno immuni da malattie gravi, ma i medici verranno immunizzati dalle cause dei pazienti.
L'Italia è il paese di Cesare Beccaria che alla cultura medioevale contrappose quella illuminista delle pene: meglio un colpevole libero che un innocente in prigione. Con lo stato sociale questo principio di civiltà si era esteso ai diritti sociali. Meglio spendere 13 miliardi in visite anche per chi non ne ha bisogno, che negare le cure a chi invece ne necessita
Ora con le politiche di austerità il governo abbandona i principi illuministi per tornare a quelli medioevali, meglio che un malato muoia prima piuttosto che spendere dei soldi in più. L'autorità pubblica ha così potere di vita e di morte e il principio che la ispira è quello del mercato, rispetto alla cui suprema autorità, come nel Medio Evo, le persone normali non hanno più diritti personali indisponibili
Quella dell'austerità è prima di tutto una cultura di morte
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