Matteo Renzi commenta gli ultimi dati Istat: «Cresce il Pil, crescono gli occupati, meno disoccupazione. Le riforme servono». Il paese è attraversato da pifferai magici e giorno dopo giorno diventa sempre più difficile fare informazione. La statistica si presta a diverse interpretazioni, ma quelle del governo assomigliano a un brutto film dell’orrore. Comprendo la necessità di offrire segnali incoraggianti, ma le persone che si trovano ai margini della società ormai non ascoltano e non credono più alle sirene del governo.
L’Istat ha appena comunicato questa notizia: il Pil cresce dello 0,6% su base annua. Bella notizia? Qualcuno dovrebbe ricordare a Renzi che la crescita del Pil indicata nel Def per il 2015 era dello 0,7%. Come può il premier sostenere che il paese ha cambiato direzione? Fortunatamente il calo dei tassi ha fatto diminuire gli interessi sul servizio del debito pubblico di quasi 2 miliardi di euro, diversamente la legge di Stabilità per l’anno prossimo doveva realizzare una manovra correttiva di pari valore.
Sono anni che l’Italia non cresce più, così come sono anni che il Pil cresce meno della media europea. Dal 1996 al 2014 l’Italia è cresciuta di un terzo rispetto alla media europea. Si tratta di 220 miliardi di minore crescita, nonostante i conti pubblici fossero sotto controllo. Sarebbe anche il caso di far sapere a Renzi che la spesa pubblica italiana, al netto del servizio del debito, è tra le più basse a livello europeo.
Calano i disoccupati? Chi racconta al presidente del consiglio che le persone inattive, cioè quelle che non meritano nemmeno di entrare nel novero dei disoccupati, sono rimasti stabili a tre milioni e seicento mila persone? In altri termini, le persone che non lavorano in Italia sono quasi sette milioni. Senza considerare i livelli salariali e di tutela che i nuovi lavori devono sopportare.
A voi sembra un paese uscito dal tunnel?
La produzione industriale persa per sempre è pari al 20%, Mediobanca informa che le imprese industriali quotate hanno ridotto del 22% il margine operativo lordo nel primo trimestre del 2015. Non sono un campione rappresentativo, ma qualcosa di grave e profondo lo denunciano. La crisi di capitale dell’Italia non ha eguali in Europa, se poi l’associamo al livello della classe dirigente c’è da mettersi le mani nei capelli.
ROBERTO ROMANO
da il manifesto
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