di Imma Barbarossa – CPN Rifondazione comunista
La recente intervista a Nichi
Vendola (Repubblica, 6 settembre) chiarisce, a mio avviso, qualora ce ne
fosse stato bisogno, il percorso della cosiddetta “Costituente della
sinistra”, che dovrebbe essere anche il coronamento/allargamento della
“Casa comune della sinistra e dei democratici”, spuntata alcuni mesi fa,
a quanto si sa, dal pensiero di Marco Revelli all’interno de “L’Altra
Europa”.
Al di là delle interpretazioni più o
meno possibiliste, più o meno “speranzose”, a ben guardare vengono
espressi due concetti (o due proposte). Il primo: pur
all’interno del giudizio negativo sul renzismo come mutazione genetica
del PD, Vendola afferma che l’alleanza col PD non è destino ma possibilità, almeno
a livello “locale” (domanda: le regioni e i grandi comuni sono un
livello locale? E quanto i consiglieri di Sel sarebbero disponibili a
una lotta contro il governo a guida PD?)
Ma, a mio avviso, il secondo
punto è ancora più grave: chiarisce che cosa Vendola intende per il
costituendo soggetto politico della sinistra, in relazione ai soggetti
costituenti. Da questi vengono esclusi, forse per “distrazione”, sia
l’Altra Europa che Rifondazione Comunista.
Ora, ferma restando la mia profonda
avversione a ogni percorso politicistico e ad ogni accozzaglia pattizia
(che abbiamo sperimentato sin dalla Federazione della Sinistra), ideata a
fini solo disperatamente elettorali, risulta chiaro che da parte di
Rifondazione Comunista si configurerebbe una sorta di richiesta di
aggregazione posticcia del tipo “Posso venire anch’io”? Così si
spiegherebbe anche lo schiacciamento del PRC, acritico, dogmatico, quasi
fideistico, sul governo Tsipras, costretto a ingoiare il terzo
memorandum; uno schiacciamento quasi a prescindere, in fondo una sorta
di viatico verso la Costituente attraverso l’Altra Europa.
Ebbene, tanto “realismo” politico a me
sembra irreale da un punto di vista materialmente politico, umiliante da
un punto di vista morale.
D’altronde, dopo le elezioni europee del
maggio 2014, l’Altra Europa si è persa in una sorta di attesa
stagnante, da una parte per l’imbarazzo della scelta di Barbara Spinelli
a favore di Eleonora Forenza, dall’altra quasi in attesa che scoppiasse
in Big Bang a sinistra.
Oggi c’è bisogno di altro. L’Unione
Europea è immersa in una grave crisi economica, sociale, politica e
morale, palesatasi drammaticamente sia nell’aggressione alla Grecia e al
suo governo di sinistra (fino a sfigurarlo), sia nella difesa delle
frontiere per mare e per terra. Ed è proprio il nodo dell’immigrazione
che dovrebbe chiamare in causa una sinistra degna di tale nome. Giacché
si tratta di una questione politica e di classe: chi paga di meno muore
giù nella stiva e non ha diritto al giubbotto salvagente; l’Europa
dell’est rifiuta l’accoglienza, l’Europa “cristiana” e illuminista si
commuove per la foto del bimbo sulla spiaggia turca, ma intende dividere
i migranti tra rifugiati ed “economici”, perché chi fugge dalle guerre
(causate, tra l’altro, dal colonialismo cristiano e occidentale) può
essere assistito, ma chi ha fame deve tornare a casa, e magari sotto le
bombe dell’Occidente liberatore. E in fondo come si permette di aspirare
a un tenore di vita occidentale?!
C’è bisogno di altro: c’è bisogno di un
sussulto di indignazione, di movimenti di rivolta, della costruzione di
una rete di movimenti, di donne e uomini che, a partire dall’analisi e
dalla critica dei nuovi, inediti aspetti del nuovo capitalismo (che
soffoca anche le nostra vite, le nostre relazioni, i nostri desideri,
persino mutandoli di segno), ponga in essere la costruzione di una rete
antiliberista, antiausterity, anticapitalista. Antirazzista,
antimilitarista, antipatriarcale, io la nominerei anche così.
Antispecista, direbbe Annamaria Rivera.
E allora, secondo me, questo è un
compito che noi comunisti e comuniste ci dovremmo dare, sia
collettivamente che i individualmente. A partire da un’analisi
spietatamente critica della nostra storia, che è stata narrata, e
sfigurata, da altri e su cui abbiamo spesso steso veli consolatori,
quando non coperture giustificazioniste.
Per questo sono contraria a percorsi
tipo “unità dei comunisti” o”Costituente comunista”, che, lungi dal far
riferimento a un punto di vista e alle soggettività, anche sociali
(“Proletari di tutto il mondo unitevi”, non “Comunisti di tutto il mondo
aggregatevi”), si arrogano il compito di accostare percorsi e
aggregazioni che, anziché alla riflessione critica sulla propria storia,
si affidano a una sorta di “marchio” buono per tutte le stagioni, anche
per le alleanze più “disinvolte” (tanto ci salva il marchio!).
Nel documento che ho sottoscritto si
parla più opportunamente, a questo proposito, di incontro tra “le
soggettività comuniste oggi disperse su un profilo, una proposta
politico-programmatica ed una forma partito all’altezza della crisi
attuale, in grado di interpretare e raggiungere i nuovi soggetti
sociali” (ossia si mette l’accento sulla funzione sociale e
politica,tutta da ripensare,più che sulla “identità”), in e per una “una
coalizione sociale anticapitalista”: questo, a mio avviso, dovrebbe
essere il nostro intento. Dentro i conflitti.
Inoltre, secondo me, non dovremmo cadere
nella trappola tipo chiedere un congresso per contarci, o tipo
semplicemente la sostituzione di segretario e segreteria. Sarebbe un ben
misero obiettivo. Non siamo interessati a “cambiare la maggioranza” ma a
cambiare il Partito.
Si tratta di iniziare una vera
rifondazione teorica, politica, pratica, una vera autoriforma che liberi
il Partito dal suo impianto ridicolmente e nevroticamente
“autoritario”, di rifondare un gruppo “dirigente” di donne e uomini
capaci di mettersi continuamente in discussione, fuori dalla militanza
intesa come fedeltà, catena di comando, affidamento opportunistrico,
nostalgia per il governo e/o per le istituzioni. Si è persino operato
per dividere il forum delle donne in compagne “non responsabili” e
“responsabili”, cioè a-conflittuali, quando in una organizzazione
storicamente maschile le donne dovrebbero essere tutte impegnate ad
agire il conflitto di genere.
Perché il percorso di rifondazione
inizi, però, occorre prima di tutto abolire correnti e aree: tutti gli
orticelli, che nella vita asfittica del Partito sono serviti alle quote
percentuali negli organismi dirigenti, anche e soprattutto a causa della
mancata autoriforma del Partito. La quale non deve essere un mero
schema organizzativo, deve invece essere un laborioso percorso politico
partecipato. Le differenze vanno esplicitate, fatte valere, confrontate.
Individualmente e insieme.
In assenza di tutto ciò, si rischia una
deriva parolaia, per giunta scandita da una futile e rissosa forma di
autoassoluzione, incline ad una paralizzante logica di piccoli e grandi
schieramenti.
Infine, i compagni e le compagne di
Rifondazione comunista meritano ben altro che essere parcheggiati in
attesa di essere ammessi nel salotto delle alleanze di turno.
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