Vertice permanente a Palazzo Grazioli. Monti è inevitabile ma i papabili
per i dicasteri litigano e temono l’autodistruzione: non sarà una
grosse Koalition ma un’altra «cosa» Ei fu, stasera Berlusconi lascia
Palazzo Chigi. La tensione nella maggioranza è alle stelle. Pdl e Lega
provano a resistere su Monti ma sperano in una fiducia a tempo che non
escluda il voto a primavera.Ed eviti il ritorno della «Balena bianca»
In
queste ore, le ultime che gli restano da vivere a Palazzo Chigi come
capo del governo italiano, Silvio Berlusconi sa bene che tutte le strade
della morte e resurrezione della seconda Repubblica passano da lui,
dalle sue scelte. Da quello che dirà stasera a Giorgio Napolitano.
Ei fu. Stasera non sarà più il presidente del consiglio. Oggi le sue
dimissioni diventeranno «operative», per usare la neolingua
quirinalizia. Addio Cavaliere. Non c’è epitaffio politico migliore di
quello che, il 29 aprile del 2009, ha scritto la sua ex moglie Veronica
Lario: «Mio marito insegue lo spirito di Napoleone, non quello del
dittatore. Il vero pericolo è che in questo paese la dittatura arrivi
dopo di lui, se muore la politica come temo stia succedendo».
Sono passati due anni e mezzo. Ma in verità il suo governo è morto
allora. Le banche internazionali hanno fatto il resto, colpendo ciò che
ha di più caro: le sue aziende. «Spero che la caduta di Berlusconi non
abbia refluenze (sic) sul futuro di Mediaset – si chiede preoccupato
Fedele Confalonieri – spero che ci sia una ragionevolezza nel
comportamento di chi andrà a governare nell’immediato futuro o anche più
in là. Se uno vuole fare del male a Mediaset in un momento come questo,
dove l’economia è quella che è, è autolesionistico per il paese».
Chissà il liberista Monti cosa penserà di un monopolio televisivo che
non ha eguali nel mondo. Intanto una cosa è certa: Corriere e Repubblica
battono come fabbri sul nuovo governo di unità nazionale. Impensabile,
da quelle parti, che dal berlusconismo si potesse uscire con la foto di
Vasto. Ma contrariamente a quello che scrive Pigi Battista sulla prima
pagina del Corsera di ieri, il governo Monti non è la grosse Koalition
che ha riportato la Germania tra i grandi del pianeta. Al contrario: qui
da noi rappresenta la fine di un’era. Se durerà fino al 2013, il
«salvatore» Monti e i suoi 12 apostoli diventeranno l’incubatrice di una
nuova formazione politica.
Dopo questo governo, Pd e Pdl contrariamente
a Cdu e Spd non esisteranno più. Dal loro travaglio nascerà un «grande
centro», un partitone popolare e tecnocratico, cattolico e liberale,
simile alla Cdu tedesca. Una «Dc 2.0», per dirla brutta. La «balena
bianca» è un’araba fenice che stavolta può risorgere davvero. Sia
Bersani che Berlusconi sanno benissimo che nel momento in cui
spingeranno il bottone che dà la fiducia a Monti avranno anche dato il
via all’inesorabile dissoluzione dei propri rispettivi partiti.
I dissensi dentro al Pdl offuscano il tormento che si respira intorno al
segretario democratico, fino a tre giorni fa accreditato come il
probabile vincitore delle elezioni a primavera. Ma è ovvio che se il Pd
dovrà sopportare il peso sociale maggiore delle scelte di Monti, il Pdl
ne subirà per primo le conseguenze politiche. Nella «Dc 2.0» non c’è
posto per i «fascisti» di An (copyright Frattini), per gli ex socialisti
come Sacconi, per le «veline» o i «falchi» alla Santanchè.
Non è questione di «big» e «peones». Cambia un’epoca. Non è un caso che
lo sponsor principale dell’operazione Monti – oltre ai mercati – siano
Cl e la Compagnia delle opere. Con la Fiat in esilio e Confindustria ai
minimi termini, ciò che resta del motore produttivo italiano dopo
Berlusconi sono le banche e la sussidiarietà targata Cl. L’asse di
Napolitano con il movimento fondato da don Giussani non è nuovo. Ma nel
crepuscolo del berlusconismo il capo dello stato è diventato l’icona
vivente dell’ultimo meeting di Rimini. Un riconoscimento reciproco che
il Quirinale ha cementato a settembre con la nomina della professoressa
Marta Cartabia alla Corte Costituzionale.
Dal vertice permanente che anima giorno e notte Palazzo Grazioli, esce
fuori che il Pdl esprimerà la sua posizione definitiva solo dopo le
dimissioni del premier. L’ufficio di presidenza che deve ratificare il
sospirato sì a Monti viene più volte convocato e sconvocato (l’ultima
chiamata è oggi alle 18). La Lega vorrebbe suggerire Dini. I dissidenti
del Pdl Alfano. I papabili ministri litigano tra loro. Tentativi
disperati, estemporanei. Tensioni e resistenze dentro Pdl e Lega sono
fortissime. Ma Napolitano continua ad assicurare ai leader di tutto il
mondo che Berlusconi è il passato e Monti il futuro.
Tutti sanno che a questo punto non c’è alternativa al professore
bocconiano. Come dice Prodi, 100 punti di spread in meno in un giorno
sono un segnale inequivocabile. Come l’appello unanime di tutte le
associazioni imprenditoriali più Cgil, Cisl e Uil rivolto a «tutte le
forze politiche, senza eccezione alcuna». Il Cavaliere realisticamente
non può mettere veti: allo stato non ci sono margini su un premier
diverso né per ministri che non siano benedetti dal Colle. I voti del
Cavaliere però sono decisivi per arrivare a quota 500 deputati, la
soglia che Napolitano considera vitale per dire se l’esperimento è
riuscito e calmerà i mercati oppure è un governicchio all’italiana.
L’unico modo con cui Berlusconi può far pesare quei voti e tenere
insieme il Pdl e la Lega, perciò, è contrattare una sorta di fiducia a
tempo: condizionata al voto a primavera. E’ lo stesso orizzonte sul
quale lavora Bersani.
Se avrà funzionato o no dovrà dirlo innanzitutto Monti. Se chiederà
ufficialmente di rimanere a Palazzo Chigi «per tutto il tempo
necessario» come ha fatto il suo omologo Papademos in Grecia, il dado è
tratto.
Matteo Bartocci - il manifesto
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