sabato 5 novembre 2011

Cittadini o sudditi della finanza? - di Angelo d'Orsi

Meno male che qualcuno – Rossana Rossanda sul “Manifesto”, Luciano Canfora intervistato da “l’Unità” (che ha pubblicato anche un bell’editoriale di Paolo Soldini) e pochi altri – hanno marciato contro corrente: altrimenti la sensazione di soffocamento davanti al fiume di pensiero unico sarebbe assoluta.

Dunque, Papandreu – attaccato con una violenza incredibile non solo dai nuovi padroni d’Europa, il duo Sarkozy-Merkel, ma da tanti suoi autorevoli concittadini, per esempio il musicista Theodorakis, e dalla generalità dei politici e dei commentatori internazionali – ritira la proposta di referendum.
Berlusconi e la sua residua corte dei miracoli si era addirittura aggrappato al referendum, indetto e poi ritirato, per spiegare la crisi finanziaria che sta minacciando di ridurre l’Italia da lui sgovernata al livello greco. Un esempio di sciacallaggio impressionante.

L’unanismo degli osservatori – giornalisti, finanzieri, governanti – è stato all’insegna dello scandalo: come ci si permette di chiamare in causa il popolo? Queste sono questioni serie, troppo importanti per lasciarle decidere alla “gente”! Occorrono dei professionisti, dei tecnici, degli “esperti”. Ma chi è più esperto di economia (la legge, ossia scienza, della casa, letteralmente) di chi la vive tutti i giorni con la difficoltà di far quadrare il bilancio familiare? E non è forse la democrazia il governo del popolo? Dov’è lo scandalo?

Accade che un governante, davanti alle iugulatorie richieste (pesantissime imposizioni che si presentano come non negoziabili e neppure discutibili) del Comitato d’affari che regge l’Europa, e gran parte dell’intero orbe terracqueo, si rivolga ai suoi cittadini: che per tal via potranno o capire, e accettare, o aiutarlo a resistere a quelle imposizioni. Invece no. Non è previsto. La democrazia è un altare vuoto: una parola tanto priva ormai di senso, quanto ripetuta in qualsivoglia circostanza; significa intrattenimento calcistico e d’ogni altro sport, significa centri commerciali, significa reality show e talk show, significa missioni di pace (dal Kosovo alla Libia, sempre pronti a elargire con lezioni di civiltà a quei barbari, i prodotti della nostra tecnologia militare). E significa anche elezioni: purché condotte in modo che il manovratore, assistito dai media fedeli (quasi tutti), dai sondaggisti stipendiati, da funzionari corrotti, possa indirizzarne l’esito; e, può, la democrazia, persino, significare referendum: purché siano quelli concessi, non quelli sgraditi.

E questo, così generale e politico, voluto da Papandreu – un vero referendum – è riuscito non solo sgradito, ma assolutamente indigesto: diamine, è una questione di principio! I popoli se ne stiano buoni, la massa deve rimanere amorfa e manovrabile, e la si può usare solo per richiedere un consenso a decisioni già prese altrove. Neppure nei governi dei singoli Stati; e nemmeno nel supergoverno europeo, o nei fantomatici raduni contrassegnati dalla lettera G. No. Le decisioni sono assunte, nel segreto di luoghi impenetrabili, forse puramente virtuali, da agenzie private, che le comunicano alle istanze politiche che ne diventano fedeli esecutori, pur nelle oscillazioni, incertezze, contraddizioni, e maldipancia.

La cessione di sovranità è una catena mostruosa. Il cittadino cede la sua ai parlamenti nazionali, che la cedono ai governi, i quali sono costretti a cederne ampie quote ai super-governi continentali o di alleanza (si pensi al ruolo del Patto Atlantico, che, con la sua organizzazione militare, la Nato, ha surrogato praticamente ogni altra istanza), e a loro volta tutti costoro dipendono, quasi interamente, dall’Ipercapitalismo o Turbocapitalismo o Finanzcapitalismo. Tanto possente, quanto inefficiente, a giudicare dai risultati che sono sotto gli occhi, e nei portafogli di tutti: no, non di tutti, ma solo di quei tanti (ma proprio tanti) che non rientrano nella cerchia sempre più ristretta e sempre più ricca dei nuovi privilegiati.

Ma si continua a dirci che noi, cittadini ritornati a una condizione pre-1789, ossia di sudditi, non possiamo capire, non ce ne intendiamo, che dobbiamo “lasciarli lavorare”. A noi, nuovi sudditi di questo Potere invisibile, ma minaccioso e incontrastato, tocca, quindi, soltanto chinar la testa. Non possiamo neppure protestare. Adesso si è giunti a vietarcelo, semplicemente. E chi ci prova, viene fermato, malmenato, bloccato: vedi gli ultimi fatti relativi alle proteste degli studenti a Roma ma non soltanto). Oppure ci chiedono “garanzie patrimoniali” per esercitare il diritto a manifestare. Un’aberrazione morale, prima che giuridica. Ci si inibisce la piazza, insomma, e ci si limita il ricorso all’urna. Ci si stupisce, poi, quando la protesta diventa furore cieco?

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