Tutti lo
cercano, tutti lo vogliono. Pierferdinando Casini è il politico del momento, il
più abile e convinto regista dell’operazione Monti in tandem con Napolitano.
Pier di qua, Pier di là. Bossi, quando si alleò con lui nel lontano 1994, lo
ribattezzò “el carugnìn de l’uratòri”, e mai definizione fu più azzeccata. Non
perché sia stato coinvolto in scandali, anzi: Casini è una rara avis democrista
mai sfiorata da guai giudiziari. Ma perché di inquisiti e condannati è un
collezionista da Guinness. E proprio sulla questione morale, anzi penale,
sarebbe interessante avere da lui qualche risposta, posto che: ha avuto un
ruolo decisivo nella caduta del governo Berlusconi; detiene la golden share del
governo Monti; ha imposto ministri-chiave come il Guardasigilli Paola Severino
(avvocato di suo suocero Francesco Gaetano Caltagirone e di sua moglie
Azzurra); i vertici del Pd sono disposti a sacrificare l’alleanza con Di Pietro
e Vendola pur di averlo con sé alle prossime elezioni.
Ricapitolando. Nel 2001 Casini candida Totò Cuffaro a governatore della Sicilia con tutto il centrodestra; nel 2005 lo sistema al Parlamento europeo quand’è già imputato per favoreggiamento mafioso; nel 2006 lo fa eleggere senatore, mettendo sulla sua innocenza “non una ma due mani sul fuoco”; nel 2008 Cuffaro è condannato in primo grado, ma Casini lo rinomina senatore, sempre garantendo sulla sua illibatezza. Sappiamo com’è finita: Totò condannato definitivamente a 7 anni e recluso a Rebibbia. Ma non risulta che Casini si sia scusato per il plateale abbaglio, anche perché dovrebbe vagare coi moncherini come Muzio Scevola. Nel 2006, in un’intervista all’Espresso, aveva giurato sulle “liste pulite” dell’Udc: “Nelle candidature non faremo sconti: a parte Cuffaro, in Sicilia non ricandideremo nessun inquisito”. Infatti dal 2001 porta tre volte in Parlamento pure Saverio Romano, allora indagato e ora imputato per concorso esterno in mafia. Il fatto che l’anno scorso Cuffaro e Romano siano passati al Pdl non è un’attenuante, ma un’aggravante di cui dovrebbero ricordarsi quanti rimproverano giustamente a Di Pietro i De Gregorio, Razzi e Scilipoti, scordandosi i voltagabbana casiniani.
E non basta: dal 2001 siede nei banchi dell’Udc alla Camera anche Pino Naro da Militello Rosmarino (Messina), ora è indagato per finanziamento illecito con l’accusa di aver ricevuto una tangente di 200 mila euro in contanti, nella sede romana dell'Udc, dall'impresario Tommaso Di Lernia e dal presidente dell'Enav Guido Pugliesi (pure lui inquisito e immancabilmente vicino all'Udc). Un insospettabile? Non proprio, essendo un habituè di galere, procure e tribunali: poco prima di entrare a Montecitorio per non uscirne più, era stato condannato definitivamente a 6 mesi per abuso d’ufficio a proposito dell’acquisto con denaro pubblico di 462 ingrandimenti fotografici, alla modica cifra di 800 milioni di lire; e si era salvato due volte per prescrizione nella Tangentopoli messinese (condanna in primo grado a 1 anno e mezzo) e in quella per le spese folli di Taormina Arte (peculato). Infatti era stato subito promosso tesoriere del partito, l’uomo giusto al posto giusto. Ma come li sceglie, Casini, i dirigenti apicali del suo partito: dai mattinali di questura?
Il dubbio cresce se si guarda al pedigree del segretario Udc Lorenzo Cesa: arrestato a Roma nel 1993 dopo breve latitanza, condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nello scandalo Anas (intascò mazzette per 30 miliardi di lire per conto del ministro Prandini), Cesa si salva per un cavillo procedurale dopo aver confessato tutto in un verbale che si apre così: “Intendo svuotare il sacco”. Linguaggio degno di Gambadilegno più che di un leader “moderato”. Ora pare che lo sherpa usato dall’Udc per accalappiare la pattuglia di deputati Pdl che han costretto il Cavaliere alla resa fosse Paolo Cirino Pomicino, che vanta una condanna per finanziamento illecito e un patteggiamento per corruzione. Forse, prima di allearsi con Casini, gli andrebbe chiesto come spiega questa formidabile concentrazione di malandrini tutt’intorno a sè: è solo sfortunato nelle amicizie, è attratto dai borderline, o c’è qualcos’altro che dobbiamo sapere?
Ricapitolando. Nel 2001 Casini candida Totò Cuffaro a governatore della Sicilia con tutto il centrodestra; nel 2005 lo sistema al Parlamento europeo quand’è già imputato per favoreggiamento mafioso; nel 2006 lo fa eleggere senatore, mettendo sulla sua innocenza “non una ma due mani sul fuoco”; nel 2008 Cuffaro è condannato in primo grado, ma Casini lo rinomina senatore, sempre garantendo sulla sua illibatezza. Sappiamo com’è finita: Totò condannato definitivamente a 7 anni e recluso a Rebibbia. Ma non risulta che Casini si sia scusato per il plateale abbaglio, anche perché dovrebbe vagare coi moncherini come Muzio Scevola. Nel 2006, in un’intervista all’Espresso, aveva giurato sulle “liste pulite” dell’Udc: “Nelle candidature non faremo sconti: a parte Cuffaro, in Sicilia non ricandideremo nessun inquisito”. Infatti dal 2001 porta tre volte in Parlamento pure Saverio Romano, allora indagato e ora imputato per concorso esterno in mafia. Il fatto che l’anno scorso Cuffaro e Romano siano passati al Pdl non è un’attenuante, ma un’aggravante di cui dovrebbero ricordarsi quanti rimproverano giustamente a Di Pietro i De Gregorio, Razzi e Scilipoti, scordandosi i voltagabbana casiniani.
E non basta: dal 2001 siede nei banchi dell’Udc alla Camera anche Pino Naro da Militello Rosmarino (Messina), ora è indagato per finanziamento illecito con l’accusa di aver ricevuto una tangente di 200 mila euro in contanti, nella sede romana dell'Udc, dall'impresario Tommaso Di Lernia e dal presidente dell'Enav Guido Pugliesi (pure lui inquisito e immancabilmente vicino all'Udc). Un insospettabile? Non proprio, essendo un habituè di galere, procure e tribunali: poco prima di entrare a Montecitorio per non uscirne più, era stato condannato definitivamente a 6 mesi per abuso d’ufficio a proposito dell’acquisto con denaro pubblico di 462 ingrandimenti fotografici, alla modica cifra di 800 milioni di lire; e si era salvato due volte per prescrizione nella Tangentopoli messinese (condanna in primo grado a 1 anno e mezzo) e in quella per le spese folli di Taormina Arte (peculato). Infatti era stato subito promosso tesoriere del partito, l’uomo giusto al posto giusto. Ma come li sceglie, Casini, i dirigenti apicali del suo partito: dai mattinali di questura?
Il dubbio cresce se si guarda al pedigree del segretario Udc Lorenzo Cesa: arrestato a Roma nel 1993 dopo breve latitanza, condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nello scandalo Anas (intascò mazzette per 30 miliardi di lire per conto del ministro Prandini), Cesa si salva per un cavillo procedurale dopo aver confessato tutto in un verbale che si apre così: “Intendo svuotare il sacco”. Linguaggio degno di Gambadilegno più che di un leader “moderato”. Ora pare che lo sherpa usato dall’Udc per accalappiare la pattuglia di deputati Pdl che han costretto il Cavaliere alla resa fosse Paolo Cirino Pomicino, che vanta una condanna per finanziamento illecito e un patteggiamento per corruzione. Forse, prima di allearsi con Casini, gli andrebbe chiesto come spiega questa formidabile concentrazione di malandrini tutt’intorno a sè: è solo sfortunato nelle amicizie, è attratto dai borderline, o c’è qualcos’altro che dobbiamo sapere?
Nessun commento:
Posta un commento