Ai primi di luglio del 2009, quando la crisi aveva assunto ormai dimensioni apocalittiche anche sul piano finanziario-bancario, si diceva che il valore delle banche europee nel suo complesso fosse diminuito di oltre 1000 miliardi di dollari (senza le banche del Regno Unito), quello delle banche USA di 900 miliardi e quello delle banche britanniche, da sole, di qusi 500 miliardi.
Proprio come un gruppo di tossicodipendenti in cura per la disintossicazione, la BCE (Banca Centrale Europea) in quei giorni prestò al sistema bancario continentale "metadone finanziario", cioè liquidità per 442 miliardi di euro (600 miliardi di dollari circa)
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) istituti storici come BNP-Paribas o Barclays Bank avevano perso a quel momento e dall'inizio della crisi, qualcosa come 50 miliardi di dollari, UBS il gigante svizzero e HSBC, una delle prime banche della zona euro, quasi 75 miliardi ciascuna. Sul versante americano Citygroup aveva fatto regstrare perdite per quasi 240 miliardi di dollari, Bank of America per più di 140, JPMorgan Chase per quasi 50. L'intervento pubblico (garanzie, titoli di stato "particolari" e liquidità) da necessario fu presto indispensabile ed è stata "morfina finanziaria" per tutti. Come sappiamo oggi, nonostante l'iperliberista Bush fosse presidente degli USA e il liberista Paulson fosse il ministro del Tesoro, l'intero sistema bancario americano da Goldman Sachs a Morgan fino a Wells Fargo, dopo il naufragio di Lehman Brothers fu salvato dall'intervento pubblico. Dai TARP (buoni di liquidità alle banche) in giù si sono inventati di tutto per non far fallire l'intero baraccone (per capire bene basta vedere il film tratto dal libro "Too big to fail").
L'intervento pubblico ha raggiunto poi il valore di quasi 4.800 miliardi di dollari negli USA (poco meno di 2mila di garanzie governative, 2mila di titoli di stato in aiuto quasi mille di liquidità dalla Banca centrale) e più di 4.500 in Europa, compresa la Gran Bretagna (2.500 di garanzie governative, 500 di titoli di stato e quasi 1.500 di liquidità)
Si diceva allora che una tale iniezione di liquidità a basso costo avrebbe dovuto facilitare il credito alle imprese, soprattutto quelle più piccole e meno patromonializzate, ma in possesso di buoni mercati e buoni progetti di business.
Da allora in avanti più Stato (regole) e meno mercato si disse! Chi con il tono da fine impero, chi con la baldanza del saccente e dell'ultimo arrivato che non sa ancora con chi sta parlando e dove. qualcuno giunse ad evocare persino nuove "Bretton Woods". Invece non si è fatto niente.
E quella montagna di soldi non è finita sui mercati a finanziariare lo sviluppo delle imprese che "fanno" l'economia reale, quella della gente comune. Non sono andati a finanziare la crescita delle imprese che avevano business e progetti. No, sono andati a finanziare nuovi giochi speculativi. Niente regole? E allora via da principio, speculazione trionfante e derivati "a go go", con una variante in più: le banche e i grandi fondi, salvati tutti quanti con i soldi dei contribuenti che campano a loro volta di economia reale, ora attaccano di "debiti sovrani" (degli Stati) che abbiamo allargato anche per pagare i loro salvataggi.
E' ora di dire basta! Era tanto che la politica fosse finita come "comprata" dall'economia, era davvero troppo che l'economia fosse stata acquisita in dominio della finanza, ma per Dio, non dovrà essere che la finanza si compri il benessere, la libertà, insomma la vita delle persone, per una rinnovata forma di servitù della gleba prestata ai nuovi feudatari, i "signori dei soldi".
Massimo Paoli, Il Corriere dell'Umbria
Nessun commento:
Posta un commento