Da anni, le voci riguardanti un attacco
aereo all’Iran si alternano con gradi diversi di gravità. In questi
giorni in cui si prepara la relazione degli ispettori dell’Agenzia
atomica internazionale, queste voci continuano ad ingigantirsi. E’ stato
il Presidente israeliano Peres, non un’analista internazionale, a
mettere in guardia sull’avvicinarsi dell’eventualità dell’attacco aereo
israeliano sui siti nucleari iraniani.
Vediamo il perché questa volta le minacce israeliane debbano essere prese tremendamente sul serio, o almeno più di quanto non sia avvenuto in precedenza. Per Israele e la sua compagine al governo mantenere una superiorità strategica conservando lo status ( illegale), ma da tutti conosciuto, di unica potenza nucleare nel medio oriente, è una questione di vitale importanza. La sicurezza dello Stato di Israele e la sua dottrina si fondano sulla propria superiorità militare nell’area. Israele, come dimostra la sua politica di sabotaggio di fatto del processo di pace, privilegia, a garanzia della propria esistenza, la forza, di cui fa sfoggio di tanto in tanto contro nemici molto più deboli.
L’opzione militare, con dei raid che riportino indietro di anni lo sviluppo del nucleare iraniano, è di gran lunga l’opzione che Israele preferisce da tempo. Le stesse guerre in Libano e a Gaza possono essere lette sotto questa lente, ovvero quella della preparazione di un retroterra sicuro, temendo rappresaglie da più fronti e dagli alleati di Teheran, in primis Hezbollah e Hamas, in caso di attacco alle installazioni iraniane. In questo ambito si capisce anche la tempistica e il contesto in cui è maturato l’accordo per la liberazione di Shalit. Hamas stringeva relazioni con l’Iran attraverso la Siria, regime che ospitava i suoi leader in esilio. Da quando è scoppiata la rivolta in Siria, il regime ha mollato Hamas, che si è rifugiato presso il Qatar, petromonarchia patria di Al Jazeera e che ospita la più importante base militare americana nel Golfo Persico. La Siria è in difficoltà e non in grado di reagire. Hamas, con lo scambio di prigionieri, raggiunge lo status di interlocutore politico a cui aspirava da tempo, magari rinunciando ad intraprendere azioni di rappresaglia in caso di attacco israeliano all’Iran.
Inoltre, Il rapido mutamento in corso nei paesi dell’area potrebbe nel breve periodo, come dimostra la Tunisia, cambiare radicalmente a sfavore di Israele. Meglio quindi per lo stato ebraico approfittare della situazione di transizione che attendere la stabilizzazione di nuovi equilibri politici che di sicuro saranno molto più ostili nei confronti di Israele.
Ultime due ragioni, contingenti, ma che depongono a favore dell’ipotesi di un attacco, il progressivo indebolimento politico del governo Natanyahu, Lieberman, Barak. Un indebolimento dovuto a ragioni interne, con il crescente movimento di protesta sociale che denuncia le disuguaglianze della società israeliana, e a ragioni esterne, con il successo dell’iniziativa palestinese di richiesta di riconoscimento presso le Nazioni Unite. Una guerra e un attacco contro l’Iran adesso rappresentano forse l’ultima ed unica carta di un governo screditato e debole. Debole e proprio per questo disposto a tutto. Anche ad un’azione le cui conseguenze potrebbero essere devastanti: aprire un domino di reazioni difficile da prevedere. Le guerre, come sempre, si sa come cominciano, mai come finiranno. L’azzardo degli estremisti e fanatici che governano Tel Aviv potrebbe essere quanto mai pericoloso.
Le cancellerie europee e statunitensi sono allarmate, sui tempi più che sul merito. Come dimostra la registrazione dello scambio di battute fra Sarkozy e Obama al G20, la pressione dei falchi israeliani è costante.
La guerra, come sempre, è il modo più facile e naturale per il capitalismo in crisi di trovare vie d’uscita. La guerra non è una parentesi, un accidente. E’ organica al capitalismo e alla sua crisi. Noi saremo e siamo contro questa nuova avventura sciagurata. Un’azione che può precipitare il Medio oriente e il Mediterraneo in una guerra dalle dimensioni inaspettate. Occorre mobilitarsi in queste ore, preventivamente, per evitare quella che potrebbe essere una nuova tragedia nel Mediterraneo, una nuova guerra sbagliata e inutile. Per un futuro di pace in medio oriente l’unica possibilità è quella della denuclearizzazione di tutta l’area, e del riconoscimento del diritto di tutti i suoi popoli all’autodeterminazione, a partire da quello palestinese.
Vediamo il perché questa volta le minacce israeliane debbano essere prese tremendamente sul serio, o almeno più di quanto non sia avvenuto in precedenza. Per Israele e la sua compagine al governo mantenere una superiorità strategica conservando lo status ( illegale), ma da tutti conosciuto, di unica potenza nucleare nel medio oriente, è una questione di vitale importanza. La sicurezza dello Stato di Israele e la sua dottrina si fondano sulla propria superiorità militare nell’area. Israele, come dimostra la sua politica di sabotaggio di fatto del processo di pace, privilegia, a garanzia della propria esistenza, la forza, di cui fa sfoggio di tanto in tanto contro nemici molto più deboli.
L’opzione militare, con dei raid che riportino indietro di anni lo sviluppo del nucleare iraniano, è di gran lunga l’opzione che Israele preferisce da tempo. Le stesse guerre in Libano e a Gaza possono essere lette sotto questa lente, ovvero quella della preparazione di un retroterra sicuro, temendo rappresaglie da più fronti e dagli alleati di Teheran, in primis Hezbollah e Hamas, in caso di attacco alle installazioni iraniane. In questo ambito si capisce anche la tempistica e il contesto in cui è maturato l’accordo per la liberazione di Shalit. Hamas stringeva relazioni con l’Iran attraverso la Siria, regime che ospitava i suoi leader in esilio. Da quando è scoppiata la rivolta in Siria, il regime ha mollato Hamas, che si è rifugiato presso il Qatar, petromonarchia patria di Al Jazeera e che ospita la più importante base militare americana nel Golfo Persico. La Siria è in difficoltà e non in grado di reagire. Hamas, con lo scambio di prigionieri, raggiunge lo status di interlocutore politico a cui aspirava da tempo, magari rinunciando ad intraprendere azioni di rappresaglia in caso di attacco israeliano all’Iran.
Inoltre, Il rapido mutamento in corso nei paesi dell’area potrebbe nel breve periodo, come dimostra la Tunisia, cambiare radicalmente a sfavore di Israele. Meglio quindi per lo stato ebraico approfittare della situazione di transizione che attendere la stabilizzazione di nuovi equilibri politici che di sicuro saranno molto più ostili nei confronti di Israele.
Ultime due ragioni, contingenti, ma che depongono a favore dell’ipotesi di un attacco, il progressivo indebolimento politico del governo Natanyahu, Lieberman, Barak. Un indebolimento dovuto a ragioni interne, con il crescente movimento di protesta sociale che denuncia le disuguaglianze della società israeliana, e a ragioni esterne, con il successo dell’iniziativa palestinese di richiesta di riconoscimento presso le Nazioni Unite. Una guerra e un attacco contro l’Iran adesso rappresentano forse l’ultima ed unica carta di un governo screditato e debole. Debole e proprio per questo disposto a tutto. Anche ad un’azione le cui conseguenze potrebbero essere devastanti: aprire un domino di reazioni difficile da prevedere. Le guerre, come sempre, si sa come cominciano, mai come finiranno. L’azzardo degli estremisti e fanatici che governano Tel Aviv potrebbe essere quanto mai pericoloso.
Le cancellerie europee e statunitensi sono allarmate, sui tempi più che sul merito. Come dimostra la registrazione dello scambio di battute fra Sarkozy e Obama al G20, la pressione dei falchi israeliani è costante.
La guerra, come sempre, è il modo più facile e naturale per il capitalismo in crisi di trovare vie d’uscita. La guerra non è una parentesi, un accidente. E’ organica al capitalismo e alla sua crisi. Noi saremo e siamo contro questa nuova avventura sciagurata. Un’azione che può precipitare il Medio oriente e il Mediterraneo in una guerra dalle dimensioni inaspettate. Occorre mobilitarsi in queste ore, preventivamente, per evitare quella che potrebbe essere una nuova tragedia nel Mediterraneo, una nuova guerra sbagliata e inutile. Per un futuro di pace in medio oriente l’unica possibilità è quella della denuclearizzazione di tutta l’area, e del riconoscimento del diritto di tutti i suoi popoli all’autodeterminazione, a partire da quello palestinese.
Fabio Amato - Liberazione
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