L’appuntamento
è per sabato primo dicembre al Teatro Vittoria, nella Roma testaccina.
Quelli dell’appello “ cambiare si può “ hanno deciso di convocarsi senza
attendere l’esito delle primarie della coalizione PD, SEL, PSI, quasi a
dire che loro comunque vogliono provarci a rappresentare l’alternativa e
non solo a Monti ma alle politiche europee e a chiunque le interpreti.
Quella alternativa che si fatica a ritrovare in quella carta d’intenti
che accompagna la consultazione che avrà la sua prima tappa domenica 25 e
dove c’è scritto con chiarezza che i trattati internazionali vanno
applicati e che va fatto tutto ciò che serve a difendere l’euro. Se poi i
trattati si chiamano Fiscal Compact e se tutto ciò che serve a
difendere l’euro è quell’insieme di scelte che hanno aggravato, in
Grecia ma anche in Italia e in tutta Europa, la situazione, è proprio
questa la ragione che porta i firmatari dell’appello, ma anche molti
altri, a pensare che occorra cercare un’altra strada, non rassegnarsi al
meno peggio.
Cosa che del resto è ormai normale in
tutta Europa dove, a leggere il bel dibattito che ha dedicato al tema Le
Monde, ovunque la politica si ridefinisce intorno alla discriminante di
stare dentro o fuori le ricette di Bruxelles. E, in particolare a Sud,
nelle caldissime Grecia, Spagna e Portogallo, sono in molti a dar vita a
movimenti di grande dimensione e anche a riaprire una prospettiva,
anche elettorale, per quelle sinistre che contro l’austerità si sono
schierate.
In Italia la situazione, come evidente, è
più complicata. Pesa ancora la sconfitta di una sinistra che provò a
tenere aperta la partita, prima di essere sconfitta al punto tale da
venir sospinta fuori dal Parlamento. E la partita era precisamente
quella di provare a non rimanere schiacciati in quei processi di
costituzione di una Europa tecnocratica che si stavano profilando
cercando di anticiparli e di modificare il corso degli eventi. Non ci si
riuscì e non si riuscì neanche a discutere sul serio, collettivamente
del perché. Mi è capitato di scrivere che ad esempio sull’ultimo
capitolo triste di quella fase e cioè la sinistra arcobaleno c’è una
sorta di rimozione e di tabù che mi fa pensare a una vecchia striscia di
Linus, quella dedicata all’impiegato Bristow nel cui ufficio, 20 anni
prima, era accaduta una sciagura che non si poteva nominare: il
rovesciamento di un carrello da the!
Naturalmente la sciagura nostra è assai
più grave e profonda perché ha comportato la sconfitta di un pensiero
politico e della sua gente. Ma proprio per questo la rimozione ha
prodotto esiti non appropriati. Da una parte c’è il tentativo di
praticare una scorciatoia affidando alla affabulazione leaderistica la
possibilità di sovvertire un intero ordine delle cose, un rapporto di
forze che si è fatto ancor più negativo . Una sorta di super ottimismo
della volontà che si fa dimentico di quel pessimismo dell’intelletto che
serve a sorvegliare i comportamenti in modo che non si ingenerino
aporie e incongruenze troppo accentuate. Che poi, quando ci sono,
alimentano il rischio di ricuciture affidate a populismo e trasformismo.
Che gli elementi portanti di quella carta d’intenti, il Fiscal Compact,
vengano criticati dall’interno è anche da guardare come utile ma senza
però dimenticare che sono stati sottoscritti e che addirittura si è
previsto impegnino la rappresentanza eletta, con una evidente cessione
di sovranità che rende molto discutibile la persistenza di una sinistra
autonoma nell’ambito del rapporto col PD. PD il cui approccio
minimalistico a ciò che è cambiabile in Europa è evidente.
Dall’altra il rischio è quello di non
riuscire più a pensarsi in grado non solo di resistere ma di provare a
invertire il corso degli eventi. Una sconfitta che più che rimossa viene
interiorizzata. Io ho trovato molto bello il 14 dello sciopero europeo
nel corteo degli studenti uno striscione scritto a mano che diceva “ chi
lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” e penso che
l’esaltazione del dover vincere per forza non sia buona cosa, non solo
per la politica. Ma ho trovato altrettanto bello che i ragazzi
scandissero “ tutti insieme, famo paura “ a dire di una forza che
torna a manifestarsi e a cui guardare per un futuro non rassegnato.
L’uso del romanesco “ famo “ mi riporta
al Teatro Vittoria e alla assemblea del primo dicembre. Sarà un primo
ritrovarsi delle forze che si stanno dichiarando non rassegnate ad un
esito che considera scontato il meno peggio o la testimonianza. Che non
sono poche. L’appello dei 70 è stato sottoscritto da personalità
autorevoli. ALBA, molti dei cui intellettuali erano promotori del testo,
lo ha condiviso collettivamente. Ci sono disponibilità che vengono
dichiarate come quella del sindaco De Magistris. Parole interessanti
arrivano da autorità come Ingroia. Forze come il PRC, che hanno comunque
saputo resistere, si dicono a disposizione di un processo che sia
convinto e democratico. E poi ci sono soggetti attraversati da un
travaglio come l’IDV .
Ma siccome è chiaro che il punto non può
essere l’assemblaggio di cose spurie, il tema è precisamente quello di
avere una discussione pubblica aperta a tutti coloro che una
alternativa al meno peggio o alla testimonianza, la vorrebbero e che
probabilmente non sono pochi. L’esistenza di una crisi profonda del
campo della governabilità europea è reso evidente dal consesso ormai
ridottissimo che hanno entrambi i poli che in questa area comunque si
collocano. Come d’altro canto il successo dei cinque stelle è
sicuramente di più della cosiddetta antipolitica che per altro è
definizione che più si approprierebbe proprio a chi si rende esecutore
delle scelte tecnocratiche. Se il tema è quello dello spazio per una
proposta alternativa la risposta può essere positiva.
Ma lo spazio politico non è geometria
ma, come quello cosmico, è fatto di energie in movimento. Le lotte
aperte in Europa, ripeto, specie al Sud, questa energia la hanno ed
anche una propria capacità di riflessione. Questo ci aiuta molto. Anche
perché sono convinto che l’asse con la realtà franco tedesca cui guarda
il PD non sia fertile. Hollande è in difficoltà e accentua le scelte di
austerità. La SPD è subalterna ad una Merkel saldamente in testa nei
sondaggi e a cui riaprono credito anche i verdi. Chi, come l’Italia, a
differenza di ciò che pensa il PD, deve rovesciare il quadro
dell’austerità per avere un margine di manovra, ha bisogno di guardare a
Sud. Che ciò sia nelle cose avvertite tra la gente reale lo dice anche
la dimensione delle manifestazioni del 14 che è stata assai simile a
quelle del Sud e non limitata come al Nord.
Qui è il punto vero. Cioè la capacità di
incarnare un bisogno ed una prospettiva che vivono nella realtà. In
particolare di saper incontrare quei movimenti che questo bisogno e
questa prospettiva li incarnano. Nessuna sfera della politica è più
pensabile separata da questa dimensione. E dunque il campo di quella
discussione pubblica di cui parlavo è quello del che fare, e come, nella
dinamica dei conflitti e nella auto riflessione su di essi.
Precisamente il contrario dell’assemblaggio di forze o, peggio, di ceti
politici. Naturalmente c’è anche una discussione da fare sul quadro che
si va profilando e che potrebbe vedere alla fine un ruolo centrale di
governo di una forza come il PD magari con una Presidenza della
Repubblica assegnata a funzioni di garante del quadro europeo. In mezzo
le cose che sappiamo e cioè il rapporto tra il PD e il riassemblarsi
delle forze centriste.
Ma la bussola per affrontare anche
questi terreni non può che essere quella di una nuova capacità autonoma
di proposizione di una alternativa reale e cioè fuori e contro le
compatibilità europee. E della ricostruzione di una forza che sappia
incarnarla.
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