«Temo che oggi non si stia contrastando
adeguatamente l’azione volta a svuotare la questione morale delle sue
potenzialità trasformatrici da parte di un vero esercito di
spidocchiatori e lucratori dell’antipolitica, e non penso principalmente
a Grillo». Giacomo Schettini ha appena ultimato il suo saggio sul tema
della corruzione per il nuovo numero della rivista diretta da Fausto
Bertinotti, alternative per il socialismo, che sarà in libreria
dalla fine di novembre. Lucido e fine intellettuale Schettini ha un
giudizio molto netto sulla condizione in cui si trova il Paese e sulle
sue cause: «La “questione morale”, la corruzione, che ne è elemento
costitutivo, sono condizioni endemiche strutturalmente incorporate nel
capitalismo, così come, in Italia, si è venuto determinando sullo sfondo
di caratteri originari e momenti storici pieni e prolifici di
distorsioni».
Se dovessi indicare alcuni dei passaggi chiave che ci hanno portato nella situazione in cui ci troviamo, quali indicheresti?
Una borghesia che ha costruito la sua
fragile egemonia a ridosso della rendita, del clero, della spesa
pubblica; un’Unità nazionale fondata su compromessi squilibrati e
squilibranti, in cui non sono mancate violenze e tentazioni
colonizzatrici; un’onda liberista, che ha sbriciolato i legami sociali,
contrabbandato l’arbitrio per libertà, magari “nuova”, diffuso un
individualismo rapace e avaro, esercitato a spese delle donne, della
Natura, dell’amicizia, dell’onestà; un’organizzazione tecnologica della
vita, della produzione e degli scambi, che ha prodotto e produce un tipo
umano consumatore, assuefatto, disincantato, segnato, insomma, dal male
della banalità.
Sembra un terreno che allude, in
qualche modo, anche a un altro fenomeno che tradizionalmente ha
inquinato la vita politica, culturale e sociale del nostro Paese: mi
riferisco al trasformismo.
Non credo che sia una forzatura o
inattuale ricordare che il “trasformismo”, assurto alla dignità di
paradigma storiografico, di performatore di un modello egemonico
contraddittorio e perciò fragile, sia stato e sia uno dei terreni più
fertili su cui si è svolta, fino a esplodere, la questione morale. Nelle
pratiche trasformistiche, certo, conta l’assorbimento, quasi sempre in
modo molecolare, nel blocco dominante di soggetti antagonisti, ma quel
che più conta è la qualità, cioè i contenuti e le finalità, delle
mediazioni.
Ci troviamo di fronte a un vizio d’origine, quindi?
A partire dal decennio 1850-1860, il
Connubio di ispirazione cavouriana e, poi, in modo addirittura più
eclatante, nel 1882, col governo Depretis, fino ai nostri giorni, lo
spazio politico-geografico in cui sinistra e destra hanno fatto
incontrare le loro reciproche concessioni, ovvero il loro “senso dello
Stato”, viene individuato nel “centro”, il luogo, scrive lo storico
Sabatucci, del «partito unico delle classi dirigenti».
Dal processo che portò all’unità
del Paese fino a oggi sembrano prevalere quelle mediazioni volte più a
riprodurre il potere che a costituire rapporti più equilibrati e moderni
tra le classi e tra il centro e la periferia.
Proprio allora ebbero inizio quegli
scambi perversi che si sono perpetuati, e “perfezionati”, fino ai giorni
nostri: al Nord, mano libera agli industriali sullo sviluppo; al Sud,
mano libera agli ascari sui trasferimenti di spesa; ai rampanti, mano
libera sulle città e sulla natura, sul fisco e sugli incentivi; alla
politica, il consenso. Man mano che si politicizzava il mercato e
mercificava la politica, gli scambi perversi venivano integrando una
sorta di “economia mista nera” che, credo, possa essere compresa a pieno
titolo in quel “keynesismo delinquenziale” descritto da De Cecco.
Nel saggio che hai preparato per alternative per il socialismo c’è un riferimento alla famosa denuncia svolta da Enrico Berlinguer.
Berlinguer, nella nota intervista a
Scalfari, denunziava la dissennata proliferazione e occupazione degli
enti che programmavano e gestivano, e continuano a farlo, la spesa
pubblica, quasi sempre con criteri volti ad accrescere la produttività
elettorale, piuttosto che quella sociale. Intervista profetica, visto
che proprio nel decennio Ottanta si sono verificati i danni maggiori. Si
è determinata, così, una degenerazione delle funzioni e
dell’organizzazione dello Stato sociale.
Oggi siamo di fronte a una vera e propria emergenza democratica, qual è il tuo giudizio?
In Italia e in Europa siamo prossimi al
pericolo, la salvezza non sembra più vicina: la necessità di cambiare
senso di marcia si presenta, appunto, con l’urgenza di un atto di
salvezza e le classi dirigenti appaiono e sono inadeguate. In questa
contraddizione, non nuova, covano rischi di cadute democratiche e di
tentazioni autoritarie. L’onda del liberismo globalizzato, venuta dal
mondo senza incontrare resistenze e non di rado assecondata, ha
introdotto e diffuso mutamenti oggettivi e soggettivi, anzi
antropologici, che hanno rotto molte maglie di quell’armatura su cui si è
fondata e ha retto la connessione sociale e democratica dell’Italia.
Quando le contraddizioni raggiungono frontiere estreme, si riducono gli
spazi per gli adattamenti e gli aut-aut si fanno anche sfida
morale. La politica e l’etica si incontrano, e questo incontro
conferisce all’agire un significato sacro e drammatico insieme.
Nel tuo saggio è un tema che
approfondisci molto, puoi anticipare qual è il nodo che dobbiamo
sicuramente sciogliere per invertire la tendenza?
La riforma intellettuale e morale e la
riforma economica, come due facce dello stesso processo, erano in
Gramsci e, io credo, restino ancora il cardine della trasformazione in
Occidente. Non so se l’industria dello spirito riuscirà a “rinnovare il
capitalismo”. Comunque, il suo apporto resta decisivo per superare il
capitalismo a condizione che, attraverso un forte movimento culturale e
di massa, vengano rovesciati gli attuali contenuti e finalità della
suddetta industria dello spirito, volti a ridurre la folla ad apparato
dipendente, nel senso psicologico e funzionale, del mercato e della
megamacchina finanziaria. La politica è chiamata a ricollocarsi: la
crisi economica, sociale e politica, in cui il mondo e l’Italia si
dibattono, oggi impone una svolta netta e necessaria verso un governo
egualitario, ecologico, pacifista delle risorse a dimensione planetaria.
Giuseppe D’Agata, www.lavorincorsoasinistra.it
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